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DRIANA AVARERO
Filosofia della narrazione, Feltrinelli, Milano 1997, p. 7).
Ciascun soggetto, oltre ad avere la necessità di raccontare se stesso – come dice Duccio
Demetrio –, desidera anche sentire la propria storia raccontata da un altro. Cavarero parla
del noto episodio in cui Ulisse, accolto dai Feaci, sente raccontare la sua stessa storia;
sentendola raccontare da un altro, piange. Raccontare e farsi raccontare.
Lezione 2 – 16 gennaio 2015
La vecchia scuola era ossessionata dai contenuti della conoscenza; oggi sappiamo che più
che la conoscenza, l’obiettivo dell’istruzione è insegnare le capacità per raggiungere ed
elaborare i contenuti, ossia usare le risorse disponibili per imparare, come libri o internet. In
altre parole noi dobbiamo insegnare a imparare: cosa del resto assai più importante nella
vita, che non i contenuti in sé; questa capacità si chiama metacognizione, ossia la capacità
di incrementare da soli la propria conoscenza. Dobbiamo insegnare ai ragazzi a imparare a
dire e a scrivere ciò che sanno e ciò che pensano.
La competenza simbolica è la componente più importante dell’insegnamento; la
competenza simbolica non è solo la capacità di trasformare in parole i propri pensieri, ma
anche il modo, l’atteggiamento in cui un dato argomento di presenta.
Un gatto quando nasce è già in tutto e per tutto gatto; l’essere umano invece non nasce
subito essere umano: nasce con tutte le potenzialità dell’essere umano, ma si costruisce un
po’ alla volta tramite l’incontro con la cultura. Quindi compito dell’educatore è soprattutto
strutturare l’identità personale, fornire gli strumenti per costruire la propria identità. Bisogna
dare importanza alla conversazione, alla capacità di essere autonomi.
La dimensione nascosta dell’identità
L’identificazione
I nostri processi di costruzione identitaria non sono tutti consci; grazie alla psicanalisi
abbiamo scoperto che la maggior parte dei processi di identificazione sono inconsapevoli.
Nel percorso di costruzione dell’identità, due sono i processi principali: identificazione e
individuazione. Il concetto di identificazione risale a Freud:
Con il termine IDENTIFICAZIONE (Freud) si indica il processo attraverso il quale
ciascuno, per costruire la propria identità personale, assimila uno o più tratti di un altro
individuo adattandolo a sé.
L’identificazione nei primi anni di vita è fondamentale; tuttavia, se poi non ci si distacca
dall’oggetto con cui ci si identifica, può essere pericolosa, perché il soggetto che si
identifica non sarà mai all’altezza di quello con cui si identifica, perché è mitizzato, e
l’identificazione diventa un’ossessione.
Identificandosi il soggetto “prende a prestito” l’identità di qualcun altro per costruire la
propria portando su di sé le caratteristiche ritenute positive o interessanti di un’altra
persona.
Identificarsi non significa voler essere quella persona; significa apprezzare alcuni aspetti di
della persona e volerli fare propri (mio padre è molto bravo a guidare, allora mi faccio
insegnare da lui, mentre magari un’altra cosa me la faccio insegnare da mio zio).
Identificazione è anche fenomeno inverso: il soggetto riconosce se stesso nel
comportamento di qualcun altro. Si specchia, cioè, in qualcuno che gli somiglia per
aspetto fisico, carattere, valori morali e le tensioni ideali rispetto alle quali indirizza la sua
vita. In questo secondo caso non sono le caratteristiche dell’altro ad essere introiettate,
ma le proprie, già presenti in modo esplicito o in dimensione potenziale e “latente”, che
vengono scoperte e valorizzate come positive e accettate come proprie grazie al
rispecchiamento.
Incontrando qualcuno che troviamo interessante, scopriamo che la qualità che ci sembra
interessante di quella persona ce l’abbiamo anche noi, e quindi si tratta di una
identificazione per scoperta, non per costruzione. Questo serve per prendere coscienza della
nostra qualità, ma anche per metterle a punto.
C’è poi l’identificazione paritaria, che si realizza quando più soggetti costruiscono
insieme le loro identità all’interno di un progetto volto non alla costruzione di un io ma
piuttosto di un noi diventando una compagnia teatrale, una band musicale, un gruppo
sportivo. Il fenomeno può riguardare anche la vita di coppia, o il modello culturale della
cosiddetta “famiglia”. Quando l’operazione riesce è il gruppo, e non il soggetto, a
realizzarsi come modello di identificazione, per cui ciascuno si sente realizzato dal punto
di vista identitario perché si riconosce e si vede riconosciuto nell’immagine di membro
del gruppo.
L’identificazione paritaria è tipica dell’adolescenza, è il gruppo degli amici che creano una
propria identità collettiva. Questo è un passaggio fondamentale, perché segna l’uscita dalla
dipendenza psicologica e affettiva dei genitori.
Anche la scuola dovrebbe permettere di creare gruppi, che si dovrebbero creare però a
partire da una proposta scolastica (come nel film L’attimo fuggente, in cui Robin Williams
aveva esortato i ragazzi a creare un gruppo di poesia).
