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L’idea fin qui è che i nomi abbiano la disgiunzione inclusiva, debbano cioè soddisfare almeno una delle descrizioni ad essi riferiti.
J. S. Mill ritiene che i nomi siano segni senza senso. In questa idea di Mill vi è sempre una descrizione, che possiamo trovare dietro
al nome in maniera semplice e sistematica. Per Mill Socrate significa L’individuo chiamato Socrate: è una descrizione circolare, una
sorta di giochino che nasconde la questione di che cosa sia il nome. È proprio questo che Kripke critica di Mill: “Per qualunque teoria
che voglia essere valida, la spiegazione deve essere circolare”.
Le descrizioni associate a un nome proprio esprimono una verità necessaria.
Ci sono necessità deontiche (es: compilare il questionario universitario) e necessità metafisiche (es: morire). Particolare concezione
sulla specie vivente: l’appartenenza a una specie animale è una cosa necessaria. Dato ciò, un essere umano può immaginare tante
cose ma non ad esempio l’essere nato gallina, essendo nato uomo, perché perderebbe la propria essenza e specificità.
Moltissimi discorsi umani non sono sulla necessità, ma sulla possibilità. Le considerazioni sulla possibilità interessano molto; si fanno
ad esempio in campo giuridico. Una persona viene processata e/o condannata perché poteva non fare quella determinata cosa. Se
la nozione di necessità è interessante, quella di possibilità lo è ancora di più: per gli uomini il futuro è una possibilità continua.
La vera nozione di necessità per Kripke è necessità metafisica; vi è poi una necessità di carattere epistemico, che riguarda la
conoscenza delle cose, che secondo Kripke neanche esiste ma si tratta di forme di conoscenza a posteriori. La maggior parte delle
informazioni che abbiamo sulle persone sono informazioni empiriche, qualità contingenti grazie alle quali denotiamo una persona
(“l’uomo di fronte a me in treno” ad esempio).
(1) La sentenza Ad ogni nome o espressione designante X corrisponde un agglomerato di proprietà, precisamente la famiglia di
proprietà F tali che A crede F(di)X è falsa.
(2) La sentenza A crede che una proprietà, o alcune proprietà congiuntamente, determinino in modo univoco un certo individuo. Non
è vero che le informazioni legate a ciascun nome proprio siano informazioni che consentono di individuare unicamente quello.
(3) La sentenza Se la maggioranza, o una maggioranza ponderata, delle F è soddisfatta da un unico oggetto y, allora y è il referente
di X. Non essendo vera la (1), non è vera questa: se nessuna delle sentenze è in grado, neanche la maggioranza di esse a maggior
ragione può esserlo.
(4) La sentenza Se la votazione non produce un unico oggetto, X non ha riferimento. Il termine Cicerone ha un riferimento ben chiaro
nonostante possa essere utilizzato da svariate persone con varie accezioni (c’è chi può intenderlo come guida, chi come
personaggio romano…). È quindi falsa.
(5) La sentenza L’asserto ‘Se X esiste, allora X possiede la maggior parte delle F’ è noto a priori al parlante è falsa.
Queste sono le teorie su cui Kripke lavora e sulle quali muove critiche. Tutte queste teorie possono esser lette come articolazioni e
derivate più o meno interessanti delle teorie nel Cratilo di Platone. Le descrizioni
Kripke usa Searl per dare una teoria più elastica su Frege e Russell. Ad esempio, la polizia per trovare un ricercato parte dal suo
nome proprio per raccogliere un pull di informazioni: i delinquenti cambiano spesso nome proprio per questa ragione, perché
vogliono far perdere le tracce di sé. Nomi = strumento attorno cui si accumulano descrizioni, che Searl presenta nella sua opera.
Searl così sgancia nome e descrizione ma non spiega il motivo per cui un determinato nome sia assegnato proprio a un dato
individuo –anziché ad un altro.
29 – 10 – 2014
Kripke critica la versione searliana del collegamento tra nomi propri e nomi. Kripke non espone perfettamente la tesi di Searl. La
soluzione di Kripke è estremamente licthensteiniana, non è quello che pensa esattamente quest’ultimo ma ne ha il carattere: non si
tratta di costruire una teoria del riferimento, ma stabilire come noi facciamo a riferirci. Non si dedica a grandi elucubrazioni filosofiche
che però si allontanano dal nostro effettivo uso dei nomi, ma descrive propriamente come noi li utilizziamo. Si tratta questa di una
nozione primitiva: è impossibile spiegarla senza citarla in sé, è necessario ricadere in una sorta di circolarità. L’errore sta proprio nel
fatto che non si rende conto della circolarità della sua esposizione.
“Nasce un bambino; i suoi genitori lo chiamano con un certo nome. Ne parlano ai loro amici. Altre persone lo incontrano. […] il nome
si diffonde come in una catena, di anello in anello. Un parlante che si trova a un’estremità di questa catena, e che ha sentito parlare,
ad esempio, di Richard Feynman […] può riferirsi a Richard Feynman anche se non si ricorda da chi egli per la prima volta ha sentito
parlare di Feynman o da chi ne ha mai sentito parlare. Egli sa che Feynman era un fisico famoso. Un certo flusso di comunicazione
che alla fine si estende fino alla persona stessa, raggiunge in effetti il parlante, che può dunque riferirsi a Feynman anche se non sa
identificarlo in maniera univoca”. Si tratta di un passaparola: in ogni passaparola si perdono un sacco di informazioni. “Egli non sa
che cosa sia un diagramma di Feynman, non sa che cosa sia la teoria di Feynman della produzione e dell’annichilazione di coppie.
