Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
“I
dell'accantonamento delle somme necessarie a soddisfarli, cagionano un danno ai creditori, sono
puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da 6 mesi a 3 anni”.
La riforma del 2002 non è in questo caso intervenuta, rispetto alla formulazione precedente, sulla
pena prevista (a dire il vero é stata rimossa la multa, ma come detto tempo fa si tratta di un
provvedimento generale), ma ha profondamente modificato la struttura di tipicità del fatto.
Prima della riforma i liquidatori erano infatti sempre soggetti a pena qualora avessero pagato i soci
101
prima di aver chiuso la partita con i creditori, anche qualora il pagamento ai soci anteposto a quello
dei creditori fosse stato solo parziale, ed anche qualora i creditori fossero poi stati pagati
integralmente, poiché il legislatore puniva le mere violazioni della procedura.
Con la riforma il reato è stato invece trasformato in reato d'evento, e tali vincoli procedurali hanno
perso importanza, tanto che ad oggi se i creditori sono poi pagati per l'intero, il pagamento
anticipato dei soci non costituisce reato, poiché manca l'evento di danno ai creditori.
Anche in questo caso il mutamento di orizzonte è segnalato dal vincolo della procedibilità a querela,
e dalla previsione (pur di scarsa portata pratica, come visto analizzando l'Art. 2629) che il
risarcimento del danno prima del giudizio estingua il reato.
La tutela penale del patrimonio sociale e del regolare funzionamento della società
Conclusa l'analisi degli articoli del Codice Civile dedicati alle falsità ed alla tutela penale del
capitale sociale, passiamo ora ad occuparti della tutela penale del patrimonio sociale e del regolare
funzionamento della società.
I reati di cui ci occuperemo in questa sezione, che risultano essere reati compositi, in quanto relativi
ad una serie di situazioni e profili tra loro differenti, sono in particolare tre, e corrispondono agli
articoli 2629 bis, rubricato “omessa comunicazione del conflitto di interessi” ed introdotto dalla
legge sul risparmio nel 2005; 2634, rubricato “infedeltà patrimoniale”; e 2635, rubricato
“corruzione tra privati”, il quale, come vedremo, ha subito nel tempo varie vicende di riforma, tanto
che la rubrica indicata è in vigore solo dal 2012 (essendo stata introdotta con la cosiddetta Legge
Severino, dal nome del Ministro della Giustizia allora in carica).
Accanto a tali reati principali, il Codice Civile presenta altre due norme riconducibili a questa
sezione, date dagli articoli 2630 e 2631, che costituivano una discontinuità tra le norme della
sezione appena conclusa, ma ci limitiamo a citare poiché, pur essendo parte del Capo titolato “Degli
illeciti commessi mediante omissione”, esse rappresentano illeciti non penali*, ma amministrativi,
di cui dunque non ci occupiamo.
*[L'Art. 2630 non ha mai avuto rilevanza penale, mentre l'Art. 2631 era norma penale prima della
riforma del 2002, ma è stato con essa depenalizzato].
Articolo 2634 – Infedeltà patrimoniale
L'Art. 2634 è la prima tra le norme che studiamo da che ci occupiamo di reati societari a non avere
antecedenti: essa è entrata nel tessuto normativo del nostro Paese soltanto nel 2002, per rispondere
ad una lacuna che gli interpreti avevano segnalato a più riprese già da tempo, data dal fatto che
mancava nel nostro ordinamento una norma adeguatamente severa per sanzionare i comportamenti
degli organi gestori della società che, anzi che degli interessi della società, si occupano
principalmente i propri interessi. untreue
[N.B.: Il prototipo di norma che persegua tali fini è la norma del diritto penale tedesco sulla
(leggi “untroie”), ossia sull'infedeltà generale (non solo patrimoniale) di tutti i soggetti economici.
Essa rappresenta una norma molto ampia, fin troppo estesa, ma che applicata con oculatezza porta a
risultati molto più soddisfacenti di quelli cui conduce l'Art. 2634].
L'articolo in analisi è costituito da quattro commi: il primo descrive il fatto tipico; il secondo si
occupa delle gestioni di patrimonio per conto terzi (come nelle vecchie norme sulle false
comunicazioni sociali); il terzo comma introduce il tema dei gruppi; ed il quarto è dedicato alla 102
procedibilità.
Volendoli analizzare separatamente, procediamo con ordine, riportando innanzitutto il primo
comma, secondo il quale:
amministratori, i direttori generali e i liquidatori che, avendo un interesse in
“Gli [soggetti attivi]
conflitto con quello della società al fine di procurare a sé o ad altri
[presupposto della condotta],
un ingiusto profitto o altro vantaggio compiono o concorrono a deliberare atti di
[dolo specifico],
disposizione dei beni sociali cagionando intenzionalmente alla società un danno
[condotta],
patrimoniale sono puniti con la reclusione da 6 mesi a 3 anni”
[dolo intenzionale],
Posto che risulta evidente come l'Art. 2634 descriva un reato proprio dei soli organi gestori, in
quanto non realizzabile in prima battuta (ma soltanto in concorso) da soggetti quali i sindaci, il
dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, ecc., occorre notare come l'evento di
danno alla società debba essere dai soggetti attivi voluto a titolo di dolo intenzionale*.
