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TECNICHE QUANTITATIVE
La ricerca quantitativa è quella più formalizzata, non solo in termini di specifiche procedure osservative ma anche per
quanto riguarda la sequenza dei passi da compiere nell’intero itinerario di ricerca. La ricerca scientifica è un processo
creativo di scoperto che si sviluppa secondo un itinerario prefissato e secondo procedure prestabilite che si sono
consolidate all’interno della comunità scientifica.
Il lavoro dello scienziato non consiste solo nel produrre teorie, ma anche nel metterle alla prova. Questa fase, sia che si
sviluppi sul piano dell’esame logico-formale della teoria, sia che affronti il tema della sua congruenza con la realtà,
deve seguire regole ben precise. La prima regola fondamentale della ricerca empirica è che essa deve svilupparsi
all’interno di un quadro collettivamente condiviso. Questo aspetto collettivo-pubblico ha una duplice connotazione e
nasce da una duplice esigenza. Da una parte implica il controllo, dall’altra la cumulatività. L’itinerario tipo che un
ricercatore sociale segue consiste in un percorso ciclico che inizia dalla teoria, attraversa le fasi di raccolta e analisi dei
dati e torna alla teoria. La prima fase è quella della teoria, la seconda è quella dell’ipotesi e il passaggio fra le due
avviene attraverso il processo della deduzione; l’ipotesi rappresenta un’articolazione parziale della teoria, e rispetto ad
essa si pone ad un livello inferiore in termini di generalità. La teoria è “generale” mentre l’ipotesi è “specifica”. La terza
fase è quella della rilevazione empirica, o per meglio dire della raccolta dati, e ad essa si arriva attraverso un processo di
operativizzazione, e cioè di trasformazione delle ipotesi in affermazioni empiricamente osservabili; tale processo è assai
complesso e può essere distinto in due momenti: l’operativizzazione dei concetti, e cioè la trasformazione dei concetti
in variabili (entità rilevabili) e la scelta dello strumento e delle procedure di rilevazione. Terminata la raccolta del
materiale empirico, si passerà alla quarta fase, quella di analisi dei dati, che sarà preceduta da un intervento di
organizzazione dei dati rilevati. In genere si dà il nome di informazioni ai materiali empirici grezzi non ancora
sistematizzati, e quello di dati agli stessi materiali organizzati in modo tale da essere analizzati. Nella ricerca
quantitativa, il processo di organizzazione consiste nel trasformare le informazioni in una matrice rettangolare di
numeri, ossia la matrice dei dati. La quinta fase è quella della presentazione dei risultati, alla quale si arriva attraverso
un processo di interpretazione delle analisi statistiche condotte nella fase precedente. Infine il ricercatore torna al punto
iniziale, e cioè alla teoria, mediante un processo di induzione, che a partire dalle risultanze empiriche si confronta con le
ipotesi teoriche di partenza, per arrivare ad una sua conferma o ad una riformulazione.
Dalla teoria alle ipotesi
Una teoria è un insieme di proposizioni (sistema coerente di affermazioni causali) organicamente connesse, che si
pongono ad un elevato livello di astrazione e generalizzazione (la teoria trascende le specifiche espressioni empiriche
sia dal punto di vista concettuale sia da quello del campo di applicazione) rispetto alla realtà empirica, le quali sono
derivate da regolarità empiriche e dalle quali possono essere derivate delle previsioni empiriche.
Una proposizione teorica deve poter essere articolata in ipotesi specifiche. Per ipotesi si intende una preposizione che
implica una relazione tra due o più concetti, che si colloca su un livello inferiore di astrazione e di generalità rispetto
alla teoria e che permette una traduzione della teoria in termini empiricamente controllabili. Sono due i caratteri
distintivi dell’ipotesi: da una parte la sua minor astrazione in termini concettuali e la sua minor generalità in termini di
estensione rispetto alla teoria, dall’altra il suo carattere di provvisorietà.
La validità di una teorizzazione dipende dalla sua trasformabilità in ipotesi empiricamente controllabili. Il criterio della
controllabilità empirica è il criterio stesso della scientificità. Se una teoria è vaga e confusa sarà difficilmente passibile
di tali trasformazioni.
Dai concetti alle variabili
Con il termine concetto ci si riferisce al contenuto semantico dei segni linguistici e delle immagini mentali. Nel suo
significato etimologico sta a significare l’azione di ordinare il molteplice sotto un unico atto di pensiero. È il mezzo
attraverso cui l’uomo può conoscere e pensare; ed è il fondamento di ogni disciplina scientifica, la quale consiste nel
conoscere per variabili. I concetti possono far riferimento a costruzioni mentali astratte che è impossibile osservare
direttamente; essi sono i “mattoni della teoria” e attraverso la loro operativizzazione si realizza la traduzione empirica di
una teoria. È dal concetto che viene gettato il ponte che connette la sponda teorica a quella del mondo empirico
osservabile. Se la teoria è una rete di connessioni fra entità astratte rappresentate dai concetti, una volta che tali entità
astratte diventano concrete, tutta la rete teorica diverrà concreta, essendo possibile stabilire le stesse connessioni fra i
concetti resi concreti, trasformati cioè in entità empiricamente osservabili.