Non c’è bisogno quindi che egli sappia tutto ciò; è stata invece stabilita una catena di comunicazione che risale a Feynman stesso, in
virtù della sua appartenenza a una comunità che ne ha trasmesso il nome da un anello all’altro e non mediante una cerimonia che
egli esegue privatamente nel suo studio: ‘Con Feynman intenderò colui che ha fatto questo e questo e quest’altro’”. Noi possiamo
ricostruire rami della catena di comunicazione servendoci del nome, non di una descrizione. Stesso processo che si avvia quando
cerchiamo un nome sull’enciclopedia.
Strawson, teoria descrittiva del riferimento,
che sostiene la afferma che può capitare talvolta che il nome “si prenda” da qualcun
altro: si ascolta questo nome magari da un discorso esterno a sé, senza averne una descrizione individuante. In questo caso,
quando si utilizza un nome preso in tal modo, Strawson intende che lo si utilizza con la stessa intenzione con cui l’ha utilizzato la
persona dalla quale l’abbiamo sentito. È una teoria un po’ esagerata: sarebbe il complesso contesto sociale a dirigere quindi l’utilizzo
del nome pronunciato, senza averne “padronanza” reale. Problema marginale da considerare: capita che ciascuno di noi possa
avere più di un nome. È il caso dei nomignoli: qualche volta viene ratificato un soprannome scelto anche non è legalmente
riconosciuto (ad esempio: Marco Panella, chiamato da tutti così, ha come vero nome di battesimo Giacinto). Molte volte ad esempio i
nomi dei quartieri e delle città non sono legalmente riconosciuti, ma possono ugualmente essere ratificati dal Comune o dalla città in
cui si trovano. Certo, la tradizione legale dei nomi è molto importante, ma non è la sola ad influire.
“In che cosa si differenzia questa posizione dalla proposta di Strawson menzionata sopra, secondo cui un riferimento identificante
può prendere a prestito le sue credenziali da un altro? Certo, l’intuizione di Strawson nel passo citato è buona; d’altra parte, egli
dimostra che esiste almeno una differenza di accentro rispetto all’immagine proposta da me, dal momento che confina
l’osservazione a una nota, mentre nel testo principale sostiene una teoria dell’agglomerato di descrizioni. Anche solo per il fatto che
Strawson fa questa osservazione nel contesto di una teoria descrittivista, la sua tesi differisce dalla mia per un aspetto importante.
Strawson evidentemente richiede che il parlante debba sapere da chi ha ottenuto il suo riferimento , così da poter dire: ‘Con Godel
intendo colui che Jones chiama Godel’. Se egli nonricorda dove abbia preso il suo riferimento, non può dare questa descrizione. La
presente teoria invece non stabilisce alcun requisito del genere: come ho detto, posso benissimo non ricordare […]”
Ricordando il Cratilo, Cratilo pretende di avere una teoria filosofica su ciò che vuole nominare: c’è tutta una costruzione teorica su ciò
che vuol nominare. Invece Kripke fa una professione di modestia rispetto a ciò che propone:
“Credo di aver detto la volta scorsa che le teorie filosofiche corrono il rischio di essere false e non intendevo quindi presentarne in
alternativa ancora un’altra. È forse proprio quel che ho fatto? Ebbene, in un certo senso, sì; ma la mia caratterizzazione era assai
meno specifica di quanto sarebbe un insieme vero e proprio di condizioni necessarie e sufficienti per il riferimento. Ovviamente i
nome viene trasmesso da un anello all’altro […] Devono venir quindi soddisfatte altre condizioni per poter rendere questa teoria una
teoria del riferimento veramente rigorosa. […] voglio solo presentare un’immagine migliore di quella fornita dalle proposte
tradizionali”. Aggiunge: “Può darsi che non si raggiunga mai un insieme di condizioni necessarie e sufficienti […] ‘Ogni cosa è ciò
che è e non un’altra cosa’”. Vi sono cose che non sono riducibili ad altre, ovvero quelle che noi chiamiamo nomi primitivi. Illusione
degli empiristi è che i nomi primitivi siano dei “semplici assoluti”. Ma non vi è una richiesta che sia semplice né complessa. “Le
analisi filosofiche di concetti come il riferimento, formulate in termini completamente diversi che non menzionino il riferimento, è
riferimento nome primitivo,
molto probabile che non funzionino”: il è un si può spiegare l’utilizzo che se ne fa di esso ma non
spiegarlo con termini altri ad esso. “È vero però che solo in virtù del nostro collegamento ad altri parlanti […] è possibile riferirci ad
questione del collegamento.
una certa persona”: torna fuori la La questione della trasmissione all’interno della comunità è
lingua fenomeno strettamente comunitario,
strettamente importante: la è un non esiste una lingua che soltanto un essere umano
sappia utilizzare. Non c’è codice, per quanto sofisticato, che non sia identificabile (è questo il problema infatt