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USA.
La radio è uno strumento broadcast: trasmette a molti, a differenza del telegrafo che trasmette soltanto a un
destinatario; è il primo mezzo di comunicazione di massa in senso proprio perché si rivolge a una massa
indistinta. Come spesso capita con molti strumenti tecnologici, la radio trova un suo sviluppo e freno al suo
sviluppo in seguito a eventi bellici (come sostiene Franco Monteleone, autore della più comprensiva storia della
radio italiana, Storia della radio e della televisione in Italia, Marsilio, Venezia, 1999, pag. 5): “Insieme al telefono,
la radio fu una delle poche industrie a trarre enormi vantaggi dalla guerra. In tutti i Paesi direttamente coinvolti
nel conflitto la radio -ancora un telefono senza fili- si sviluppa come mezzo bellico e da lì inizia la sua
trasformazione”. Ciò porta gli Stati a investire molto su questo mezzo da un lato, nell’interesse ad avere una
comunicazione radiofonica sempre più sofisticata, ma dall’altro a frenarne al contempo l’utilizzo proprio per
evitare che le informazioni grazie ad esso trasmesse possano essere intercettate dai nemici. L’Italia arriva in
ritardo all’avvio istituzionale delle trasmissioni radiofoniche rispetto agli altri Paesi, intorno agli anni Venti.
L’avvento della radio è coincidente all’avvento del fascismo in Italia, ed è da quest’ultimo incoraggiato ed al
tempo stesso frenato. I soggetti interessati ad un avvio regolare delle trasmissioni radiofoniche in Italia sono
consorzi di società private unite fra loro pur essendo in reciproca concorrenza: Radiofono (Marconi, FATME,
Allocchio Bacchini, Perego, 1923) + Italo Radio (Telefunken, Société Générale de Telegraphie Sans Fil, 1923) +
SIRAC (Western Electric, 1924) = URI - Unione Radiofonica Italiana, 27 agosto 1924. Questi soggetti non
sono broadcaster, editori, o gruppi sociali con scopi commerciali, ma sono produttori di dispositivi di trasmissione
e ricezione, e perciò hanno intenzione di avviarne la diffusione. L’inizio del servizio regolare delle
trasmissioni radiofoniche in Italia avviene nel 6 ottobre 1924 ad opera dell’URI, nel 27 novembre 1924
avviene la firma della Convenzione tra l’URI e il Ministero delle Comunicazioni che stabilisce la
concessione esclusiva per la società privata all’esercizio delle trasmissioni circolari sul territorio italiano. Lo Stato
individua un qualcosa che ha funzione complessiva per la collettività, come l’etere in questo caso in cui vengono
diffusi i segnali radiofonici, non se ne occupa però in prima persona ma demanda lo svolgimento di questa
azione a dei privati di fiducia ed in un secondo momento lo ingloba: funzionamento tipico di questo Paese. Infatti
la firma della Convenzione è successiva all’avvio del servizio radiofonico regolare. Lo Stato, incarnato nella
figura del dittatore fascista, ha interesse nella diffusione del mezzo radiofonico per raggiungere il più persone
possibili con la propaganda politica. “Curiosamente i produttori di apparecchi non si mostrano fortemente
interessati all’estensione del pubblico; anzi, boicottano le spinte alla messa a punto di impianti di ricezione
considerevolmente più a buon mercato.” (F. Colombo, La cultura sottile, Bompiani, Milano, 2001, pag. 155) I
produttori non hanno interesse ad aumentare le vendite, ma a produrre un mezzo sempre più costoso, che abbia
sempre un maggior valore aggiunto. Il regime fascista, che non da subito ha interesse (sorgerà a metà degli anni
Trenta) a una sempre maggior diffusione del mezzo radiofonico, incontra delle forti resistenze da parte di quei
produttori che anzi dovrebbero essere maggiormente interessati alla diffusione del mezzo.
Non avendo testimonianze audio concrete, si suppongono comunque i contenuti radiofonici nel periodo del 1927
fossero: musica (70%), informazione (12%), cultura (11%), programmi per bambini (7%). (Lucia Natale e
Francesca Analia sono due studiose della radio che sostengono questa tesi).
L’ascolto della musica dà il via:
- Domesticizzazione: accettazione della casa come spazio terminale dell’esperienza di fruizione. Prima di
allora, la musica era ascoltata in luoghi pubblici (sale da concerto, teatri, sale da ballo, chiesa…) per mezzo di
una fruizione collettiva, contestualizzata quindi nella società nel suo insieme. La radio avvia un processo:
democratizzazione di contenuti a disposizione di pochi, che diventano fruibili da platee più ampie.
- Affermazione del genere della canzone: dotata di specifici caratteri tra cui breve durata, memorabilità,
semplicità di esecuzione, ballabilità
- 1925: un anno dopo l’inizio ufficiale delle trasmissioni radiofoniche, le vendite che si registrano sono 1314
grammofoni e 10458 dischi (78 giri, pesanti e fragili).
La radio vive un regime di concorrenza con un altro strumento, il grammofono. Se n’è occupato Peppino
Ortoleva in Mass media. Dalla radio alla rete, Giunti, Firenze, 2001, pp. 142-143: “Per molte famiglie, sia
l’acquisto dell’apparecchio radio sia quello del grammofono costituivano un notevole sacrificio finanziario, e
quindi l’uno escludeva l’altro. In questa fase, naturalmente, il mezzo più avvantaggiato era la radio […]. Alla
lunga, però, fra la radio e il disco si stabilì una forma intensa di collaborazione che dura tuttora.”
