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Simon” (cameratismo), dato che ricrea in carte la bellezza di Laura offuscata dal
peso della carne in vita vedendola in paradiso, in un ritratto ideale e non
terreno, dato che la bellezza carnale secondo la teoria neoplatonica è sempre
corruttibile+ nel sonetto 79 ribadisce il concetto ed introduce il topos del ritratto
muto che non viene apprezzato da Longhi: la sua idea però viene presentata da
moltissimi autori e poeti successivi= Petrarca pone in mano lo “stilo” dato che
non esiste la parola stile e nel 500 si parlerà solo di maniera, e l’opera
meravigliosa gli alleggerisce il cuore, visto che ella si mostra com’è tanto da
sembrare vera, ma quando comincia a parlarle, lei non risponde, arrivando al
mito di Pigmalione in cui l’immagine diventa viva, mentre per lui il ritratto
rimane fermo e non dà risposte
Quello che conta è che tali sonetti diventano archetipici per una letteratura di
ritratti, che nel 500 diventa genere preponderante vedendoli sempre
accompagnati da sonetti (richiamano quello di Petrarca): in un saggio di
Sherman afferma che i ritratti successivamente saranno tanto eloquenti da
essere vivi, non avendo la necessità di essere accompagnati sonetti= Vasari,
nella redazione delle Vite nel 1550/68, non manca di ricordare questi due
sonetti come elementi che hanno posto le basi per la fama di Martini + Petrarca
quando rimane a Milano resta folgorato dal fatto che nella chiesa di S. Ambrogio
restai il ritratto realizzato quando lui era in vita, interessandosi in modo non
convenzionale al genere del ritratto e ponendosi a metà tra l’epoca medievale,
improntata nel neoplatonismo, e il mondo classico con le spinte proto umaniste;
si interessa infatti a S. Agostino per l’importanza data alle parole e non alle
immagini Petrarca scrive dialoghi di impronta Neoplatonica-Agostiniana
avendo l’idea che l’arte sia oggetto effimero di cui non ci deve fidare poiché
corruttibile, sostenendo che la rappresentazione debba essere spirituale
prescindendo quella materiale= nel De Remediis utriusque fortunae, scritti
come dialoghi morali, presenta in due degli antagonisti che si scontrano, la
ragione e il piacere (godimento), che mettono in campo una necessità di
matrice neoplatonica e agostiniana, ma anche per l’arte e il piacere che essa
procura
Il Godimento dice di godere delle pitture e la ragione risponde come sia un
piacere delle cose inconsistenti, poiché non è sufficiente che sia stato un
piacere di uomini antichi, dato che il tempo volge al meglio e al peggio le cose
buone e cattive e guardando in basso gli uomini pongono limite del loro
intelletto al posto di guardare in alto; l’uomo esecra il vero piacere: Petrarca sa
che dovrebbe avere un piacere molto più spirituale, ma riconosce come oggi le
pitture, come Giotto pittore egregio nella realizzazione dell’icona di Maria di Da
Carrara con plus valore dato dalla realizzazione dell’artista oltre il mero valore
della preghiera viene tirato da un lato dalla frequentazione proto-umanistica e
dalla pittura che sta cambiando verso una realizzazione realistica, e dall’altra
tende al punto di vista religioso, che gli impone di staccarsi da questo tipo di
pittura e dalle opere/reliquie da lui collezionate, che lo portano a diffondere
cultura ed interessi
Il mito di Giotto nasce dopo la sua morte e si consolida immediatamente senza
eguali nella storia della cultura figurativa italiana fino al 500: viene citato nel
Purgatorio di Dante e direttamente- indirettamente da Petrarca nelle lettere e
testamento, ma uno dei luoghi in cui maggiormente viene costruita la fortuna di
Giotto è il Decameron di Boccaccio (1313-1376), di cui si ha un manoscritto
autografo, scritto e illustrato, che contiene gli epigrammi iconici di Marziale
scrive il Decameron dopo la peste del 1348 e inserisce in una delle sue novelle
Giotto delineandola con una connotazione fortemente comica, creando un suo
ritratto stereotipo= nella VI° giornata, la V novella racconta come due fiorentini
si salvano dalla peste scappando a Fiesole, uno dei due è il grande avvocato
Forese, descritto sporco-piccolo-malandato, dottissimo nelle leggi al contrario
dell’aspetto, mentre l’altro, Giotto, con lo stile e penna riusciva a dipingere
elementi pari a quelli della natura prendendola a modello ed ingannando
animali e uomini: egli ha merito di aver restituito all’arte la sua vita, andando
oltre il periodo in cui la rappresentazione appagava gli ignoranti e non i savi che
conoscono l’arte classica che aveva nella natura la sua maestra; si ha quindi
l’idea di un’arte che si muove a cicli, che parte dalla grandezza, poi morte ed
infine resurrezione con Giotto, umile e disinteressato =Egli non viene subito
detto brutto al pari di Forese, ponendo solo in coda all’encomio la descrizione
con contrappasso forte: i due se ne vanno dalla campagna bagnati fradici si
riconoscono e comprendono come i meriti vanno al dì della presenza
Firenze per il suo orgoglio oligarchico mantiene la sua indipendenza a contrario
delle altre città: crea una letteratura municipale cronachistica, che include
anche i pittori, ed in particolare Giotto; Longhi ricorda infatti nelle sue Proposte
alla fine del 300 Villani che modella i caratteri dei grandi pittori trecenteschi,
