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GIURISTI

Imposto in Italia dalle armate francesi, il modello codice si affermò grazie a una composita

strategia di persuasione, a una trasformazione del “dono dello straniero” in un simbolo di identità.

Il dono dello straniero

Nella sua Storia della legislazione italiana, Federico Sclopis, affermava che un dono ricevuto dallo

straniero aveva contribuito a mutare l’indolenza di azioni degli italiani e aveva vinto gli odi

municipalistici e la frammentazione politica.

L’ordine regolare e generale aveva offerto finalmente un diritto unitario che poteva essere visto

come espressione di quello che l’Italia realmente era e di quello che gli italiani volevano essere. La

libertà e l’uguaglianza civile, scrive Sclopis, avena dato luogo a una maggiore circolazione dei

capitali, ad una divisione ragionevole della proprietà fondiaria, all’aumento della produzione.

Imposizione e persuasione

Nel regno italico il codice francese fu imposto con la forza. Una circolare del 1806, inviato dal

ministro Luosi ai tribunali per annunciare la prossima promulgazione del “dono prezioso”, mette

bene in luce la questione. La circolare cerca di stemperare l’imposizione e di renderla invisibile.

Appendice: Giuseppe Luosi e la persuasione al codice

Il terzo Statuto Costituzionale del Regno Italico (1805) stabilì che il codice Napoleone sarebbe

stato il solo codice per tutto il Regno d’Italia e che una commissione di sei giureconsulti lo avrebbe

tradotto in Italiano e in latino.

I traduttori avanzarono osservazioni critiche nei confronti del testo francese, ma vennero ignorate.

Il codice entrò in vigore il 1° aprile 1806. Il decreto di pubblicazione prevedeva che le leggi

romane, le ordinanze, le consuetudini generali o locali, gli statuti o regolamenti cessarono di aver

fora di legge generale o particolare nelle materie che formano oggetto delle disposizioni contenute

nel codice Napoleone.

Una seconda vita

L’abrogazione della legislazione francese da parte delle monarchie restaurate e il successivo

ritorno alla codificazione in molti Stati pre-unitari, modifica il modo di far riferimento al modello-

codice che, svincolato dal volere sovrano di Napoleone si presenta libero dal potere politico e

capace di affermarsi spontaneamente come scelta degli italiani.

Festeggiano i cento anni del Code civil, Gian Pietro Chironi insiste sull’inevitabile affermarsi in

Italia di un modello universale e sul carattere nazionale della recezione italiana. Gli italiani scelsero

il codice per il suo intrinseco valore e lo piegarono alle necessità della loro realtà sociale e della

loro storia ponendolo in armonia con la storia precedente.

nel 1969 Guido Astuti sottolinea come la presenza del codice in Italia fu espressione di un preciso

disegno politico e l’abbandono della legislazione imposta, segò l’inizi della seconda vita del codice.

Nella seconda vita la validità e vitalità del modello, si impone di per sé. L’adesione completa di

alcune parti dei codici preunitari al code civil, non è altro che l’accettazione di un diritto che ricalca

la tradizione romanista, restituendo all’Italia, un diritto italiano.

Gius comune e codice

Il riferimento al gius comune non è utilizzato solo per contestare la pretesa del legislatore di

cancellare regole generali e immutabili, solo per opporre una resistenza al codice, ma anche per

sostenerlo, per legittimarlo. A contribuire a tale costruzione non è estranea l’influenza di Savigny. In

toscana non è difficile rintracciare giureconsulti che insistono nell’esaltare l’immutabilità della

tradizione giuridica del diritto comune.

Tra Bentham e Savigny

L’immagine di un codice impossibile senza memoria, utilizza Savigny a sostegno del codice e

rafforza l’idea di un diritto della nazione capace di imporsi allo stesso legislatore. Una fusione tra le

opposte visioni di della codificazione di Bentham e Savigny, è offerta da Antonio Turchiarolo

presentando la traduzione della Dottrina del codice civile francese di Thibaut. Lo scontro tra

Savigny e Thibaut è presentato come espressivo di una più ampia opposizione tra “metodo

codificatorio” e “metodo storico o consuetudinario”, tra “scuola filosofica” e “scuola storica”.

Bentham propone un codice universale modellato sul diritto razionale, applicabile a tutti i popoli e

superiore a tutte le differenze di luogo e di tempo.

Savigny, protagonista del partito di opposizione a Bentham, mette in rilievo il legame tra diritto e

civiltà, l’accordo con le condizioni storiche dei luoghi e dei tempi, e punta l’attenzione sul diritto

consuetudinario, emanazione spontanea ed immediata di quella forza vitale, ovvero dello spirito

nazionale.

I due sistemi sono opposti ma Turchiarolo intende fonderli.

L’Italia appare predestinata a un codice nazionale capace di fondere elemento storico e ideale. La

via giusta è quella di un modello “nostro” nazionale ed universale.

Civilistica e assolutismo giuridico nell’Italia post-unitaria

Gli anni dell’esegesi

Il codice civile del 1865 si affermò come il preciso risultato di scelte politiche della classe dirigente

liberale moderata, scelte volte a confortare l’unità dello Stato con l’unità delle leggi., a imporre una

chiara unità del diritto civile statale contro ogni possibile riemersione di interessi municipalistici.

