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ASL)].

Ritornando alle differenze tra pubblico e privato, non solo relative al trattamento delle figure

dirigenziali, va inoltre detto che la Pubblica Amministrazione non è divisa in settori (primario,

secondario, e terziario), come il “mondo” privato, ma in comparti, ed i più rilevanti di questi sono:

• Sanità (che corrisponderebbe al settore terziario nel privato)

• Scuola

• Università ed enti di ricerca

• Aziende autonome dello Stato

• Stato (inteso come organizzazione amministrativa distinta in Ministeri*)

• Presidenza del Consiglio

• Regioni ed enti locali (sorto e cresciuto a partire dal 1970).

*[I lavoratori impiegati nei ministeri prendono il nome di dipendenti ministeriali. Essi sono

in parte impiegati a Roma, ed in parte dislocati sul territorio nazionale presso i cosiddetti

organi decentrati (es. gli organi decentrati del Ministero del Lavoro sono gli ispettorati e le

direzioni provinciali del lavoro; l'organo decentrato del Ministero degli Interni è la

prefettura; quello del Ministero dell'Istruzione è il provveditorato alla scuola; quelli del

Ministero della Sanità sono le ASL e gli ospedali pubblici, ecc.)].

Ad ogni comparto corrispondono livelli retributivi differenti per i pubblici dipendenti che ne fanno

parte, esattamente come accade per i settori nel privato, anche se le voci retributive parzialmente

differiscono tra i due “mondi”: per quanto anche nella PA la retribuzione sia di base a tempo, con

voci aggiuntive, scatti di anzianità, e retribuzioni incentivanti (introdotte queste nel settore pubblico

solo nel 2009, con la riforma Brunetta, che ha definito i cosiddetti premi di merito), non esistono ad

esempio, le voci retributive legate a stock options, od azionariato dei dipendenti, poiché lo Stato

non è una S.p.A.

Aprendo ora una parentesi che farà da “ponte” verso la prossima parte di programma, relativa al

diritto sindacale, cerchiamo di seguito di approfondire alcuni concetti relativi alla contrattazione

collettiva nel pubblico.

Essa nasce in tempi piuttosto recenti (1983), poiché come detto in apertura di paragrafo i contratti

collettivi non esistevano per i primi pubblici impiegati, che erano tali a tutti gli effetti (ossia

esercitavano un più o meno ampio potere pubblico), e tutela i lavoratori delle pubbliche

amministrazioni per comparti.

Tra il 1983 ed il 1993 i contratti collettivi pubblici erano discussi tra i sindacati ed il Ministro

preposto a ciascun comparto (es. Ministro della Sanità; Ministro dell'Istruzione, ecc.); con il tempo

ci si rese tuttavia conto dell'inadeguatezza di un simile sistema, poiché non necessariamente i

Ministri di ogni comparto hanno competenze lavoristiche (di diritto del lavoro) o di trattative

sindacali, né conoscono i problemi e le necessità degli altri comparti (es. per definire correttamente

gli aumenti retributivi in ogni comparto sarebbe necessario conoscere le necessità di tutti i comparti,

e le risorse statali a disposizione), o il “prezzo” d'equilibrio tra domanda ed offerta di lavoro, e

tantomeno si può chiedere loro di dedicare troppo tempo ad approfondire tali aspetti di una vicenda

contrattuale che richiede settimane e settimane.

Non potendo dunque invitare alla trattativa con i sindacati tutti i lavoratori coinvolti in un

determinato comparto (es. tutti gli insegnanti ed il personale ATA (personale amministrativo tecnico

ausiliario) per il comparto “Scuola”), è stata istituita l'ARAN, Agenzia per la Rappresentanza

Negoziale delle pubbliche amministrazioni, il cui presidente, unico per tutti i comparti, conosce

perfettamente il quadro complessivo della situazione (es. sa che la legge di stabilità ha assegnato X

mila € per il rinnovo di contratti collettivi), ha competenze economiche, e rappresenta una figura

stabile (rimane in carica 4 anni).

Controparte dell'ARAN nella definizione dei contratti collettivi, come detto, sono i sindacati,

dunque un contrattato collettivo viene firmato se c'è il consenso (oltre che dell'ARAN e dei datori di

lavoro) della maggioranza dei sindacati ammessi alla contrattazione.

Posto che il principio maggioritario è di più o meno recente introduzione nell'ambito sindacale, ed è

diretta conseguenza della frammentazione sindacale stessa*, occorre capire come calcolare tale

maggioranza.

*[Per 60 anni le sigle sindacali sono state pochissime, tre fondamentalmente (CGL, CISL, UIL), e

vigeva dunque il sistema dell'unanimità, tale per cui ogni sigla aveva diritto di veto. Ciò costringeva

i sindacati a raggiungere tra loro un accordo prima di presentarsi al confronto con la controparte

statale, dei datori di lavoro, e questo garantiva ai sindacati stessi una maggior forza contrattuale. La

recente frammentazione sindacale tuttavia, con l'esplosione di sigle anche piccolissime, ha reso

inaccettabile il principio dell'unanimità, e si è passati dunque al principio maggioritario. I

dissenzienti rimangono fuori dall'attività di contrattazione (almeno per 3 anni, fino a quando il

contratto andrà rinnovato), potendo da un lato rafforzare la propria posizione nel caso si verifichino

le previsioni che hanno portato al rifiuto di aderire alla contrattazione, ma rischiando dall'altro di

perdere visibilità, in quanto assenti sulla scena pubblica].

