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IL CONTESTO DELLA COMUNICAZIONE
● La “causa formale” della comunicazione, individuata da McLuan. Quindi il MODO in cui si fa
comunicazione (emittente, ricevente, chi parla chi non parla, la gestualità ecc). Nella comunicazione di
massa il modo è diventato estremamente complesso. Oggi ci sono strumenti che influiscono sulla
comunicazione addirittura più del contenuto. Quindi alcuni strumenti (come per esempio la presenza di una
telecamera) influiscono molto. La forma della comunicazione è così cambiata che il mezzo sembra essere
più importante del contenuto stesso. Da questo punto di vista si potrebbe arrivare al paradosso che si fa
buona comunicazione indipendentemente da ciò che si dice.
● La caratteristica principale della comunicazione odierna è il passaggio (e anche la distinzione) tra
Comunicazione Personale e Comunicazione di Massa. La società di massa (come afferma Etienne Gilson) si
fonda su una cultura propria che non è più personale ma collettiva. Inoltre, una vera innovazione fu quella
di riuscire a duplicare la cultura (o un opera d’arte). Per esempio un concerto un tempo era unico e
irripetibile nello stesso identico modo, ora invece si “registra”. Lo stesso vale per la pittura o per qualsiasi
altra forma di arte che può essere riprodotta.
● I contenuti e il comunicatore: la “riproduzione dell’oggetto e la perdita dell’ “io”. C’è quindi,
ricollegandosi al punto precedente, una perdita di personalità nel produrre comunicazione. Kierkegaard
polemizza duramente con la società di massa, con la duplicazione sistematica, con la banalità nella quale si
rischia di cadere. E osserva che dietro la comunicazione di massa, paradossalmente, l’uomo si nasconde
(gioca un ruolo, non siamo individui ma personaggi).
Si arriva ad una massificazione non solo di chi riceve, ma anche di chi produce comunicazione, e questo
porta all’anonimato della comunicazione stessa. Inoltre, bisogna, secondo Kierkegaard, “essere in
carattere” e quindi dire ciò che si pensa ma anche “essere ciò che si dice” (la coerenza).
“Il nostro tempo manca completamente di uno che dice: IO” (Kierkegaard)
Questo è il problema principale della modernità con le sue scarse individualità e la grande massificazione.
L’etica coinvolge prima di tutto la persona che svolge un’azione. La frase di Kierkegaard vuole porre
Appunti Etica della Comunicazione – Salvatore Tropea – LUMSA 2011/2012
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Appunti Etica della Comunicazione – Salvatore Tropea – LUMSA 2011/2012
l’accento sul fatto che il nostro tempo manca di qualcuno che riesca ad esprimere la propria personalità. Il
valore etico è intrinseco all’atto che si compie; solo in questo modo l’atto soddisfa colui che lo compie (se lo
fa bene) oppure non lo soddisfa (se lo fa male), e quindi non si deve aspettare un “qualcosa da fuori” (come
un premio o avere paura di una sanzione). La prima ipotesi (dell’etica intrinseca) è quella più dignitosa.
L’agire bene premia se stesso. L’agire etico ha quindi a che fare con la soddisfazione c on l’agire
pienamente in un determinato modo.
Habermas usa il termine di AGIRE COMUNICATIVO per sottolineare il ruolo pragmatico della
comunicazione stessa (e quindi non in senso astratto). Secondo alcuni non vi può essere agire comunicativo
se non vi è un agire etico; altrimenti la comunicazione non esisterebbe nemmeno. Questo si può spiegare
col fatto che ci devono essere delle condizioni necessarie che facciano sì che un determinato agire ci possa
essere. Nei comportamenti umani questo è molto diffuso. Per esempio nella bioetica (o nella medicina in
generale) quando l’altro soffre c’è qualcuno che lo soccorre perché c’è una componente morale che lo
spinge a questa azione e che spiega la scelta di aiutare un’altra persona. Tutto ciò è spiegato proprio dal
fatto che c’è un’etica intrinseca nell’atto stesso. La stessa cosa si può dire dell’agire comunicativo che è
appunto intrinsecamente morale. Ciò significa che la comunicazione non può esistere, appunto, se non ci
sono azioni e comportamenti determinati dall’etica stessa. Inoltre, per un certo verso, noi non scegliamo di
fare comunicazione, ma siamo già dentro l’agire comunicativo. Il problema vero e proprio si viene a creare
quando passiamo dall’agire individuale a quello collettivo e quindi la distinzione tra morale (individuale) e
etica (collettiva). La mia “morale” può non essere accettata e condivida dall’ “etica” generale e viceversa.
La DEONTOLOGIA (ciò che io devo fare per essere felice e alleviare la sofferenza) può essere di grande
aiuto come possibile “etica da seguire”. KANT da un diverso significato alla Deontologia (come passaggio da
Imperativo Ipotetico a Imperativo Categorico), per sottolineare, appunto, la differenza tra la visione etica
individuale e quella collettiva e,