sulla falsa linea di Plinio, ne Liber De origine Civitatis Florentiae et eiusdem
famosis civibus del 1380: è un semiumanista a mezzo tra l’impegno civile nella
conduzione della città e la grande erudizione letteraria= qui racconta la nascita
di Firenze e dei suoi famosi abitanti, le sue glorie e come abbia resistito agli
assedi e alle invasioni e distruzione da parte dei barbari + include secondo uno
schema del mondo classico, le biografie e lodi di illustri cittadini, che vanno da
teologi-musicisti-astrologi-militari-buffoni-poeti, ma anche pittori
Il Libro dell’Arte di Cennino Cennini, in Letteratura Nazionale di Longi del 1952
su Paragone, introduce il 300 come il più grande secolo della nostra arte, in cui
si ha Cennino che riassume in modo perfetto l’intera esperienza della tradizione
giottesca= Egli lasciò Firenze dove si era formato nella bottega di Agnolo di
Taddeo Gaddi, senza cui non avrebbe creato quest’opera che lo ha consacrato ai
posteri, andando ben oltre il suo ruolo di allievo di un giottismo ormai superato:
a Padova scrive un libro di ricette e precetti, su come eseguire delle tecniche,
per i pittori padovani, scrivendo in volgare toscano con qualche idiotismo
padovano e straordinaria facoltà di presentare icasticamente i gesti propri
dell’arte, condensando tutta la tradizione giottesca Lo Schlosser dice che il
testo è stato scritto in prigione, desumendo l’informazione scorretta da una
versione manoscritta, infatti l’opera non è degli anni 20 del 400 ma degli anni
90 del 1300
Nell’incipit descrive la pittura come arte meccanica poiché fatta con le mani
(arti di cui la maggiore è la scienza), discendente dalla necessità di lavorare
dalla maledizione di Adamo ed Eva: crea una premessa che salva la pittura
dall’essere un genere troppo elevato e vi associa la mano e la fantasia =
consente di rappresentare sulla base di ciò che si vede nella natura l’ombra
degli oggetti (non troppo realistica) accompagnandosi con la fantasia
(accomuna pittura e poesia) per rappresentare con il supporto perfetto di essi=
l’operazione è quindi di mano ma anche di mente descrive la sua formazione
da Agnolo di Taddeo Gaddi per 12 anni a Firenze, dando sia la sua genealogia
anagrafica e quella del suo maestro Agnolo, ma anche quelle artistiche che
vedono Taddeo allievo di Giotto, affermando che sia colui che ha mutato l’arte di
greca in latina= egli crea le Storie della Vera Croce a Santa Croce a Firenze, di
cui le tecniche saranno riportate nel suo libro, che per tal ragione avrà ampia
diffusione (tecniche della pittura su tempera), essendo conosciuto anche da
Vasari e nel 600 da Baldinucci, essendo dimenticato fino ad essere riscoperto
con grande successo nell’800, con editio princeps nel 1821 e traduzioni in varie
lingue come in francese da Renoir
22/02/18
Lorenzo Ghiberti (1378-1455) scrive dal 1447-55 i Commentari pubblicati da
Schlosser poiché li riconobbe nella biblioteca nazionale fiorentina nel 1912: si
tratta dell’orefice e scultore autore della seconda e terza porta del battistero di
Firenze e primo personaggio che inaugura la letteratura rinascimentale con
effetti e risonanze diverse rispetto a Leon Battista Alberti con lo stesso ruolo,
ma con una cultura meno di transizione e più illuminata sebbene scrivano in
contemporanea+ Ghiberti ha una grande fortuna sia artistica che economica,
lasciando su Firenze un’impronta indelebile come per la seconda porta del
battistero di San Giovanni vincendo il concorso del 1401 dall’arte della Lana a
pari merito con Brunelleschi, e quella del Paradiso nel 1425 il cantiere di
maggior innovamento del rinascimento in cui si formerà anche Donatello; dalla
metà degli anni 40 del 400 egli, mentre crea la terza porta del battistero detta
da Michelangelo porta del Paradiso, comincia a mettere insieme degli scritti su
cui intende lavorare in vecchiaia per creare un testo poi incompiuto: esso avrà
una diffusione limitata tra i dotti fiorentini arrivando fino a Vasari, per poi essere
dimenticato fino ad essere ritrovato da Schlosser il titolo di Commentari fa
riferimento alle raccolte di fatti che si interessa fissare, insieme a riassunti e
rimandi bibliografici di testi che interessa rielaborare per scrivere qualcosa
d’altro; tal nome convenzionale viene dato da Schlosser e non da Ghiberti=il
suo intento non è letterario come quello di Alberti, ma avendo una cultura
letteraria limitata inizia con “io come schultore parlo”, affermando la sua
discreta cultura nella creazione del suo zibaldone in volgare di scritti con una
prima parte derivante da Plinio e Vitruvio (confronto con il latino) con
ragionamenti sull’origine dell’arte ed artisti antichi motivato dal clima
umanistico e la ricerca verso il passato (collabora con Leonardo Bruni per la
Porta del Paradiso, senza la moltiplicità di formelle di carattere gotico, ma con
poche formelle che raccontano in sintesi e con intelligenza: grandissimo
umanista) e poi il confronto
Al ragionamento sull’arte ed artisti antichi segue una seconda parte in cui si ha
il ragionamento sull’arte moderna, in cui dà conto degli artisti suoi
contemporanei cui si doveva la rinascita dell’arte: essendo consapevole di
essere parte di una genealogia di artisti che dall’inizio del 1300 che avevano
dato nuova vita all’arte agonizzante sul lessico greco e bizantino mostr