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SEMPLICI COMPOSTE UNIVERSITATES
Le res semplici hanno un corpo singolo isolato
Es. lo schiavo, il diamante
Le res composte sono l’unione o la connessione artificiale di più cose semplici
ognuna delle quali avrebbe una sua individualità ma messe insieme formano un
unità a sè stante.
Le res universitates sono l’unione di più cose semplici o composte che creano una
cosa collettiva nuova nel suo insieme rispetto quelle che la compongono
Es. il gregge (unione di più cose semplici)
la biblioteca (unione di più cose composte: i libri)
se costituisco un gregge e ho 100 pecore e decido di darlo in gestione,
l’usufruttuario deve fare la summissio: sostituire ogni pecora che muore con uno
appena nato in modo da mantenere il numero originario di capi in partenza.
Se muoiono 2 pecore e ne nascono 10, 2 le metterò nell’universitates mentre le
altre 8 andranno all’usufruttuario e non al porprietario dle gregge.
9. RES
FRUTTIFERE INFRUTTIFERE
Una cosa si dice fruttifera quando genera periodicamente e organicamente una
entità materiale che staccandosi dalla cosa madre acquista una propria autonoma
destinazione economico – sociale, senza provocare danno alla cosa madre.
(il partus ancille = figlio di una schiava, non è fruttifero in quanto non periodico).
IL DIRITTO DI PROPRIETÀ
Il diritto di proprietà è il principale tra i diritti reali e per capirlo sarà necessario
partire non dal diritto romano ma da quello che asserisce uno dei principali tra i
codici moderni, ovvero il codice napoleonico.
Viene promulgato nel 1804 ed è il primo dei codici civili che inaugura una stagione
lunga , quella del 1800, cui su modello di questo vengono redatti i codici civili di
tutta l'Europa.
Da qui, attraverso successive mutazioni, arriva ad affermarsi in tutto il mondo per
esempio in America Latina oppure i Giappone attraverso la mediazione culturale del
codice tedesco che a sua volta prese forma su modello di quello francese -
napoleonico.
I compilatori del codice napoleonico hanno dato ordine ed hanno aggiornato le
sistematiche del corpus iuris di Giustiniano, quindi la base sono le fonti giuridiche
romane che vengono risistemate, assemblate, divise in libri a seconda
dell'argomento (diritti di famiglia, diritti reali, obbligazioni etc), e ovviamente questa
sistemazione tiene conto di quello che è accaduto pochi anni prima, ovvero della
Rivoluzione Francese.
Napoleone promulga il primo codice civile della storia che è classicamente un codice
civile di stampo borghese. Nel 1789 abbiamo il trionfo della borghesia sulla classe
nobile e clericale e la prima aspirazione del terzo stato è il riconoscimento e la tutela
della proprietà privata, anzi si può dire che è la cifra fondamentale della Rivoluzione
e quindi poi del codice civile che ne è figlio è la coincidenza della nozione di cittadino
con quella di proprietario perché sono cittadini a tutti gli effetti solo e soltanto i
proprietari.
Quindi tutto il sistema del codice civile francese ruota intorno al diritto di proprietà
che viene definito con buona approssimazione il “diritto egoista”, cioè è il trionfo del
singolo rispetto alla collettività e badate che rispetto all'ancien regime era un fatto a
dir poco rivoluzionario.
Nell'articolo 544, che è quello chiave, si afferma che “.... la proprietà è il
diritto di godere e di disporre delle cose nella maniera la più assoluta purché non se
ne faccia un uso proibito o fuori dai regolamenti...”.
In questo periodo nasce il concetto di assolutezza della proprietà. Questa nozione
viene elaborata sulla base dei testi romani dai quali estraggono questa nozione
piegandoli alle loro esigenze.
Si tratta di evento straordinario per l'epoca.
In Italia mentre c'è la promulgazione del codice napoleonico, manca l'unitarietà del
paese che si raggiungerà solo nel 1861, anno dopo il quale si da subito l'incarico di
redigere un codice civile per l'Italia unita. Promulgato nel 1865, questo è l'articolo
riguardante il diritto di proprietà n° 436 : “il diritto di proprietà è il diritto di godere
e di disporre delleproprie cose nella maniera più assoluta purché non se ne faccia un
uso al di fuori della legge e dei regolamenti”.
È identica a quella del codice napoleonico, gli italiani operano un vero e proprio
calco della legge francese con 60 anni di ritardo.
Nel nostro ordinamento entra il concetto di assolutezza del diritto di proprietà,
trascorrono i decenni ed arriviamo a quello che è il nostro attuale codice civile,
promulgato nel 1942 sotto il regime fascista ma non è un codice civile di stampo
fascista. Tra coloro che lo redigono molti sono professori di diritto romano che,
ancora una volta, hanno due modelli di riferimento: uno è sempre il codice
napoleonico che è entrato nel nostro ordinamento attraverso il codice del 1865, le
altre sono le fonti giuridiche romane.
