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Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, LM 81 (2014-2015) 32

massificazione della società intesa come anonima; in una società come macchina Heidegger sostiene che la

tecnica è essenza del ‘900.

L’essenza della percezione della crisi è che la tecnica disumanizza (Michela Nacci) in maniera

incontrollabile, l’essere umano è un mezzo per la tecnica – qualcosa di pericoloso di cui sospettare. Si lega

alla percezione della fine della civiltà, la degenerazione sociale è la scomparsa dell’élite, è il segnale che

mostra la fine della civiltà.

Oswald Spengler descrive l’epoca attraverso la contrapposizione tra civilisation (pensata come società delle

macchine) e kultur (alla tedesca), con la prima forma decadente della seconda; ne “Il tramonto

dell’Occidente”, lo sviluppo ciclico delle civiltà vede la fase kultur essere qualitativa incentrata sulla

gerarchia societaria e su un sistema di valori che vengono meno spingendo alla civilizzazione. Egli sostiene

che questa è la nostra rappresentazione ordinata; ogni civiltà ha una sua civilizzazione, termini finora

contrapposti oggi si susseguono, con la civilisation inteso come inevitabile destino (ritornano le filosofie

storiche) i Romani all’apice della civiltà greca, il loro posto è tra questi e il nulla. La civilisation è

momento cimiteriale ha solo i residui della vita, alla spiritualità segue la naturalità. Industria e finanza

automatizzando hanno creato un mondo lontano dalla stessa civiltà governato dalla borghesia. L’avvento

del cesarismo (dittature) spezzerà l’importanza del denaro e della sua forma politica, la democrazia; il

capitalismo e il socialismo configurano lo scontro tra denaro e diritto. Ma una potenza può essere

spodestata solo dalla potenza e non da un diritto, il sangue è necessario come mostrato dal periodo

imperiale Romano e Cinese, il tempo trionferà sullo spazio e supererà la decadenza. Ma per noi posti in tale

situazione storica è definita la direzione del nostro volere, non c’è spazio di agire perché non è ancora il

tempo della rinascita e della vita. Conclusione è “L’uomo e la tecnica”, di fronte al destino l’atteggiamento

utile è quello di Achille, un’immagine di vita eroica e breve meglio di una lunga infruttuosa, solo i sognatori

credono ad una via d’uscita, l’ottimismo è vigliaccheria.

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XVI Lezione

Autore che ha descritto bene la critica nei confronti della tecnica è Gunther Anders, pubblica nel 1956

“L’uomo è antiquato” e intorno a tale espressione costruisce una riflessione sul rapporto tra uomo e

tecnica. Nel quadro del dopoguerra – processo di Norimberga (e uomo-giudice della mostruosità) e delle

bombe su Hiroshima e Nagasaki (la mostruosità dell’uomo) – segnato dal trauma della bomba, è stato un

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problema molto sentito che ha generato la percezione di una possibilità immanente di distruzione.

Pierpaolo Portinaro, studioso di filosofia politica, analizzando Anders sottolinea che la “vergogna

prometheia” porta l’uomo a vergognarsi di qualcosa che ha costruito in quanto non più capace di

comprenderlo appieno. Una frustrazione dell’uomo faber che porta all’esplosione di una frontiera

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dell’alienazione umana ; l’assunto di partenza è che la società consumistica ha spinto l’uomo a crederla

poco comprensibile e, quindi, non governabile la tecnica diviene proprietaria della storia.

Un’inadeguatezza dovuta al fatto che ciò che abbiamo creato non restituisce la nostra grandezza ma la

nostra piccolezza (qualcosa di simile affermato anche dalla “gabbia di acciaio” di Weber), l’uomo è

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antiquato e inferiore, degradato da artefice ad operatore e da operatore a residuo produttivo . Libere

sono le cose e mancante di libertà è l’uomo che diviene prigioniero della macchina. Quello che all’inizio era

la vergogna (la percezione di non essere all’altezza) nella seconda edizione dello stesso libro del 1980

diviene un’adorazione – parlerà di “narcisimo prometheio” – come se il rapporto con la macchina ci

restituisse qualcosa; resta comunque la sensazione di una distanza tra la nostra natura e la macchina.

Anders definisce tale scarto “dislivello prometheio” ovvero i prodotti esigono da noi qualcosa che noi non

possiamo dare. Approda a un ridefinizione della condizione umana che porta il nostro disagio verso la

tecnica a tradursi in una sensazione di disagio nel nostro appartenere al mondo e alla comunità. Per questo

ora i nostri bisogni sono indirizzati dal sistema complessivo opposizione tra senso di potenza e di

inferiorità. Per Anders siamo incapaci di farci immagine di ciò che produciamo per cui siamo “utopisti

invertiti”, e qui nasce il dislivello ovvero l’impossibilità di immaginare tutte le applicazioni di ciò che

abbiamo creato. La tecnologia è una potenza sociale totalitaristica che si è evoluta attraverso la

concatenazione di 3 rivoluzioni industriali (ciascuna ha ampliato la base precedente, non si sono

semplicemente susseguite):

1. Introduzione del macchinismo, la costruzione con una ripetizione di movimenti di macchine

attraverso altre macchine che produrranno nuovi movimenti. Una serie di intervalli continuati che

riproducendosi per perfezionare la tecnica non sono più controllabili;

2. Produzione di bisogni e colonizzazione dell’uomo da parte della tecnica. Decisivo è il ruolo della

pubblicità soprattutto basata sulla distruzione (per introdurre la novità ho bisogno di distruggere il

vecchio);

3. L’uomo copiando la natura è finito per trasformarla, sostituendosi ad essa (come intervenire nella

catena atomica o nella genetica).

