V
Dante, Petrarca e Boccaccio sono dei testimoni imprescindibili per seguire la vicenda del
cambiamento dell’arte, costituiscono un’ancora di salvezza per il vuoto della letteratura artistica di
questo periodo. Importanti sono anche coloro che scrivono le cronache delle città di Firenze,
citando anche gli artisti tra cui Cimabue, come avviene grazie a Filippo Villani che scrisse il Liber
de origine Civitatis Florentia.
L’ultimo testo del 300, di particolare importanza, è quello de Il libro dell’arte di Cennino Cennini, si
tratta di un testo di carattere tecnico, circola manoscritto tra l’Italia settentrionale e Firenze, la prima
edizione risale al 1821quando la grande diffusione delle accademie di arte porta gli artisti ad essere
sempre + interessati al come si dipingeva, quindi per molto tempo resta manoscritto. Nonostante la
pubblicazione tardiva il libro aveva avuto una discreta circolazione tra eruditi in ambito Toscano, lo
conosceva Vasari e Filippo Baldinucci che scrive le vite degli artisti negli anni 80 del 600.
Baldinucci racconta che Cennini scrive il libro in un periodo di prigionia fiorentina ma questo è
errato. La storia di Cennini non la conosciamo con precisione, si rifà sulla tradizione giottesca che
ha perduto però la sua forza espressiva e che successivamente si trasferisce a lavorare a Padova,
città dalla forte attrazione culturale, lo stesso Donatello si sposa da Firenze e Padova. A Padova sul
finire del 300 Cennino Cennini, scrive il libro dell’arte per spiegare le tecniche di bottega e per
spiegare le tecniche per dipingere ai suoi amici padovani. Il testo è scritto in volgare, accessibile a
tutti gli artisti, è un volgare toscano venato con dialettismi veneti. Scrive un testo che fornisce info
per il modo per il quale Cennini si presenta ai suoi contemporanei, in apertura del libro da una
definizione dell’arte e poi si presenta con delle parole eloquenti, presentandosi come pittore, allievo
di pittori provenienti dalla tradizione giottesca. Si presenta come un piccolo pittore pur descrivendo
una genealogia autorevole (Giotto). Dice che si deve a Giotto il passo di essere transitato dalla
pittura greca-bizantina ad una moderna. Vasari nella vita di Agnolo Gaddi non manca di inserire
anche Cennino Cennini, riprendendo le info del libro dell’arte che ancora era conosciuto e letto.
Nell’incipit di Cennini prosegue con la presentazione delle tecniche(pittura tavola-olio-affresco-
vetro), parla lungamente del disegno e della preparazione dei colori. L’incipit nello stile è
medievale, parte dalla creazione e dal peccato originale per spiegare che l’uomo deve lavorare, per
primi i lavori agricoli e poi da quelle nascono le arti pratiche che hanno bisogno anche della
scienza ossia il dipingere, che necessita della fantasia(concetto che si trova in Dante ma anche in
Quintiliano). L’arte è capace di creare con la mano quello che la fantasia immagina, proprio come la
poesia, il poeta è libero di creare e raccontare secondo la sua intuizione mentale. Nel 400 il fare
artistico è solo pratico, sul finire del 500 si attuerà una discriminazione per poter innalzare l’arte a
qualcosa di intellettuale e non solo pratico, si vede in Cennino un’affermazione che si farà propria
alla fine del 500 e inizio 600, nel testo la teoria viene accennata, ma il testo è puramente incentrato
sulla tecnica artistica. La prima edizione è del 1821 ma seguono anche edizioni successive, si
diffonde il testo anche tra coloro che cominciano a interessarsi alla tecnica preraffaelita, soprattutto
per la conoscenza della pittura a tempera, diviene fonte imprescindibile per i restauratori. A Firenze
si sviluppa la letteratura artistica successiva, Commentari di Lorenzo Ghiberti sono dei testi
intermedi tra il vecchio e il nuovo, sono stati pubblicati integralmente nel 1912 da Schlosser, Vasari
li conosceva e li utilizzò come fonti. Ghiberti si forma nella bottega di orafo del padre, ma presto
rivela una spiccata attitudine nella lavorazione del bronzo, e nel 1401 a partecipare al concorso per
la porta del battistero di Firenze, vincerà contro Brunelleschi e sempre sua sarà la creazione della
porta del Paradiso consegnata nel 1452. Lavora in stretto contatto con Brunelleschi, nella sua vita
riesce a raggiungere una grande fortuna, comincerà a collezionare molti libri e oggetti di grande
valore economico. Si accinge a scrivere un’opera detta Commentari che conosciamo mediante
manoscritti, non completi perché muore prematuramente, sono divisi in 3 sezioni, dove rivela la sua
cultura di mediazione tra le innovazioni e la tradizione. Ghiberti non conosce bene il latino, a
differenza di Leon Battista Alberti, il suo latino è approssimativo, ma conosce bene Plinio e
Vitruvio, tanto da scrivere un pezzo sull’origine dell’arte antica, si tratta di passi molto brevi ma
densi. Il secondo commentario è quello dove da il meglio di se soprattutto perché parla dell’arte
moderna, il terzo(più frammentario) è quello dove avrebbe voluto tracciare una teoria della visione,
sulla luce, ombra e profondità dello spazio, traduce e sintetizza testi di ottica e fisica medievali e
arabi che riguardano la teoria della prospettiva ma non nella sintesi della rappresentazione
prospettica centralizzata che Brunelleschi e Alberti avevano elaborato ma quella fondata su metodi
medievali. Nel secondo commentario, adotta la cronologia pliniana suddividendola per olimpiadi,
da informazione di artisti del 300 fino ad includere un medaglione(formella) finale nel quale pensa
di doversi inserire in prima persona, non si parla però di biografia ma giudizio critico sugli artisti
che lo hanno preceduto, giudica le loro opere. Ghiberti ha delle info di prima mano essendo nato nel
1378, Vasari leggendo i commentari posseduti da Cosimo Bartoli, vuole trovare delle info sugli
artisti che per lui erano tanto lontani, ma resta allibito dalle informazioni del 300 che Ghiberti usa
solo per parlare alla fine di se stesso, questa è la grande critica del Vasari (non si poteva parlare di
parlare di personaggi vivi e in questo Ghiberti è moderno), che però farà lo stesso nel 1568 nelle sue
vite. Vasari nella prima edizione delle vite mantiene la distinzione tra vivi e morti inserendo solo
Michelangelo ma nella seconda edizione inserisce un’autobiografia di se stesso, forte dell’esempio
del Ghiberti.