Nel 1942 all'articolo 832, che è ancora vigente, parla della proprietà affermando che
si tratta del “diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo entro
i limiti e con l'osservanza delle norme stabilite dal regolamento giuridico”. Non c'è
più l'assolutezza che è stata sostituita dall'esclusività e dalla pienezza.
La dottrina ha individuato quattro caratteristiche del diritto di proprietà:
L’assolutezza o declinato come pienezza (1942), cioè la facoltà di poter fare
sulla propria cosa qualunque azione si voglia. L'espressione usata è quella di
poter “usare ed abusare” della cosa che si possiede, volendo posso anche
distruggerla.
L’illmiitatezza, che è una nozione di tipo fisico: io in quanto soggetto e quindi
proprietario di un suolo sono proprietario anche di tutto quello che vi sta
sopra e sotto. Nello spazio in alto e nello spazio in basso tutto rientra nella
mia proprietà.
L'unitarietà, che indica che il concetto di proprietà privata è uno solo e si
applica a qualunque tipo di cosa, non è la natura della cosa che muta il
concetto di proprietà privata perché questo rimane sempre e comunque il
medesimo sia che io sia proprietaria di una villa o di una matita.
L'elasticità, che significa che il diritto di proprietà può essere compresso se su
quella cosa c'è un altro tipo di diritto (
es: io
do il mio campo in usufrutto ad un altra persona, io non lo posso usare ma non
posso disporne materialmente anche se ne sono il proprietario e quindi in questo
caso il mio diritto di proprietà si è compresso per far spazio ad un altro diritto che
quando termina permette al mio diritto di estendersi di nuovo totalmente su
).
quell'oggetto
Questa è la nozione di proprietà figlia dei codici nati dalle conquiste borghesi.
I codici moderni danno una sistemazione alle norme del codice romano quindi in
teoria si potrebbe pensare che fosse esattamente così anche nel diritto romano ma
in realtà non è propriamente così.
Ci sono due testi romani che sono molto importanti per noi:
Gaio che ad un certo punto si sofferma sull'istituto della prodigalità (prodigus che è
colui che non è in grado di gestire il proprio denaro perchè lo sperpera tanto che egli
subisce l'interdizione e con essa il divieto di commercio). Egli dice “male enim
nostro iure uti non debemus” (= infatti non dobbiamo usare male il nostro diritto) e
spiega in questo modo perché il prodigo subisce l'interdizione, perché usa male il
suo diritto. Se il diritto di proprietà fosse davvero assolto allora il prodigo potrebbe
anche sperperarlo, ma Gaio ribalta il concetto.
Giustiniano che nelle sue Istitutioni afferma che la res publica (stato) deve impedire
che qualcuno “re sua male putatur” e cioè lo Stato deve impedire che chiunque
faccia un uso sbagliato delle sue cose.
È vero che le cose sono sue ma lo stato deve intervenire, egli non sta parlando del
prodigo ma di un padrone che sevizia senza motivo il suo schiavo.
Il principio è esattamente lo stesso: non bisogna usare male il proprio denaro perchè
è interesse della collettività.
I Censori erano addetti a controllare che le persone si comportassero bene per non
incappare nella famosa nota censoria rivolta a coloro che in un modo o
in un altro violavano i mores (= costumi).
Tra le cose che i censori colpivano vi era il caso di un soggetto che lasciasse incolto il
proprio campo che potenzialmente era ricco, qui intervenivano i censori, ciò
dimostra che il proprietario del campo non era libero di farci ciò che voleva, in un
certo modo era obbligato in senso positivo a rendere fruttifero quel campo.
Quindi noi possiamo e dobbiamo concludere che il diritto romano non riconosce la
nozione di assolutezza del diritto di proprietà ma che essa doveva essere usata
secondo dei criteri.
I criteri mediante i quali dobbiamo stabilire che una proprietà è usata bene sono
diversi.
La dottrina del diritto romano non è unanime nel riconoscere un unico criterio
bastevole per decretare che si stia agendo bene. Anche i codici contemporanei si
affidano a diversi criteri per stabilire gli obblighi del proprietario.
Primo possibile criterio:
Ad esempio il codice civile italiano art 833 è il divieto degli atti di emulazione, cioè
quegli atti che il proprietario compie al solo scopo di danneggiare un altro
proprietario.
In questo caso la fonte di questi atti è il diritto romano ( es. c'è un proprietario che ha
un campo ed a un certo punto costruisce un muro molto alto al solo scopo di impedire al
suo vicino la vista del mare, questo atto è un esempio di emulazione vero e
proprio, ha il solo scopo di danneggiare un altra persona e questo anche nel nostro codice
).
è assolutamente vietato
Nel diritto romano questo non bastava ovviamente quindi ce ne sono per forza degli
altri che ci devono far capire se la proprietà è gestita bene o male.
Secondo possibile criterio:
Si trova in alcuni codici contemporanei, come il quello civile svizzero, ovvero quello
dell'abuso del diritto, e cioè un conto è usare un altro è abusare del proprio diritto e
questo era vietato anche nell'antica Roma, torna utile l'esempio del prodigo che
sperpera il suo denaro, del padrone che abusa del servo, del proprietario che abusa
del suo potere non coltivando il suo campo....
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