Il codice è invocato in modo differente. Da un lato è solo l’espressione di una scelta imposta

dall’unità nazionale e costringe a rappresentazioni che lo giustificano attraverso l’esasperazione

della frammentazione legislativa esistente. Dall’altro lato, si rappresenta invece il codice in maniera

autonoma, indipendentemente da specifiche scelte del legislatore.

Esegesi e codice

Nel periodo che va dal 1865 al 1881, innumerevoli commentari al codice, testimoniano la presenza

di una vera e propria scuola esegetica italiana, ispirata al modello di quella francese: i civilisti sono

prigionieri dell’ordine imposto al codice dal legislatore, analizzano gli articoli seguendo il dettato

legislativo e riferendo senza critica, le opinioni della dottrina francese, sono incapaci di spiccare il

volo verso un sistema dottrinale autonomo.

Seguendo Bobbio, si possono porre a fondamento della scuola i seguenti caratteri. a) l’inversione

dei rapporti tradizionali tra diritto naturale e diritto positivo; b) onnipotenza del legislatore; c)

interpretazione della legge fondata sull’intenzione del legislatore; d) il culto del testo della legge; e)

il rispetto del principio di autorità.

Bobbio enumera cinque cause che determinano l’avvento della scuola dell’esegesi: a) il fatto

stesso della presenza del codice; b) la mentalità dei giuristi guidata dal principio di autorità; c) la

dottrina della separazione dei poteri (il giudice non può creare legge); d) il principio della certezza

del diritto, una certezza garantita da un corpo stabile di leggi; e) la pressione esercitata dal regime

napoleonico affinchè venisse insegnato solo il diritto positivo.

Nel codice non si racchiude tutta la conoscenza del diritto. I codici si accontentano dei corollari, e

non possono prevedere tutti i casi, sciogliere tutti i dubbi; il giurista deve necessariamente

ricercare altrove i principi direttivi del diritto. L’art. 3 delle disposizioni preliminari al codice civile,

consente, in assenza di disposizioni che regolano casi simili e materie analoghe, di richiamare il

diritto naturale.

Si richiama Savigny: non è assente un colloquio tra gli autori della cosiddetta scuola dell’esegesi e

Savigny. Quello che più rileva nei commentari post unitari del codice, è l’esistenza di un diritto

nazionale italiano dichiarato dalla legge.

Le certezze del codice

Le contrastanti convinzioni culturali dei giuristi post-unitari, trovano omogeneità nella esaltazione

dei principi dichiarati dal codice. È nell’affermazione di un deposito consolidato di certezze che si

sostanzia l’unitarietà del discorso dei civilisti. Non si tratta solo di certezze tecniche date dalla

continuità con i principi del diritto romano e dalle certezze provenienti dall’individuazione di una

tradizione giuridica italiana: siamo di fronte ad una più ampia unitarietà ed uniformità della

mentalità giuridica.

L’intero discorso dei civilisti post-unitari si fonda su una comune base di convinzioni “pre-

giuridiche”: un bagaglio culturale che dà sicurezza e che si ritiene possa sostenere l’intero impianto

del codice. Il codice simboleggia il mondo della sicurezza. L’assoluta preminenza della libertà,

della sovranità dell’individuo, si pone più come dato pregiuridico che come il risultato finale della

lettura del codice. Le certezze del codice sono anteposte ad ogni sua ricostruzione tecnica.

Il diritto del code civil e del codice civile italiano del 1865, quel diritto che dal punto di vista

normativo è ormai il risultato della volontà dello Stato, è ambiziosamente rappresentato come

autonomo.

La proprietà individuale rappresenta la chiave di volta dell’intero edificio: risulta tale dalla lettura dei

lavori preparatori del codice, dall’intitolazione dei tre libri e dalla sua intera struttura, dove

predominano i valori individuali che si riferiscono ai diritti reali, alle obbligazioni e all’ intero diritto

civile: il diritto di famiglia; le successioni; i rapporti di lavoro subordinato; i rapporti di vita associata

e le persone giuridiche.

La civilistica post-unitaria, tende a pensare l’intero impianto del codice come espressione costante

di quelle certezze borghesi comunemente condivise.

Dall’esegesi al sistema: la scienza nazionale

Esistono letture opposte del diritto civile, del ruolo della legge e dell’interprete. Sino all’inizio degli

anni ottanta però, le diverse letture non entrano mai in conflitto. Vi è una sovrapposizione tra due

linee: le scelte del legislatore coincidono con i principi immutabili del diritto e con il preesistente

diritto nazionale italiano. Il raggiungimento della piena unificazione politica del paese è l’obiettivo

principale che accomuna la classe dirigente italiana in questo periodo. Le scelte del legislatore,

quelle dei giuristi e della giurisprudenza si muovono lungo gli stessi itinerari: è nella preminenza

della legge che si scorge il pieno manifestarsi di un diritto nazionale unitario.

Di lì a qualche anno anche la scienza civilistica, abbandonando il mito del diritto nazionale

codificato, scoprì l’Italia.

La società del codice. Cultura giuridica e trasformazioni

sociali tra otto e novecento

A metà ot

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Publisher
A.A. 2014-2015
28 pagine
6 download
SSD Scienze giuridiche IUS/19 Storia del diritto medievale e moderno

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher daddoras di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia delle codificazioni moderne e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Pace Giacomo.