Identificazione è anche il fenomeno per cui le caratteristiche di qualcuno vengono scelte
come sgradevoli e la costruzione del proprio profilo identitario assume come modello
negativo la caratteristica di qualcuno a cui non si vuole assomigliare.
Si tratta di un’identificazione in negativo: le caratteristiche di qualcuno, che troviamo
sgradevoli, vengono prese come modello da non seguire, o magari in cui eccellere (mio
padre ha un comportamento che non sopporto, io allora cercherò di avere il comportamento
opposto).
L’individuazione
L’INDIVIDUAZIONE (Jung) è un processo di differenziazione che ha per obiettivo lo
viluppo della personalità individuale. Consiste nel far emergere, valorizzare e
perfezionare le proprie caratteristiche di particolarità e di unicità.
L’individuazione è stata messa a punto da Jung. Mentre l’identificazione si serve della
personalità di qualcun altro per costruire la propria, l’individuazione è un processo
intrapsichico, in cui il soggetto guarda cosa gli piace di se stesso, e cerca di perfezionare
questi aspetti. Jung diceva che il processo di identificazione è tipico dell’infanzia e della
giovinezza, perché il soggetto ha ancora una personalità fragile e cerca i modelli fuori di sé;
l’individuazione comincia invece solo più avanti e riesce – se riesce – solo in vecchiaia.
Inoltre l’identificazione è di tutti, mentre l’individuazione solo di alcuni, solo di chi ha
particolari doti anche di carattere culturale. Tuttavia tale teoria di Jung è stata in parte
smentita dagli studiosi successivi, che ritengono che l’individuazione sia un processo che
avviene in tutti.
Il processo di individuazione agisce su due livelli: nel primo, osservabile nei primi anni
di vita dei bambini, l’io – inteso come coscienza di essere soggetti, di essere unici –
costruisce se stesso differenziando le istanze psichiche inconsce da quelle consapevoli.
A livello intrapsichico – a livello cioè di relazione interpersonale – il processo di
individuazione ha la funzione di mettere in ordine il più possibile le istanze consce ed
inconsce e creare l’equilibrio soggettivo fra gli impulsi dell’Es – le pulsioni desideranti,
l’istinto vitale, la libido –, le regole morali e le tensioni ideali che si strutturano nella
personalità (e che divengono pian piano organiche all’identità interiore) e la necessità di
costruire l’io come persona, come soggetto presentabile e capace di relazione
intersoggettiva.
A livello interpsichico il processo di individuazione ha a che fare più direttamente con
la dimensione storica, sociale e antropologica dell’identità. Consiste, infatti, nel
differenziarsi o nel trovare il proprio stile personale rispetto all’adesione alle forme
collettive d’esistenza e all’assunzione dei modelli culturali del gruppo d’appartenenza.
L’individuazione è un bisogno indispensabile per ogni persona, il bisogno di
autoaffermazione, di essere presentabili agli altri. Chi insegna deve favorire al massimo
questo processo, valorizzando ciò che il ragazzo sa fare, in modo da creare persone
autentiche ed evitare che si creino dei “falsi io”, e che gli studenti si convincano cioè che
per essere presentabili debbano essere diversi da ciò che sono. Nostro scopo è vedere cosa
nella gamma formativa può favorire e valorizzare l’individuo.
I processi di apprendimento di tipo mnemonico e l’educazione di tipo adattivo
realizzano un’idea di educazione in cui prevale il valore dell’IDENTIFICAZIONE,
quando si valorizza la dimensione creativa e METACOGNITIVA si privilegiano i
processi di INDIVIDUAZIONE.
Per Edgar Morin una corretta esperienza scolastica, capace di formare una ‘Testa ben
fatta’ si basa su un processo di CO-COSTRUZIONE DELLA CONOSCENZA. E.
M , La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Cortina
ORIN
Editore, Milano 2000).
L’educazione scolastica ha, fino ad ora, cercato di favorire soprattutto processi di
identificazione, attraverso la standardizzazione dei contenuti, delle consegne, delle
valutazioni comparative che, applicate a particolari prestazioni cognitive e esecutive, si
sono spesso trasformate in giudizio sul soggetto.
Tutto questo veniva attuato in nome del valore dell’uguaglianza.
È difficile che, soprattutto nel rapporto genitori-figli, il giudizio espresso sulla materia non
diventi anche un giudizio sulla materia: questo va assolutamente evitato.
Crisi d’identità
Oggi si sente parlare spesso di crisi d’identità.
In crisi sono i modelli di identità collettiva (sessuali, sociali, morali, religiosi) perché le
società ‘liquide’ e complesse, molto meno omogenee di quanto non fossero in passato,
non consentono di costruire la propria identità per semplice adeguamento (o opposizione)
al modello dominante.
Il modello dominante non c’è più.
La crisi d’identità c’è quindi perché non c’è più, come un tempo, un solo modello di uomo
o di donna, ma ce ne sono innumerevoli. Ciò significa che non è più possibile identificarsi