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SOCIALISTA RIFORMISTA ITALIANO;
i MASSIMALISTI con MUSSOLINI, interventisti, vengono poi espulsi e danno vita attorno al giornale “il
popolo d’Italia” ai FASCI DI COMBATTIMENTO;
i COMUNISTI che si scinderanno dal PSI formando il PARTITO COMUNISTA ITALIANO.
PARTITO REPUBBLICANO ITALIANO (1895)
Anche qst molto antico si basa sulle idee risorgimentali del MAZZINI. Di SINISTRA ma non marxista,
laico, si pone l’obiettivo di trasformare l’ITA in una repubblica democratica. Si opponevano ai moderati di
casa SAVOIA e al CAVOUR. Volevano il suffragio universale e si schierarono contro il fascismo tanto che
poi il partito viene sciolto.
PARTITO LIBERALE ITALIANO (1922)
Nasce per raccogliere tutte le anime liberali e liberiste italiane, gli eredi del liberismo di CAVOUR. Mette
dunque insieme le anime liberali in funzione antisocialista.
Inizialmente con GIOLITTI appoggiano il fascismo salvo poi ricredersi dopo il delitto Matteotti. Il partito
così, come tutti gli altri che non fossero il partito nazionale fascista viene sciolto. Sarà ricostituito nel 1943
su iniziativa di Benedetto CROCE e Luigi EINAUDI. Vanta i primi due PdR italiani: EINAUDI e DE
NICOLA.
PARTITO NAZIONALE FASCISTA (1921)
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I fasci italiani di combattimento , creatisi dalla fuoriuscita di Mussolini dal PSI, danno vita nel 21 a qst
partito (dalla parola fascio che evocava unione). Nel 1923 il partito si fonde con i NAZIONALISTI italiani
di ROCCO, D’ANNUNZIO, VERGA.
Diventerà de facto l’unico partito italiano durante il ventennio fascista.
L'organo ufficiale del partito era Il Popolo d'Italia, quotidiano fondato da Mussolini nel 1914. L'inno era
Giovinezza.
Quando Giolitti inizia la sua ultima esperienza di PdC trova una situazione veramente difficile dentro e fuori
dal parlamento. Dentro il parlamento la nuova legge elettorale aveva creato dei gruppi eterogenei e non si
riusciva più a creare una maggioranza compatta. Gli inciuci del secolo precedente di cui Giolitti era maestro
non servivano. Sembrava che quelle istituzioni così come erano non andassero più bene. Il parlamento dopo
la guerra è svilito del suo significato, atrofizzato. Il governo non è sufficientemente forte e appoggiato per
fare quelle riforme che servono al paese. Troppe anime e troppi scontri. Giolitti fa un programma di governo
con l’intento di salvare le istituzioni:
− vuole instaurare un nuovo rapporto tra Parlamento e Governo, ripristinando le attribuzioni legislative
parlamentari e riducendo le prerogative regie;
− vuole diminuire l’uso indiscriminato da parte del Gov. del “decreto legge” ai soli casi di urgenza e
necessità.
− abrogare l’art. 5 dello Statuto che giustificava le prerogative regie;
il parlamento però non appoggia il piano di rilancio del paese e la Corona, ovviamente, nn vuole rinunciare
alle sue prerogative.
Fuori dal parlamento in Italia imperversa il caos. Agitazioni popolari, rivolte nelle fabbriche, occupazioni e i
fasci di combattimento dediti a perseguire una giustizia privata e violenta.
I Fasci riunirono cittadini italiani accomunati dalla volontà di fermare l'attività bolscevica. La maggior
parte dei partecipanti della prima ora furono reduci interventisti della 1 GM. Molti di loro avevano
precedentemente militato in formazioni di sinistra (socialisti, repubblicani, sindacalisti rivoluzionari).
Le loro principali azioni, furono rivolte a contrastare l'ondata di scioperi promossi dal partito socialista.