L'obiettivo ultimo di tali soggetti non deve dunque essere l'ingiusto profitto, ma il cagionamento di
un danno alla società; in caso contrario (ossia se il soggetto avesse agito soltanto nel proprio
interesse) si profilerebbero infatti un dolo diretto od un dolo eventuale, la rilevanza dei quali è
esclusa, poiché l'elemento psicologico non sarebbe quello richiesto.
*[Come già visto in passato, l'avverbio “intenzionalmente” non avrebbe senso come mera
indicazione della necessaria dolosità del fatto, dal momento che il reato è di per sé un delitto,
dunque esso (avverbio) esprime necessariamente l'indicazione di dolo intenzionale].
Per rispondere di tale reato i soggetti attivi devono dunque aver agito in conflitto di interessi, aver
agito per ottenere per sé o per altri un ingiusto profitto o vantaggio, aver agito disponendo di beni
sociali, ed aver causato intenzionalmente un danno alla società.
Numerosi e profondi sono dunque i “paletti” posti dal legislatore all'applicabilità di tale norma,
tanto che in 13 anni di vigenza la stessa ha trovato poco più di 4 o 5 occasioni d'applicazione.
Volendo esemplificare un caso in cui effettivamente l'articolo in analisi potrebbe trovare
applicazione si potrebbe ipotizzare che l'amministratore di una certa società sia allo stesso tempo
socio di una società concorrente. In quanto socio della società concorrente, egli avrà interesse che la
società di cui è amministratore perda quote di mercato, faccia investimenti sbagliati, e potrebbe
dunque decidere a tal fine di svendere un suo (della società che amministra) diritto di licenza sulla
produzione alla concorrente, con l'obiettivo di danneggiare la società di cui è amministratore, per
poterne contemporaneamente trarre vantaggio come socio della concorrente.
[Controesempio: Come detto, dolo diretto e dolo eventuale non sono sufficienti a far scattare la
responsabilità di cui all'Art. 2634, dunque qualora l'amministratore di una società che si trovasse a
voler vendere un immobile di cui è personalmente titolare e per cui fatica a trovare compratori,
facesse acquistare tale immobile alla società al solo fine di trarne profitto personale (dunque senza
l'intento ultimo di danneggiare la società), non sarebbe responsabile di infedeltà patrimoniale, pur
essendo presenti la condotta di disposizione del patrimonio societario, e la volontà di trarre per sé o
per altri profitto o vantaggio*]
*[N.B.: La differenza con tra vantaggio e profitto sta nel fatto mentre quest'ultimo è strutturalmente
patrimoniale, il vantaggio può avere anche altra natura].
Come già accennato in apertura, il comma secondo estende la pena anche in relazione a beni
posseduti o amministrati dalla società per conto terzi, ma molto più interessante è il comma 3,
poiché l'esempio fatto in precedenza riguardo soggetti distinti e distanti (una società ed una sua
concorrente) non è scontato che trovi identica applicazione nell'ambito dei gruppi. 103
Si ipotizzi ad esempio che la svendita del brevetto precedentemente ipotizzata intervenga tra una
società Alfa ad una società Beta, entrambe partecipate da una holding Gamma che controlla
entrambe, e che in tale contesto, Alfa, titolare del brevetto prima della vendita, “navighi nell'oro”,
mentre Beta abbia un business limitato, e pur avendo buone prospettive per il futuro, fatichi a
trovare finanziatori.
Gli amministratori potrebbero decidere decidere di ricavare le risorse necessarie allo sviluppo di
Beta vendendo sottocosto il brevetto considerato da Alfa a Beta, e facendolo poi rivendere
all'esterno da Beta al vero valore di mercato, in modo che la plusvalenza possa essere utilizzata per
promuovere il business.
Posto che il terzo comma dell'Art. 2634 recita quanto segue:
ogni caso, non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da
“In
vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dell'appartenenza al
gruppo”,
nell'esempio proposto gli amministratori di Alfa rispondono di infedeltà patrimoniale? E se ne
rispondono, concorrono con loro quelli di Beta, con cui l'operazione è stata realizzata, e quelli di
Gamma, capogruppo che decide e convoglia?
Purtroppo la formulazione normativa testuale non è felicissima poiché, ricordato che secondo il
primo comma la condotta dev'essere sorretta dal dolo specifico di procurare a sé o ad altri un
ingiusto profitto, il terzo comma sostanzialmente prevede come tale profitto non sia ingiusto se
compensato da vantaggi conseguiti o fondatamente prevedibili.
La prima improprietà al riguardo è data dal fatto che entrambi i termini considerati (“profitto” da un
lato, e “vantaggio” dall'altro) sono positivi, mentre la compensazione riguarda due elementi di
“segno” necessariamente opposto. La norma va dunque interpretata come facente riferimento al
fatto che non dev'essere considerato ingiusto il danno arrecato ad una società per perseguire il
profitto di una società collegata o del gruppo, quando tale danno sia compensato da vantaggi pari,
omogenei a quelli sopportati come svantaggio.
Il secondo e più rilevante ostacolo nell'interpret