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DECRETO DEL 2005, QUESTE SOMME SONO DI TITOLARITA’ DI LAVORATORI CHE
POSSONO DECIDERE PER COMPLEMENTARE O NO.
La retribuzione viene corrisposta per la maggior parte delle volte in denaro.
Supponiamo che un datore di lavoro, che non ha contratto collettivo, assume un lavoratore come
impiegato, con paga base 200, con premio di 1000, con indennità di cc. totale 1700. E’ sufficiente
questa retribuzione?
Retribuzione invece di 1000, con indennità di contingenza è 1200. Si rispetta la sufficienza?!
Quali sono le voci che corrispondono a livello sufficiente di retribuzione?
La giuris dice che rientrano in questa concezione solo le seguenti voci: PAGA BASE INDENNITA’
DI CONTINGENZA E TREDICESIMA MENSILITA’ E TFR. LE ALTRE NON VENGONO
CALCOLATE PER RETRIBUZIONE SUFFICIENTE. HANNO UNA FUNZIONE DI
CORRISPETTIVO E NON HANNO FUNZIONE SOCIALE DI RETRIBUZIONE, PERCHE’ HANNO
FUNZIONE SOCIALE SOLO CONTINGENZA E PAGA BASE (13 MENSILITA’ E TFR).
Problema correlato e discusso è riassunto della sussistenza della PARITA’ DI TRATTAMENTO. Il
datore di lavoro è obbligato a corrispondere a tutti i lavoratori (con mansioni e livelli uguali) deve
corrispondere la stessa retribuzione?!
Attenzione che sul tema della parità di trattamento si è discusso a lungo sia in dottrina che in
giuris. Nella sentenza 103 del 1989 della Cost ha riconosciuto il principio della parità di
trattamento: legittimità del 2103 codice civile. Da questa sentenza sembrava possibile desumere
principio secondo cui datore in mansioni uguali deve riconoscere a tutti la medesima retribuzione
con medesimi premi, senza differenziare. Una parte della dottrina si è schierata decisamente
contro. Una sentenza importante della cassazione del 1994 ebbe modo di affermare che la parità
di trattamento potrebbe trovare applicazione a contrattazione collettiva: le stesse organizzazioni
sindacali quando introducono trattamenti differenziati devono darne giustificazione! Anche se vi è
art. 39 che vieta ingerenze, però dovrebbe essere soggetta a questo principio?!
Sul piano operativo questo principio si concretizza con controllo del giudice sul datore di lavoro.
Situazioni diverse debbono essere trattate in maniera diversa.
I lavorati debbono essere trattati in maniera omologa oppure in maniera diversa?!
Se la presenza e le mansioni sono le stesse come si giustificano le differenze?!
Il problema della parità di trattamento riguarda le situazioni diverse: stesso livello, stessa
mansione, stesse ore di lavoro, un lavoratore prende 1200, l’altro 1100. A cosa si deve il
riconoscimento di 100 di differenza? Deve giustificare ciò il datore di lavoro?!
Potrebbe essere che un datore decide di assumere da liste di mobilità –magari lavoratore con
notevole esperienza- dando qualcosa in più: c’è però giustificazione.
In estrema sintesi la giuris è arrivata nelle sentenze (metà degli anni ’90, decisioni SU 4556 del
1996) a dire che non esiste principio di parità di trattamento (esiste divieto di discriminazione)
come obbligo di trattare i lavoratori nelle stesso modo. Le differenziazioni di trattamento sono
ammesse nell’ord giuridico italiano purchè non siano discriminatori o arbitrari. DEBBONO
TROVARE QUINDI UNA GIUSTIFICAZIONE.
IL GIUDICE PUO’ CONTROLLARE I TRATTAMENTI DIFFERENZIATI MA IN RAGIONE ALLE
ESIGENZE DEL DATORE NEI MOMENTI DIFFERENZIATI.
E’ un tema su cui è difficile individuare un appiglio normativo: c’è principio di eguaglianza
sostanziale che configura esistenza di parità di trattamento, ma la regola quale è? La dottrina ha
cercato di individuare la regola nelle clausole di correttezza art. 1174 cod civ. Con questa regola si
ha effetto demolitorio dell’atto che ha introdotto trattamento differenziato?! Uno dice che è
inadempimento contrattuale (sì: nell’esecuzione del contratto ci si comporta con correttezza e
buona fede, sennò non rispettano obbligo e quindi scatta inadempimento ma conseguenza è
nullità), però si ha esecuzione in forma specifica o risoluzione. C’è una sanzione risarcitoria e non
demolitoria. Ecco perché nel caso di violazione della parità si ha medesimo trattamento del
soggetto avvantaggiato! Non si annulla l’atto ma si richiede di ottenere lo stesso trattamento del
soggetto avvantaggiato conservando quindi l’atto.
La funzione dei sindacati è negoziare interessi collettivi, quindi propendono per uniformare. Ma c’è
introduzione di trattamenti differenziati, attenzione! Attenzione che la contra collettiva può
introdurre differenziazioni purchè non vi siano discriminazioni. Quindi i trattamenti differenziati
debbono trovare ragione giustificatrice. Ma giudice può valutare ragionevolezza delle
differenziazioni effettuate dalla contrattazione collettiva? Oppure essa è svincolata da questo
controllo giudiziale?!
Non c’è norma di legge che risolve problema: c’è principio costituzionale però. Il principio di libertà
sindacale per il modo in cui è formulato riconosce la libertà di contrattare e non, vi è sia libertà di e
sia libertà DA…INGERENZA DI STATO, MAGISTRATURA…
DATORI E LAVORATORI DEBBONO ESSERE LIBERI, NEL RISPETTO DELLE NORME
IMPERATIVE.