Devastarono sedi di giornali, di partito e "case del popolo"; intervennero al fianco delle aziende agricole
durante il biennio rosso per fronteggiare i violenti disordini organizzati dai socialisti.
Giolitti come aveva fatto nei suoi due precedenti governi, decise di non reprimere le rivolte, ma cercò di
servirsi dei Fasci di combattimento dando loro piena libertà di azione, per riportare alla calma la situazione
italiana (questo incoraggiamento sarebbe poi stato determinante per l'ascesa in Italia di Mussolini e del
28 Il Manifesto dei Fasci italiani di combattimento fu ufficialmente pubblicato su Il Popolo d'Italia il 6 giugno 1919.
Qui vengono avanzate numerose proposte di riforma politica e sociale, per far "fronte contro due pericoli: quello di
destra e quello distruttivo di sinistra, rappresentando la "terza via" tra i due opposti poli e sviluppandosi nell'ambito
delle teorie moderniste sull'"Uomo nuovo". Solo parte di queste vennero realizzate durante il periodo del regime.
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fascismo).
Alle elezioni politiche del 21 egli cerca astutamente di fare quello che aveva sempre fatto. Trovare un
compromesso. Cerca pertanto di coinvolgere e inserire i fascisti in parlamento in una sua coalizione
conservatrice sì da poterli controllare. Li chiamarono BLOCCHI NAZIONALI ed effettivamente alle
elezioni la coalizione conquista molti voti. Così i fascisti (con 35 seggi) entrano per la prima volta in
parlamento.
Nelle intenzioni di Giolitti i fascisti dovevano essere strumentalizzati dal governo, in realtà furono loro che
strumentalizzarono il governo per la conquista del potere!
Nella coalizione di Giolitti le anime socialiste, popolari e liberali non possono più convivere e nel luglio del
1921 Giolitti da le dimissioni. Segue una breve parentesi del governo Bonomi (socialista riformista) a cui
segue il governo del giolittiano FACTA (liberale). Questi tiene il governo per meno di 8 mesi. Poi succede
che, scoprendo che i fascisti stanno organizzando la marcia su Roma, chiede al Re di dichiarare lo stato
d’assedio. Ma questi si rifiuta (non si conoscono le ragioni, si suppone che non volesse mettersi contro i
fascisti temendo ripercussioni per la monarchia). La marcia era stata preparata in gran segreto dai vertici
fascisti: Mussolini a Milano il giorno prima di quel 28 ottobre tiene due discorsi: uno in Piazza san Carlo
rivolto ai suoi e un altro indirizzato alla borghesia locale. Veicolò bene le idee, come poi avrebbe fatto
sempre nei 22 anni rivelandosi un grande stratega della comunicazione di massa e, soprattutto, non fece
capire cosa stesse per succedere. Contestualmente infatti a Napoli si radunano 60.000 camice nere che
sfilano in una sorta di rehearsal. Di notte assaltano i treni e si imbarcano alla volta di Roma. Facta dorme
quando lo avvisano. La spedizione dei fascisti è guidata dal QUADRUNVIRATO: BALBO, DE BONO,
BIANCHI, DE VECCHI. Facta corre dal re che come sappiamo non gli diede retta. Anzi, di tutta risposta fa
telegrafare a Mussolini di recarsi immediatamente a Roma per costituire il Governo. Il parlamento è
nuovamente scavalcato in pieno e sarà la fine dell’Italia liberale. È il 30 ottobre 1922, M. è PdC. Inizia la sua
ascesa: arriverà a nominarsi 1° maresciallo dell’impero e a esautorare tutti gli altri poteri dello stato creando
un vero e proprio regime dittatoriale.
