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STORIA DEL CINEMA ITALIANO
Dopo la fine della guerra, il cinema italiano entra i una fase di rinascita, che ha come protagonista
indiscusso il neorealismo.
Alla spinta innovatrice però si contrappongono forze antagoniste tanto da far ripartire due filoni
riassunti con una formula: o si fanno film sul popolo o per il popolo.
Da un lato i neorealisti cercano di far presa sulle platee portando in scena i drammi collettivi che
coinvolgevano tutti; dall'altra i registi più addestrati nell'imbonimento del pubblico si preparano ad
assecondare la tendenza a disastri dalla realtà presente, ricorrendo a moduli meglio collaudati dello
spettacolo del consumo.
Sia le opere più dichiaratamente commerciali sia quelle di maggiore dignità nascono tutte all'interno
del sistema industriale, anche se ormai i mezzi erano inadeguati.
Un sintomo significativo della forza di attrazione del movimento fu la moltitudine di registi che si
convertirono ad esso o cercarono di farlo. la qualifica neorealista poté legittimamente essere
attribuita per opere che poco avevano in comune, salvo l'impegno a riconsiderare dopo l'esperienza
fascista il rapporto fra individuo e società,raccontando storie drammatiche tali da coinvolgere gli
spettatori. la maggiore personalità in questo ambito è senza dubbio Rossellini. riesce a provocare
una rottura nel linguaggio cinematografico, aprendo ad una percezione immediata del reale.
Ma evidentemente il pubblico preferiva non vedere anche sul grande schermo i drammi della vita e
così le pellicole neorealiste non erano di certo in cima alle classifiche, anzi alcune di loro sono state
degli autentici flop al botteghino, e tanto per citarne alcuni sono: La Terra trema di Visconti,
Miracolo a Milano di De Sica, Germania Anno Zero di Rossellini ecc.
Ma in questo Rossellini però fu un maestro, trovò piena sintonia con la nuova epoca storica: seppe
coglierne l'essenza. Soprattutto in Roma Città Aperta, ambientato in un particolare episodio di
cronaca, seppe affrontare il tema dell'umanità, della lotta tra la vita e la morte. Costruisce dei
personaggi intrecciati tra loro, normalissimi nella loro quotidianità e li contrappone (accentuando i
toni) a dei biechi esseri spregevoli come le SS, facendo vedere le torture perpetrate da costoro con
estrema cattiveria (come la scena dell'ausiliare lesbica con la pelliccia).
Ma il regista riesce a creare attorno ai personaggi un clima di affettuosità calda e distesa, soprattutto
nella figura del parroco Don Pietro interpretato da un magnifico Fabrizi; quest'ultimo nella sua
scena madre dove davanti al cadavere di Manfredi lascia esplodere la sua indignazione attraverso
una lunga, ma bellissima invettiva contro i soldati tedeschi che come intimoriti arretrano. È un
personaggio importante quello del prete, anche se non è il protagonista, poiché è colui che possiede
una coscienza di valori umani più completa. Un episodio di vita vera si innalza a rappresentazione
della totalità dell'universo umano, di qui si vede la visione rosselliniana: la visione testimoniale che
lo porta ad infrangere le convenzioni dello spettacolo, riuscendo a incatenare l'attenzione del
pubblico seppur parlando di cose orribili con un linguaggio comprensibile a tutti.
Lo stesso programma sorregge anche il successivo Paisà, che si articola in 6 episodi e ambientati in
vari luoghi d'Italia disastrati dalla guerra, che vanno dalla Sicilia alle foci del po. Qui Rossellini
gioca allo scoperto, un appello ai sentimenti. È il destino dell'individuo ad interessare il regista, le
sorti di ogni essere umano, e riesce a mediare vicenda individuale e situazione sociale grazie alla
presenza filmica degli alleati: ovvero portatori di valori culturali, etici e politici positivi.
Ma la loro sola presenza non basta per risollevare le misere sorti degli italiani, come si vede meglio
nell'episodio napoletano e il nemico che viene combattuto sia da loro che dai nostri Paisà è
l'avversario dell'uomo per eccellenza, il nemico di tutti, la disuguaglianza, la discriminazione, la
cattiveria.
Il film con questi temi mostra la sua verità, il suo alto impegno civile e non è semplicemente una
rievocazione di una guerra passata ma bensì è un intervento sullo spirito pubblico, una iniezione di
fiducia nella nazione risorta verso il futuro.
Ma è con Germania Anno Zero che interrompe il dialogo con il pubblico. Se con Roma c'è stata una
concitazione romanzesca, e con Paisà una variazione di toni da novella, in questo film Rossellini si
attiene ad un monocromatismo nella filosofia del film,privo di ogni tinteggiatura effettistica,
raccontando degli eventi brutali del primo dopoguerra in Germania, soprattutto resi più
agghiaccianti dall'età del protagonista.
Ma il neorealismo era vivo in quel periodo, e aveva altri esponenti come Pietro Germi con i suoi
primi polizieschi con In Nome della Legge, un film che fornisce uno spaccato sociale di un
determinato ambiente e vuole restituire la condizione di fame e servaggio della povera gente di
Sicilia. Ad accentuare una coloritura romanzesca provvede una visione ottimista del fenomeno
mafia, ovvero dove non arriva lo stato ci arriva la mafia, tanto da allearsi con la legge. Un film
sicuramente rassicurante e adatto ad entusiasmare le platee.