Nei commentari non c’è spazio per gli aneddoti che ormai facevano parte della tradizione, racconta
solo l’aneddoto della pecora di Giotto, che gli serve per marcare l’evento provvidenziale avvenuto
con la nascita di Giotto. L’arte era finita con la morte di Costantino ma rinasce con Giotto.
VI
Per quanto riguarda la critica del 400 il protagonista è Leon Battista Alberti, massimo teorico delle
arti del primo rinascimento e autore di opere imprescindibili. Nasce nel 1404 a Genova da una
famiglia fiorentina che si trovava in esilio, come molte famiglie dell’epoca. Si forma a Padova, a
fine anni 20 fa ritorno a Firenze, che nel frattempo si sarà rinnovata, qui diventa architetto di punta,
realizza Palazzo Ruccellai e facciata di Santa Maria Novella. Si sposta a Roma, Urbino e
Mantova(chiesa S. Andrea-completa tempio malatestiano). Alberti è anche un grande umanista,
maneggia bene il latino, la sua letteratura non si limita ai testi di argomento artistico. Giunge anche
alla realizzazione di placchette e sculture di piccoli oggetti bronzei, attraverso un procedimento
intellettuale e non di bottega. È molto vicino a Brunelleschi, scrive 3 trattati, sono: primo testo metà
anni 30 De Pictura, scritto prima in volgare e poi tradotto in latino, per essere accessibile anche agli
artisti. A partire dalla metà degli anni 40-50 scrive un trattato di architettura De Re Aetificatoria,
dividendolo in 10 libri, rifacendosi a Vitruvio. Negli anni 60 scrive un trattato minore, De Statua,
riguardante la forma della scultura a tutto tondo. Muore nel 1472, nessuno di questi testi è stato
stampato, il primo ad essere stampato è il De Re Aedificatoria nel 1482 con una dedica a Lorenzo il
Magnifico. Il de Pictura circola nella versione in latino per 120 anni, pubblicato negli anni 60 del
500, destinato a una durevole fortuna, tradotto in volgare successivamente. Il De Pictura nasce da
un esigenza teoretica per definire i principi della pittura, per separare la pittura rinascimentale da
quella precedente. In una delle versioni manoscritte Alberti inserisce una lettera, una specie di
Prologo, che si apre con una nostalgia del mondo classico pieno di grandi ingegni che sono assenti
nel mondo moderno. Subito dopo rettifica e afferma che al ritorno del suo esilio, a Firenze ha
trovato degli ingegni che altrove non aveva trovato, come in Brunelleschi, Donatello, Luca della
Robbia, Masaccio e Ghiberti. Fa riferimento alla cupola del Duomo di Firenze, ancora incompleta, e
capisce l’innovazione della costruzione che deriva dal mondo antico romano ma che è stato anche
superato grazie l’ingegno di Brunelleschi. Inoltre nel libro annota le teorie della prospettiva di
Brunelleschi, tratta ampiamente della matematica e geometria come conoscenze fondamentali per i
pittori. Utilizza questo metodo anche per elevare i pittori, che non sono produttori meccanici ma
intellettuali. La matematica e la natura sono congiunte perché solo attraverso la matematica si crea
la natura sul piano bidimensionale.
Nel secondo libro del De Pictura ci dice in quante parti è divisa la natura:
• circoscriptione, disegnare in senso pratico, è una parte che nella retorica è la parte della
inventio.
• Compositione che fa riferimento alla teoria delle proporzioni anatomiche, ossia la parte che
nella retorica è la dispotitio.
• Recepzione dei lumi che riguarda la stesura del colore che nella retorica è l’elocutio,
discorso esternato in senso pubblico.
Infine afferma nel terzo libro del De Pictura che ogni artista deve essere dotto in tutte le arti liberali,
in grado di maneggiare matematica, geometria e deve saper interpretare le storie che deve dipingere,
perché per lui il massimo della pittura è quella storica di qualsiasi soggetto. Da quindi una gerarchia
delle arti. Ciò che conta è avere nella narrazione il senso della misura e dalla qualità. Principi molto
simili si trovano anche nelle regole di architettura che mette insieme nel De Re Aedificatoria, qui
l’idea di bellezza è espressa mediante la concordanza delle parti, quindi equilibrio e simmetria. In
Alberti non ci sono degli intenti storici, che invece aveva Ghiberti. Trattato molto importante è
quello di Filarete(Antonio Averlino): l’Ospedale di Milano. Filarete si forma con Ghiberti, si dedica
anche all’architettura, viene chiamato a Milano a lavorare, da Francesco Sforza diventato duca dal
1450. Affida il ri
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