-il primo passaggio del processo di traduzione empirica dei concetti consiste nell’applicarli a oggetti concreti, farli
diventare cioè attributo o proprietà di oggetti, degli specifici oggetti studiati, che chiamiamo unità d’analisi. Non
necessariamente i concetti-proprietà dell’analisi sociale devono essere rappresentati da concetti complessi: anche
concetti semplici e facilmente registrabili come il genere e l’età… Queste proprietà assumono, sugli oggetti ai quali
afferiscono, stati diversi, cioè variano fra le unità di analisi.
-Il secondo passaggio per rendere empiricamente operativo il concetto-proprietà consiste nel darne una definizione
operativa, nello stabilire cioè le regole per la sua traduzione in operazioni empiriche.
-Il terzo passaggio consiste infine nella applicazione delle sopracitate regole ai concreti casi studiati: è questa la fase
della operativizzazione in senso stretto. La definizione operativa viene ancora fatta a tavolino; l’operativizzazione è la
sua traduzione pratica.
Chiamiamo variabile la proprietà cosi operativizzata. Chiamiamo moalità gli “stati” operativizzati della proprietà, a
ognuna delle quali viene assegnato un differente valore simbolico, normalmente costituito da un numero.
operativizzare: si una per denominare il passaggio da proprietà a variabile; consiste in un’operazione diversa
dalla misurazione, che a seconda dei casi consiste in una classificazione, in un ordinamento oppure in un
conteggio.
Variabili
Per variabile si intende dunque un concetto operativizzato. Essa consiste più precisamente nella proprietà operativizzata
di un oggetto, in quanto il concetto, per poter essere operativizzato, ha dovuto essere applicato ad un oggetto
diventandone proprietà. Non c’è una corrispondenza biunivoca tra concetto e variabile; una variabile può “variare” fra
diverse modalità, corrispondenti ai diversi stati della proprietà.
Di fatto la variazione di una variabile può realizzarsi in due modi: nel tempo, su uno stesso caso oppure fra i casi, nello
stesso tempo. Si parla nel primo caso di studio longitudinale e nel secondo di studio trasversale.
È necessario analizzare quattro criteri di distinzione fra le variabili:
1- Variabili non manipolabili e variabili manipolabili. Fra le prime si collocano tutte le proprietà dell’unità
d’analisi che non sono modificabili dal ricercatore. Le variabili manipolabili sono invece quelle che il
ricercatore controlla e può modificare attivamente. (la maggior parte delle var di ricerca sociale sono del primo
tipo).
2- Variabili dipendenti e indipendenti. Riguarda il loro ruolo nell’analisi dei dati, la loro utilizzazione nella
spiegazione scientifica. In una relazione asimmetrica tra due variabili, quando cioè una variabile influenza
un’altra, chiamiamo variabile indipendente quella che influenza, e dipendente quella che viene influenzata.
L’identificazione della variabile dipendente e delle indipendenti rappresenta una chiarificazione concettuale
assolutamente fondamentale ai fini dell’analisi di un fenomeno sociale. Questa distinzione è però applicabile
solo quando siamo in presena di relazioni di influenza asimmetrica fra le variabili.
3- Un terzo modo di classificare le variabili si distingue fra variabili latenti e variabili osservate. La distinzione si
basa sull’osservabilità, cioè sulla possibilità di rilevazione empirica. Le prime sono variabili non direttamente
osservabili in quanto rappresentano concetti molto generali o complessi, per operativizzare i quali si fa ricorso
a variabili osservabili ad esse semanticamente legate.
4- Un’ultima distinzione è quella fra le variabili individuali e collettive. Nelle scienze sociali si utilizzano spesso
variabili che non sono proprietà di individui ma di gruppi. Si possono distinguere tra queste le variabili
aggregate, dove le proprietà del collettivo derivano da proprietà dei singoli componenti del gruppo; e le
variabili globali, che sono caratteristiche esclusive del gruppo che non derivano da proprietà dei membri che lo
compongono.
Variabili nominali, ordinali e cardinali
-Nominali. Abbiamo una variabile nominale quando la proprietà da registrare assume stati discreti non ordinabili; la
proprietà può assumere solo una serie di stati finiti: es. religione, nazionalità…
Gli stati di una proprietà così descritta sono chiamati “categorie” e sono chiamate “modalità” le categorie operativizzate
e “valori” i simboli assegnati alle modalità. La procedura di operativizzazione è in questo caso la classificazione; ci
troviamo ai livelli inferiori di formalizzazione matematica. Le categorie nelle quali gli stati della proprietà vengono
classificati devono avere il requisito della: esaustività, mutua esclusività, unicità del criterio di divisione. Alle modalità
si associa un simbolo chiamato valore, che generalmente è un numero assegnato in modo casuale.
-Ordinali. La proprietà da registrare assume stati discreti ordinabili.L’elemento che distingue questo livello dal
precedente è l’esistenza di un ordinamento, che permett