I finanziamenti ottenuti dalla EIAR per le trasmissioni radiofoniche derivano da:
- vendita degli apparecchi radiofonici
- abbonamento pagato dai cittadini fruenti del servizio
- sponsor / pubblicità
Ogni innovazione tecnologica, ogni nuovo strumento subisce un gender-shifter: solitamente è l’uomo di casa che
stabilisce l’utilizzo, la posizione e la fruibilità del nuovo mezzo acquisito. Le fasi di domesticizzazione sono
sempre piuttosto brevi: velocemente lo strumento si contestualizza nell’ambito familiare, e ciò accade anche per
la radio. La radio fino agli anni Cinquanta è un oggetto estremamente voluminoso, che necessitava un proprio
luogo: il Radiocorriere RAI nel 1932 dà delle linee di comportamento, istruzioni di galateo riguardo ciò: il posto
della radio è il soggiorno. “Là dove il marito si ritirava prima nel suo studiolo a fumare la pipa e leggere il
giornale, dove la moglie riceveva le sue amiche nel salottino, dove la prole faceva il chiasso nel corridoio o in
uno stanzone disadorno, v’è ora la stanza di tutti: quella che gli inglese, maestri di comodità casalinga,
chiamano living room. Ed è infatti questa la stanza in cui insieme vivono oggi le ore loro di riposo, di svago o di
studio, la stanza che raduna l’intera famiglia dopo i pasti, specie la sera, fino all’ora del dormire. ” (L. Morelli, La
donna, la casa e la radio, in Radiocorriere, VIII (2-9 gennaio 1932), n. 1, p. 25) Queste parole si rivolgono a un
determinato target, una nicchia estremamente identificabile: ceto medio-alto italiano, alfabetizzato, con
l’elettricità in casa, con una sebbene elementare conoscenza inglese. Da questo articolo si desume anche che
ciò che si denomina “popolare domestico” prima dell’avvento non esisteva: dopo cena, solitamente ogni
componente della famiglia si dedicava alle proprie attività, grazie alla radio invece si riuniscono tutti in un’unica
attività. Le radio anni Trenta hanno spesso gusci di legno per mimetizzare quel grosso oggetto (nonostante la
pessima conducibilità elettrica del materiale), omogeneizzandolo al classico salotto borghese del periodo.
Gli ascoltatori radio sono stimati nel: 1927 = 41000 (contro i 2250000 della BBC: società diversa in tutto,
dall’alfabetizzazione all’urbanizzazione più avanzata) >>>>1931 = 241000 >>>> 1938 = 997000 >>>> 1943 =
1800000. Il fatto che ancora nel ’43, anno clou del periodo bellico, gli abbonamenti in Italia siano inferiori a quelli
della BBC di quindici anni prima, fa riflettere. Dal ’39 al ’42 gli abbonamenti radiofonici quasi raddoppiano,
crescita notevole sebbene si tratti di numeri sempre piuttosto bassi in assoluto (poco più del 15% delle famiglie
italiane dispone di una radio). Questa crescita avviene nonostante la forte crisi per la volontà di aggiornamenti
bellici, di informazione riguardo i propri cari al fronte (c’era un programma dedicato a ciò), ma anche di
distrazione (un po’ come il Lipstick index, secondo il quale nei periodi di crisi e generalmente di recessione
aumenta la vendita di rossetti, ugualmente per la radio). Gli abbonamenti crescono: abbassano i prezzi degli
abbonamenti per i luoghi pubblici, la pressione nei confronti dei produttori di apparecchi radio perché abbassino i
prezzi degli strumenti (fino al famoso apparecchio Barilla degli anni Trenta)…
“Fino al 1942 il tasso di investimento rimase alto, poi la guerra si trasformò in una serie di sconfitte e gli
investimenti scesero a livelli bassissimi. I bombardamenti a tappeto sulle città del nord alla fine del ’42 e all’inizio
del ’43 provocarono distruzione e panico. Nella primavera del ’43 i mercati d’esportazione e il credito bancario
erano quasi inesistenti, la produzione industriale era scesa a due terzi rispetto ai livelli del ’38.” (D. Forgacs,
L’industrializzazione della cultura italiana, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 126)
Referendum del 1939/1940 indetto dall’EIAR: “…importa anche all’EIAR conoscere quanti fra i suoi abbonati
sono professionisti, artigiani, agricoltori, donne di casa, per stabilire quanta parte deve essere fatta nei
programmi a questa o a quella materia.” (Radiocorriere, n. 1, 31 dic - 5 gen 1940, p. 5, ora in A.L. Natale, Gli
anni della radio, Liguori, Napoli, 1990, p. 76) Tentativo di statistica per conoscere meglio i propri abbonati, idea
di controllo politico molto forte, sono gli anni in cui il controllo politico radiofonico inizia ad intensificarsi. Il
referendum viene organizzato secondo la classica modalità utilizzata dalle radio locali che vogliono conoscere i
loro ascoltatori: un concorso a premi, da 500 a 100000 lire. E’ un questionario su programmi più seguiti,
informazioni anagrafiche e sociali, ore di maggiore ascolto, stazioni più seguite (Radio Bologna, Radio Torino…)
[1000 Lire al mese (1939): film ambientato in una stazione televisiva ungherese come molti film italiani di quel
periodo che in qualche modo anticipa e trasla l’avvento della televisione nella società italiana]. L’audience
risponde in massa a questo questionario: 901386 risposte su circa 1200000 abbonati: i risultati vengono
divulgati in un volume stampato in 300 copie. Il pubblico radiofonico già dagli anni Trenta si qualifica come un
pubblico partecipativo, che ha voglia di essere all’interno del mezzo, id