La validità della ragione giustificatrice non può essere sindacata dal giudice! Deve essere
ragionevole, ma la ragionevolezza non è sindacata da giudice!
Per un motivo semplice perché altrimenti alla libertà vi è ingerenza di uno dei poteri dello Stato.
Allora non si ha libertà.
Quali potrebbero essere gli effetti economici di una soluzione simile?!
La libertà economica ne risulta compromessa.
TERZA LEZIONE 27-02
Le ipotesi di sospensione dell’attività lavorativa: spesso sono ipotesi ricondotte all’istituto civilistico
della mora del creditore.
L’impossibilità sopravvenuta della prestazione può comportare la risoluzione del contratto ma
lavoratore perderebbe il posto. Ma il diritto del lavoro interviene per proteggere i lavoratori. Infatti la
tutela contro la malattia ed il licenziamento, la tutela contro gli infortuni rappresentano le prime
materie su cui è intervenuto il legislatore con protezioni.
In caso di sospensione per ragioni soggettive il lavoratore è esonerato e conserva il rapporto ed il
diritto ad ottenere la prestazione retributiva, conserva il proprio reddito. Le situazioni che
determinano questi due diritti vengono poi distinte e sono oggetto di regolamentazione diversa, a
seconda che si tratti di malattia o infortunio o gravidanza oppure altre cause di sospensione
legittima del rapporto di lavoro.
La malattia è stato patologico non conseguente da attività lavorativa, è distinta da infortunio sul
lavoro.
Diverso è il caso dell’incidente stradale non occasionato dal lavoro.
C’è divieto di licenziamento per un periodo di comporto che la contrattazione stabilisce per un
periodo che varia da 6 a 18 mesi.
Ciò significa che il lavoratore potrà cumulare periodi di malattia diversi fino a 18 mesi.
Il periodo di comporto è determinato dalla contrattazione collettiva.
Vi è una norma, art. 4 della legge 68 del 1999 in materia dei lavoratori diversamente abili hanno
divieto di licenziamento per lavoratori che hanno subito infortunio sul lavoro. C’è la conservazione
del posto di lavoro e del reddito.
Indennità di malattia, infortunio e gravidanza sono diverse indennità che operano in questi casi.
L’indennità è corrisposta da INAIL SE VI E’ INFORTUNIO, DA INPS PER MALATTIA E
GRAVIDANZA.
VI E’ OBBLIGO IN CAPO AL DATORE LA DIFFERENZA FRA RETRIBUZIONE ED INDENNITA’
(DI MALATTIA): 80% DA INPS E 20% DA DATORE DI LAVORO COME INTEGRAZIONE.
Parliamo della GRAVIDANZA. In relazione a questa ipotesi il legislatore prevede una disciplina che
mette in evidenza una distinzione fondamentale: astensione obbligatoria (congedo di maternità) o
astensione facoltativa (congedo parentale). L’astensione obbligatoria è un periodo in cui
necessariamente la lavoratrice ha obbligo di sospendere il lavoro per questo periodo che è pari a 5
mesi. 2 mesi prima della data presunta del parto e 3 mesi dopo la data del parto (351 del 2001
prevede che c’è flessibilità: 1 e 4 mesi al più).
C’è diritto alla conservazione del posto che vale da nove mesi prima del parte e c’è diritto alla
conservazione anche dalla data del concepimento fino al compimento di un anno di età del
bambino.
C’è poi l’astensione facoltativa o congedo parentale. Lavoratrice o lavoratore possono chiedere la
sospensione del rapporto di lavoro: è una facoltà! Una volta chiesta però datore ha obbligo di
concederla. Percepiscono il 60% della retribuzione in questo periodo: solo alcuni contratti coll
prevedono l’obbligo di integrazione oltre al 60% dell’inps. 6 mesi da termine di astensione
obbligatoria.
Altre cause di sospensione del rapporto di lavoro attengono a situazioni diverse:
congedi formativi (legge 53 del 2000) che valgono anche all’esterno dell’azienda per aumentare
bagaglio culturale, ma qui non è prevista la corresponsione della retribuzione. Ci sono poi
permessi per motivi di studio. 150 ore.
Vi sono poi permessi che la legge riconosce a lavoratori tossicodipendenti, per concedere percorsi
di cura.
Permessi per donatori di sangue o di midollo osseo, retribuiti.
Vi sono poi i permessi riconosciuti ai lavoratori chiamati a partecipare alle funzioni pubbliche. Chi
viene eletto e assume delle responsabilità a livello parlamentare, regionale o provinciale, c’è diritto
alla sospensione del rapporto nel periodo di mandato (conservazione del posto): senza diritto di
indennità perché vi è quella elettiva. Si matura però l’anzianità di servizio.
Hanno diritto a permessi retribuiti per le riunioni, in altri mandati elettivi. Non vi è sospensione del
rapporto di lavoro.
Questo per quanto riguarda per le ragioni soggettive di sospensione del rapporto.
LE SOSPENSIONI OGGETTIVE DEL RAPPORTO.
Ci sono anche le sospensioni consensuali, possono essere concordate. Quali sono le ragioni che
possono legittimare il datore a chiedere la sospensione del rapporto? Devono essere oggettive.
Perché?
Ricorderete che obbligo del lav di lavorare e obbligo di datore di far lavorare, altrimenti c’è 1206 cc.
il creditore è in mora quando senza un motivo legittimo rifiuta il pagamento offerto nei modi di rito.
Può il datore di lavoro ridurre unilateralmente l’orario di lavoro?