Va innanzitutto detto che i sindacati ammessi alla contrattazione sono quelli aventi (da soli od in

associazione con altri) una forza sindacale superiore al 5%.

Essi definiscono il 100% della forza sindacale ammessa alla contrattazione, ed un contratto

collettivo potrà essere approvato quando almeno il 51% di tale forza sindacale si esprimerà in senso

favorevole.

Per definire la forza sindacale di una sigla, e dunque capire se includere o meno la stessa tra quelle

ammesse alla contrattazione, non essendo possibile “contare” gli iscritti ad un sindacato*, si

utilizzano combinatamente un criterio associativo (appartenenza interna), ed un criterio elettivo

(riscontro esterno).

Il criterio associativo misura la forza del sindacato in base al numero dei lavoratori che ogni mese

accettano che il proprio datore di lavoro, pubblico o privato, trattenga dalla loro busta paga circa il

3% della retribuzione per devolverla direttamente al sindacato che desiderano sostenere (istituto

della delega). Tale criterio evidenzia dunque quella (scarsissima in realtà) percentuale di lavoratori

che aderiscono in maniera forte e consapevole ad una determinata sigla, sostenendola anche

economicamente in maniera non poco significativa.

Il criterio elettivo prevede invece che ogni tre anni, in un'unica giornata a livello nazionale, siano

indette elezioni (elezioni in senso stresso, con voto personale, unico, e segreto, e con tanto

commissione elettorale e cabine per il voto) tali per cui in ogni impresa con più di 15 dipendenti i

lavoratori siano invitati a votare una delle liste presentate dai sindacati.

Il sindacato vincitore in ogni impresa costituirà la rappresentanza sindacale unitaria (RSU**) della

stessa, ed i risultati saranno raccolti anche a livello nazionale proprio per definire, unitamente al

criterio associativo, la forza sindacale di cui si parlava.

*[Il criterio degli iscritti è inaccettabile poiché richiederebbe una lista di nomi, o meglio, di codici

fiscali, su cui effettuare il calcolo, e posto che ciò va contro la privacy, non pochi sono anche i

problemi in termini di possibile iscrizione di medesimi soggetti a più sigle (ciò è vietato dallo

statuto di ogni sigla, ma non vi sono concreti ostacoli alla doppia iscrizione), o di iscrizione

inconsapevole di soggetti a determinate sigle].

**[La rappresentanza sindacale unitaria (RSU), in Italia, è un organo collettivo rappresentativo di

tutti i lavoratori, senza alcun riferimento alla loro iscrizione ad un sindacato, che sono occupati in

una stessa realtà lavorativa, pubblica o privata. Il suo funzionamento sarà meglio spiegato in

seguito, nel paragrafo “Il sindacalismo aziendale: i modelli RSA e RSU”].

A livello nazionale è l'INPS a raccogliere i dati risultati dall'applicazione di entrambi i criteri, ed

alla pubblicazione dei risultati ogni sigla sindacale riceve un punteggio percentuale conseguente al

criterio associativo, derivante dal rapporto tra deleghe ricevute da quel sindacato rispetto alle

deleghe concesse ai sindacati a livello nazionale, ed un punteggio percentuale conseguente al

criterio elettivo, derivante dal rapporto tra voti ricevuti da quel sindacato alle elezioni e voti

complessivamente espressi.

Posto che il punteggio derivante dal criterio associativo è annuale, poiché annuali sono le deleghe, e

che il punteggio derivante dal criterio elettivo è triennale, poiché triennali sono le elezioni, la media

aritmetica delle due percentuali indica la forza sindacale della sigla: se tale media supera il 5% (es.

4% dal criterio associativo e 7% dal criterio elettivo) la sigla sindacale sarà ammessa alla

contrattazione collettiva; in caso contrario no (come se si trattasse di una sorta di “soglia di

sbarramento”).

[N.B.: In base a quanto detto risulta evidente come le sigle sindacali che abbiano più del 10% delle

preferenze derivanti dal criterio associativo (ossia più del 10% delle deleghe) possano anche non

presentarsi alle elezioni per le RSU, prendendo in tal caso il nome di sindacati autonomi].

[N.B.: Si noti come la forza sindacale sia espressione di criteri solamente quantitativi. Un sindacato

qualitativamente meritevole, “con una buona patente di qualità” in termini di presenza sul territorio,

effettività attività di contrattazione negli ultimi anni, interlocuzione con il soggetto politico, ecc.,

prende invece il nome (anzi che di “forte”) di maggiormente/comparativamente più

rappresentativo].

L'ammissione alla contrattazione collettiva comporta per una sigla sindacale la possibilità di votare

un proprio rappresentante che prenderà parte, a Roma, alle trattative nazionali con l'ARAN, e come

già anticipato un contratto collettivo potrà essere approvato con il voto favorevoli di tanti

rappresentati che rappresentino almeno il 51% della forza sindacale ammessa alla contrattazione.

Ecco dunque chiarita la questione, effettivamente non semplice, della formazione dei contratti

collettivi pubblici.

Le garanzie finali del lavoratore

Analizzate sin qui le varie possibili vicende del rapporto di lavoro, siamo giunti all'ultimo

argomento relativo alla parte del corso che fa riferimento al cosiddetto “Diritto del lavoro” (anche

per quanto riguarda i libri di testo); inizieremo dunque con il prossimo paragrafo quanto rimanda al

cosiddetto “Diritto sindacale”.

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
124 pagine
30 download
SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher SimoGR di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Occhino Antonella.