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LA PROVA DELLA FILIAZIONE
Lo status di figlio si prova con l’atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile. L’ufficiale di stato civile raccoglie la
dichiarazione di coloro che sono tenuti a denunciare la nascita e accerta che la nascita sia effettivamente avvenuta
mediante l’attestazione di nascita rilasciata dalla struttura sanitaria in cui è avvenuto il parto o dal personale sanitario
che vi abbia assistito. Chi compie la dichiarazione deve rispettare l’eventuale volontà della madre di non essere
nominata.
L’atto di nascita indica le generalità dei genitori e, se questi sono tra loro sposati, costituisce il tiolo dello stato di figlio
nato nel matrimonio. Se la madre non consente di essere nominata nell’atto di nascita, il nato non acquisterà lo status di
figlio nato nel matrimonio. La giurisprudenza ha anche espressamente ammesso che la madre possa dichiarare il figlio
come naturale, impedendo dunque l’acquisto dello status di legittimità.
In forza dell’art 232 comma 2, lo status di figlio nato nel matrimonio è escluso altresì se i genitori al momento del
concepimento erano separati e la madre fa constare che il figlio è nato oltre i 300 giorni dall’inizio della vita separata dei
genitori.
L’art 239 comma 2, previsto dallo schema di decreto legislativo, consente l’azione di reclamo dello stato di figlio da parte
di chi sia nato nel matrimonio, ma sia stato iscritto nei registri dello stato civile come figlio di ignoti.
Appunti di lezione
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Lo stato di figlio non potrà essere dimostrato, qualora manchi l’atto di nascita, mediante il possesso continuo dello status
di figlio. Si parla di possesso di stato ad indicare un insieme di circostanze che nel loro complesso valgono a dimostrare
una relazione di filiazione e parentela tra una persona e la famiglia alla quale questa pretende di appartenere. Prima
della Novella il possesso di stato operava solo rispetto alla filiazione legittima.
Ad integrare il possesso di stato di figlio devono concorrere i seguenti elementi: tractatus, ossia le persona deve essere
stata costantemente trattata dal genitore come figlio; fama, ossia deve essere stata costantemente considerata come
figlio nei rapporti sociali e nell’ambito della famiglia. Il vigente art 237 esige anche il requisito del nomen, ossia che il
figlio abbia portato il nome cognome del (preteso) padre: di tale disposizione è però prevista l’abrogazione nello schema
di decreto legislativo.
Ove manchino sia l’atto di nascita che il possesso di stato, la prova della filiazione può darsi, nell’ambito di un’azione di
reclamo dello stato di figlio, con ogni mezzo.
L’AZIONE DI DISCONOSCIMENTO DELLA PATERNITA’ DEL FIGLIO NATO NEL MATRIMONIO. LE AZIONI DI
RECLAMO E DI CONTESTAZIONE DELLO STATO DI FIGLIO.
Per effetto della presunzione di paternità il figlio di donna coniugata, purché nato nel periodo indicato, si considera figlio
del marito della madre. Questa presunzione non è però assoluta e può essere superata mediante l’azione di
disconoscimento della paternità.
Secondo il testo originario dell’art 232 CC (del 1942) l’azione poteva essere proposta soltanto dal presunto padre; la
riforma del diritto di famiglia del ’75 ha concesso la legittimazione ad esperire azione di disconoscimento di paternità
anche alla madre e al figlio che abbia raggiunto la maggiore età. La recente Novella interviene ulteriormente:
l’importanza delle modificazioni previste giustifica un’esposizione distinta sia dell’attuale regime sia di quello di
imminente entrata in vigore.
Secondo il regime vigente, l’azione di disconoscimento di paternità è consentita soltanto nei seguenti casi:
• Se i coniugi non hanno coabitato nel periodo del presunto concepimento;
• Se durante tale periodo il marito era affetto da impotenza, coëundi o quanto meno generandi;
• Se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la propria gravidanza e la
nascita del figlio.
Mentre nei primi due casi la prova della non coabitazione o dell’impotenza costituiscono condizioni sufficienti per
ottenere una pronuncia di disconoscimento della paternità, nel terzo caso la prova dell’adulterio non è sufficiente per
ottenere il disconoscimento, occorrendo raggiungere la concreta prova del fatto che il nato non è figlio del marito della
madre. La legge consente di provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno compatibili
con quelle del presunto padre, ovvero altri fatti tendenti ad escludere la paternità ed idonei a convincere il giudice.