La mattina seguente è quella del DISCORSO DEL BIVACCO: M. fa notare che avrebbe potuto prendere il
potere con la forza ma che non lo aveva voluto fare, ottenendolo invece legalmente. (“potevo fare di
quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo, ma non ho, almeno in questo primo tempo,
voluto”). Il parlamento, al fine di ristabilire l’ordine in un paese ormai in preda al caos, da pieni poteri al PdC
per attuare riforme amministrative e fiscali. Gli uffici considerati burocratici e superflui (creati per gestire il
periodo di guerra) vengono chiusi, l’intrusione dello stato nella vita economica ridotta. È un vero e proprio
PIANO DI FASCISTIZZAZIONE del paese. Allo scopo M. crea il GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO
che sostituiva un po’ la Presidenza del consiglio e si dota anche di un braccio operativo tutto suo, la
MILIZIA VOLONTARIA PER LA SICUREZZA NAZIONALE.
Erano i piccoli passi che portavano Mussolini a trasformare le istituzioni in un regime autoritario da lui
dominato.
Nel giugno del 23 maturò l’idea di una riforma elettorale. Voleva un consenso sempre maggiore. Non gli era
più sufficiente la fiducia della maggioranza. Voleva tutto il parlamento dalla sua parte! Rendere fascista il
Senato era facile: bastava ricorrere alle infornate dei senatori. Più difficile era avere nella Camera dei
deputati (elettiva) una salda base politica sostenitrice del suo regime. Per raggiungere lo scopo bisognava
modificare la legge elettorale.
Il Gran Consiglio del fascismo predispose una proposta di RIFORMA della legge elettorale: si trattava di un
sistema basato sul MAGGIORITARIO (consapevole che con esse si sarebbe affermata l’egemonia fascista).
Era vero che molte forze politiche condannavano il sistema proporzionale introdotto da Nitti, ma il sistema
maggioritario di certo non rendeva la Camera più rappresentativa. La legge venne approvata in luglio 1923 e
prevedeva che il territorio italiano avesse un UNICO COLLEGIO NAZIONALE e si riservava al partito che
avesse avuto il maggiore n. di suffragi, i 2/3 dei seggi della Camera. Il restante 1/3 dei seggi veniva
distribuito fra le liste minoritarie in base a % dei voti avuti da ciascuna di essa. Il vero scopo della legge era
quello di ottenere una più vasta maggioranza fascista alla Camera.
Questa maggioranza doveva essere più omogenea e unitaria e doveva investire il deputato di un reale potere.
Per questo la legge Acerbo introduceva il “principio della DESIGNAZIONE DALL’ALTO DEI
CANDIDATI”: essi venivano inseriti nel “listone” scegliendoli tra persone di fiducia del partito e del
governo (un po’ come avviene oggi). Le elezioni, peraltro, si svolgono in un clima non sereno: tutti ricordano
le recenti bastonate, persecuzioni e linciaggi dei dissidenti e degli oppositori politici.
Alle elezioni politiche del 6/4/1924 la c.d. LEGGE ACERBO consegna un grande successo al partito
fascista: 356 su 535 deputati fascisti o simpatizzanti del fascismo. Mentre la misera opposizione era formata
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da 39 deputati popolari, 46 socialisti e 19 comunisti.
Dopo la schiacciante vittoria fascista (notare come astutamente M. cerchi la via legale, la via della
legittimazione elettorale, per non “strappare”, per passare gradualmente da una situazione all’altra)
scoppiarono anche POLEMICHE in Parlamento sui metodi intimidatori usati durante la campagna elettorale.
Il 30/05/1924 Giacomo MATTEOTTI (politico di stampo socialista più volte eletto deputato) prese la parola
alla Camera per contestare i risultati delle elezioni mentre dai banchi fascisti si levavano urla e risate.
Matteotti pronunciò un discorso per denunciare tutte le violenze, gli abusi e le illegalità usate dai fascisti per
fare pressione sugli elettori, pur consapevole dei rischi che correva facendo quelle accuse. Infatti pochi gg
dopo venne rapito da un gruppo di fascisti (forse mandati dallo stesso Mussolini) e fu trovato assassinato
qualche mese dopo.
L’opposizione in Parlamento attuò