Un differente cammino lo compie un altro regista neorealista come Giuseppe De Santis, soprattutto
con il suo Riso Amaro, producendo un opera di grande effetto, e fu il primo regista, dopo il Visconti
di Ossessione a rappresentare il sesso in una maniera non edulcorata. Come sfondo c'è la vita nelle
risaie, con una massiccia presenza di immagini pittoresche, e la critica sociale è mossa per
contrapporre all'unità sociale rappresentata dalle mondine affaccendate, gli incessanti tentativi di
divisione operati dai padroni: efficace è il riferimento alla discordia fra le mondine irregolari e
quelle regolari. Rappresenta un mondo sociale autonomo chiamato a dirigere il rinnovamento, non a
caso le mondine accorrono in massa a fermare l'allagamento dei campi e si considerano derubate dal
furto del riso, frutto del loro lavoro. Arruffato, esuberante Riso Amaro è un film ricco di vitalità.
Un altro dei maggiori esponenti del movimento neorealista fu De Sica, che con l'incontro con il
giornalista umoristico Zavattini formarono un prolifico duo che partorirà dei capolavori come Ladri
di Biciclette: una lunga giornata di un attacchino romano al quale viene rubata la bicicletta, unico
mezzo di trasporto per andare al lavoro appena trovato, e si metterà sulle tracce del ladro assieme a
suo figlio. Immersa in una società dove il furto di una bici assume le proporzioni di un dramma, la
storia è un alternanza di speranza rabbiosa e frustrazione impotente.
Quando disperato l'attacchino cercherà di rubare a sua volta un altra bicicletta, avendo saputo che la
sua non era più in possesso del ladro, verrà scoperto ma il proprietario capendo la sua disgrazia
decide di non denunciarlo: è una sfiducia amara verso i poteri pubblici. Il film finirà con la nota
sequenza dell'incontro tra due generazioni,il bambino che si fa adulto e stringe la mano del padre, a
testimoniare l'unità familiare ritrovata.
Se il Neorealismo non è stato tanto acclamato dal pubblico contemporaneo, nel 1949 ci fu in
inversione di tendenza grazie al film di Matarazzo, che aprì una nuova strada al cinema popolare
italiano. Le innovazioni portate da questa pellicola sono evidenti, soprattutto nei tradizionali schemi
narrativi. La vicenda è ambientata ai giorni nostri, tra figure di lavoratori prese dalla realtà degli
emigranti di allora, ci troviamo di fronte quasi ad un fatto di cronaca.
Catene si riallaccia all'insegnamento neorealista, ovvero esplorare la realtà della vita, del costume
popolare italiano, aderendo con simpatia alle sorti dei personaggi narrati.
Il successo è ampio, tanto da far nascere un filone denominato “neorealismo popolare” dove
vengono narrate si drammi della vita reale, ma tramite la lotta o arrendendosi al fato se non si può
combattere, si arriva all' Happy Ending. E in effetti il pubblico adora vedere dei personaggi
sventurati, soprattutto vicini temporalmente a loro, nei quali potersi immedesimare e sperare che
anche i propri di problemi possano concludersi piacevolmente. Ovviamente la mentalità che ispira
Matarazzo e i suoi successori è sicuramente di matrice cattolica, dove la giustizia divina deve
trionfare sul male.
Dopo la liberazione e fino al ´48 la produzione cinematografica italiana trascuró la commedia,mil
buonumore. Si pensava che il cinema dovesse adeguarsi al clima di tensione che si stava vivendo
dopo la guerra, occorrevano quindi tinte forti anche nelle trame.
In questa situazione ci furono alcuni tentativi del neorealismo di inserire una traccia di umorismo,
come in alcune interpretazioni di Anna Magnani o anche per alcuni film di Carlo Borghesio come
“Come persi la Guerra”, con il volto di Macario da protagonista, un antieroe all´italiana con un aria
umile, quasi chaplinesca, bastonato dalla sorte ma sempre confservando un candido pudore. La
critica italiana non accolse benevolmente questo film, a differenza di quella francese invece accolta
da vivaci consensi, ma anche al pubblico piaceva questo tipo di commedia. Ma questi anni sono
ricordati anche per l´ascesa di un nuovo comico nel panorama cinematografico, ovvero Totó. Il
successo arrivó subito, e iniziarono ad uscire dei film interamente dedicati a lui come “Fifa e
Arena”, o altri successivi come “Miseria e Nobiltá”, o “Totó,Peppino e la Malafemmina” che
riscontrarono un enorme successo di pubblico.
Ma Totó é stato soprattutto un divo dei poveri, ha incarnato le aspirazioni fantastiche, i sogni
frustrati, infatti tutti i suoi film erano confezionati per il consumo esclusivo delle masse meno
esigenti. Anche se le sue doti sono state molte volte salvatrici di pellicole raffazzonate, sciapite e
riempitive per alcune trame indecorose.
La sua parabola divistica inizia quando il regista Mattioli capí che doveva lasciare libero spazio alla
sua verve creativa, al suo repertorio da avanspettacolo e l´attore riusciva da solo a portare la
pellicola al successo.
Ovviamente vista la mole di successo anche altri registi vollero Totó nei propri film e adottarono la
stessa tecnica di Mattioli, quindi gli affidavano solo un canovaccio per cercare di mettere l´attore
nella situazione adatta e il resto veniva da se. Alle volte il pretesto narrativo era fornito addirittura
da semplici notizie di attualitá, o piú pigramente si affidavano a testi teatrali giá noti come Miseria e
Nobilt&aa