La prima rende superfluo l’uomo, la seconda lo sottomette con i bisogni, la terza lo distrugge perché

incontrollabile. Emblema della terza fase è la costruzione della bomba atomica che non è più cancellabile,

ci troviamo in una situazione di impotenza dinanzi a una creazione il reale, in quanto elemento che si

oppone alla nostra immaginazione, è diventato una nostra creazione. L’atomica è un iper-realtà, non

riusciamo a concepire di poter cancellarla. La bomba è il massimo del processo creativo così come di quello

distruttivo.

Alcuni autori hanno ragionato sulla decolonizzazione e il razzismo come Aimé Césaire, Albert Memmi e

Frantz Fanon. Césaire, martinicano e maestro di Fanon, si formò a Parigi e fu vicino al primo presidente del

Senegal (e poeta) Lèopold Senghòr, con cui fondò la rivista “Lo studente nero” da cui origina questo

movimento e il concetto di negritudine. Pubblica inoltre “Discorso sul colonialismo” (1950), pamphlet di

denuncia del colonialismo buono, smontando dall’interno il mito colonialista e mostrando la sua violenza;

tale violenza la cerca nel cuore della società occidentale. L’ambiguità europea a mostrare la propria

violenza come valore caratterizzante, il colonialismo non è qualcosa di esterno ma è strutturale della

12 Clima della guerra fredda

13 Ripresa da Karl Marx

14 Hannah Arendt, “La banalità del male”, la macchina burocratica che va da sè

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mentalità una civiltà incapace di risolvere i problemi derivati dal suo funzionamento è decadente, chiude

gli occhi davanti all’evidenza. L’Europa è incapace di giustificarsi traducendo le proprie mosse in ipocrisia.

La colonizzazione non è evangelizzazione, non è impresa filantropica, né illuminazione ma è volontà di

allargare i propri spazi commerciali per cui essa nasce, prima che dagli stati, dagli avventurieri

commercianti spirito di commercio.

L’ipocrisia è recente dato che ad esempio Cortés non cerca giustificazioni, uccide e basta, ma l’origine del

male è la visione cristiana del proprio messaggio di colonizzazione degli inumani selvaggi pagani. L’Europa

ha assorbito le idee del mondo, ha la fortuna di essere un incrocio che l’ha convinta di avere in mano la

civilizzazione intendendola come imposizione e non come dialogo tra culture. Però Ceasaire nell’attaccare

tale contatto naturale tende a sviluppare un’eguale idea di colonizzazione che comunque è una

categorizzazione (sembra dunque entrare in contraddizione). Analizza il colonialismo sostenendo che

compare in Europa (come sostenuto da Traverso, il nazismo è colonizzazione interna) e viene avvalorato

perché non diretto a popolazioni extra-europee, ha rivelato la violenza e lo scandalo della violenza

esercitata in Europa ha mostrato il vero lato del colonialismo. Hitler non è eccezione o negazione della

cultura europea capitalista ma è rivelazione della sua natura, è l’evidenza storica di quanto presente nella

civiltà europea.

La colonizzazione disumanizza anche il colonizzatore, anche il più civilizzato, il disprezzo dell’uomo

indigeno porta a trasformare egli stesso in bestia; i paesi nuovi danno spazio agli istinti violenti dell’uomo

che verrebbero condannati nelle metropoli (Todorov e la percezione della lontananza delle colonie), la

costruzione di uno spazio dove è possibile ciò che è lontano dal diritto. La colonia annulla il contatto umano

tra uomini diversi, la violenza lo occupa trasformando il colonizzatore in padrone e il selvaggio in

produttore di ricchezza. Alla cultura autoctona distrutta vengono opposte strade, a milioni di uomini morti

o in cui è instillata la percezione di inferiorità si oppongono modelli di sviluppo orientati sul beneficio delle

metropoli. Abusi europei che hanno sostituito quelli dei tiranni locali, oppure vi si sono sovrapposti. Società

ante-capitaliste e anti-capitaliste, di stampo fraterno, senza pretese di essere “l’idea” come l’Occidente, si

accontentavano di essere. Ceasaire si propone come cantore di veri valori umani universali e non come

anti-occidente; lo sviluppo sarebbe stato raggiunto ugualmente in modo non violento, ma è ora impossibile

definire quale sarebbe stato l’europeizzazione era già in corso senza la manomissione europea, lo

sviluppo europeo è positivo ma non con le modalità di colonizzazione che li ha reificati (resi delle cose). Si

tratta di autori che ha

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
42 pagine
1 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Malf92 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Pensiero politico della colonizzazione e della decolonizzazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Ruocco Giovanni.