L’azione di disconoscimento deve essere proposta, a pena di decadenza:
• Dal marito nel termine di un anno dal giorno della nascita; se si trovava lontano dal luogo in cui è nato il figlio o
in cui è la residenza familiare, entro un anno dal giorno del suo ritorno; se prova di aver ignorato la nascita,
entro un anno dal giorno in cui ne ha avuto notizia. La Corte Costituzionale è intervenuta in materia stabilendo
che il termine annuale decorre dal giorno in cui il marito è venuto a conoscenza dell’adulterio della moglie,
ovvero nel caso di disconoscimento fondato su impotentia generandi, dal giorno in cui il marito sia venuto a
conoscenza della propria impotenza a generare;
• Dalla madre del termine di 6 mesi dalla nascita del figlio per effetto della già citata sentenza della Corte
Costituzionale, il termine di 6 mesi decorre, anche per la moglie, dal giorno in cui essa sia venuta a conoscenza
dell’impotentia generandi del marito;
• Dal figlio nel termine di un anno dal concepimento della maggiore età o dal momento in cui venga
successivamente a conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento; peraltro già a partire dal
concepimento del 16esimo anno egli può fare istanza al giudice affinché gli nomini un curatore che promuova
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l’azione, mentre quando non abbia ancora 16 anni, l’istanza per la nomina del curatore speciale può essere
proposta dal PM.
Se il titolare dell’azione di disconoscimento muore senza averla promossa, ma prima di essere decaduto il diritto di
intentarla, l’azione può ancora essere esercitata dai suoi discendenti o dai suo ascendenti, se si tratta del presunto
padre o della madre, dal coniuge o dai discendenti, se si tratta del figlio.
L’assetto delineato dallo schema di decreto legislativo riordina l’azione di contestazione.
L’art 243bis comma 2 del CC stabilisce in via generale che chi esercita l’azione è ammesso a provare che non sussiste
il rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre. Peraltro, la sola dichiarazione della madre non vale di per sé ad
escludere la paternità.
I termini temporali, di decadenza, per la proposizione dell’azione e i suoi stessi connotati oggettivi variano a seconda del
soggetto che la propone.
In ogni caso, l’azione della madre o del marito di questa, fondate sull’impotenza generandi del marito o sull’adulterio
della moglie, non possono essere proposte decorsi 5 anni dalla nascita. Un limite, questo, non previsto dalla disciplina
oggi vigente, posto a tutela dell’interesse alla stabilità dello status di figlio.
L’azione può essere proposta dal figlio maggiorenne ed è per lui imprescrittibile.
La novella contempla uno speciale regime per i casi di incapacità del soggetto legittimato all’azione: il termine è sospeso
nei confronti di chi si trovi in stato di interdizione per infermità di mentre o versi in situazione di abituale infermità, che gli
impedisca di provvedere alla cura dei propri interessi.
Peraltro in tal caso l’azione può essere proposta per conto del figlio da un curatore speciale nominato su istanza del PM,
del tutore o dell’altro genitore; per gli altri titolari dell’azione questa può essere proposta dal tutore i da un curatore
speciale.
In tema di filiazione sono previste altre due azioni di stato:
• Azione di reclamo della legittimità: in caso di supposizione di parto o di sostituzione del neonato, il figlio può
chiedere l’accertamento giudiziale del proprio status legitimitatis. L’azione spetta al figlio ed è imprescrittibile.
Essa consente all’attore di reclamare uno stato diverso da quello risultante dall’atto di nascita.
Come si è già accennato, l’azione di reclamo può anche essere proposta da chi sia nato nel matrimonio, ma sia
stato iscritto nei registri dello stato civile come figlio di ignoti, ovvero per reclamare lo stato di figlio conforme
alla presunzione di paternità, se sia stato riconosciuto da altro sedicente genitore, ovvero si sia verificato un
conflitto di presunzione di paternità;
• Azione di contestazione della legittimità: dall’atto di nascita un soggetto può risultare figlio di determinati genitori
senza esserlo, e ciò per ragioni diverse da quelle che si fanno valere con l’azione di disconoscimento della
paternità. In queste ipotesi chiunque vi abbia interesse, ed in primo luogo chi dall’atto di nascita del figlio appare
suo genitore, può agire in giudizio per contestarne la legittimità. L’azione è imprescrittibile e richiede la presenza
in giudizio di entrambi i genitori e del figlio.
IL RICONOSCIMENTO DEI FIGLI NATI FUORI DAL MATRIMONIO
Lo status giuridico di figlio nato fuori dal matrimonio non si costituisce quale immediato effetto dell’atto generativo,
essendo necessario che il rapporto di filiazione venga riconosciuto dal genitore ovvero venga giudizialmente accertato.
Il CC, nel testo originario, ammetteva il riconoscimento dei figli naturali, a condizione che non si trattasse di figli adulterini
o incestuosi. Tuttavia il genitore poteva riconoscere il figlio adulterino dopo la morte del coniuge, perché non vi fossero
figli legittimi o legittimati; ed il figlio incestuoso poteva essere riconosciuto dai genitori qualora questi avessero ignorato di
commettere incesto.
La riforma del ’75 aveva già cancellato il divieto di riconoscimento dei figli adulterini, mantenendo fermo però il principio
per cui era fatto divieto di riconoscere come figlio naturale colui che avesse lo status di figlio legittimo di altri, divieto
esteso a tutte le ipotesi in cui il riconoscimento medesima sia in contrasto con lo stato di figlio, anche nato fuori del
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matrimonio (purché ovviamente riconosciuto o giudizialmente