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IL LICENZIAMENTO COLLETTIVO
Era escluso dal campo di applicazione della legge n. 604/66: a quel tempo infatti, a seguito
di un accordo interconfederale sul licenziamento collettivo, si era in attesa di una legge che
regolasse la materia, che però non è arrivata. dal 66 fino a questo momento, l’unico
La prima regolamentazione arriva solo nel 91:
riferimento normativo resta il vecchio accordo interconfederale, siglato però solo da
Confindustria pertanto riguardante solo il settore dell’industria.
Il licenziamento collettivo parte dai 5 lavoratori: il licenziamento di 2, 3 o 4 lavoratori, non
è individuale ma plurimo, e rientra quindi nel campo di applicazione della legge n. 604/66.
In caso di licenziamento collettivo, la legge di riferimento è la LEGGE N. 223/91, una legge
che ha connessioni con un’altra parte della disciplina, ed in particolare è stata il punto di
svolta della disciplina dei c.dd. ammortizzatori sociali, il più classico dei quali è la CIG,
la cassa integrazione guadagni (il lavoratore viene sospeso dal lavoro, in tutto o in parte, a
seconda che si tratti della cassa ordinaria o straordinaria, ma resta dipendente dell’impresa,
restando quindi ancora occupato: il datore di lavoro non lo paga ma viene pagato con
un’indennità).
Questa normativa aveva bisogno di essere riformata. Essa incrocia il tema dei licenziamenti
quando l’UE chiedeva all’Italia perché non avesse
perché per esempio, negli anni 60-70-80,
trasposto la direttiva europea sui licenziamenti collettivi, segnalando la possibile apertura di
una procedura di infrazione, l’Italia ribatteva dicendo che:
c’era una legge ma valeva l’accordo interconfederale (anche se l’UE faceva notare che
Non
l’accordo valeva solo per l’industria, ma il sistema produttivo italiano non era solo industriale)
Negli anni 70-80 non si fanno licenziamenti collettivi, perché va tutto nel grande ombrello
ore per più anni: c’è la
della cig straordinaria a zero copertura degli ammortizzatori sociali.
Ci si chiedeva come si facesse a mantenere la cig in assenza di attività lavorativa.
La soluzione a tutti questi problemi arriva con la legge 223/91, con la quale da un lato si
dall’altro si regola per la prima volta la parte sui
riforma la cig, licenziamenti collettivi.
Resta comunque, anche a seguito di questa riforma, una fortissima connessione tra gli
ammortizzatori sociali e i licenziamenti collettivi, e questo è reso palese dalla stessa struttura
le disposizioni in materia di riduzione del personale si trovano solo dall’art 24 in
della legge:
poi, mentre tutte la prima parte riguarda la cassa, soprattutto quella straordinaria.
l’art 24
Questo non è un problema solo sistematico: infatti, nel dettare la disciplina per i
licenziamenti collettivi (sempre nelle imprese con più di 15 dipendenti), rimanda agli artt 4 e
5 (determinati commi) sulla cassa integrazione e guadagni.
Tutta la procedura per i licenziamenti collettivi è agganciata alla procedura per la
dell’art 4
cassa straordinaria: la c.d. procedura di mobilità è la stessa sia per i lavoratori
che l’impresa non riesce a rioccupare (perché non riesce a portare a termine la procedura
di reimpiego), sia per i lavoratori licenziati con il licenziamento collettivo.
La formula della legge è complicata, ma da essa si comprende la NOZIONE di
licenziamento collettivo: si dice “quando, in conseguenza di riduzione o di
trasformazione di attività o di lavoro, il datore di lavoro intende effettuare almeno 5
licenziamenti nell’arco di nella stessa unità produttiva o nell’unità
120 giorni,
Il licenziamento collettivo può quindi non avvenire tutto
produttiva della provincia”.
insieme, ma nell’arco dei 120 giorni (1 oggi, 2 tra qualche settimana, altri 2 il mese dopo).
Il licenziamento collettivo ha una causale molto generica, la necessità di ridurre o
trasformare attività o lavoro, e una serie di indici numerici, che fanno da soglia perché si
abbia licenziamento collettivo e non più individuale o plurimo e per poter ricorrere alla
procedura di mobilità.
Per orientamento della Corte, rientrano in questa procedura anche le c.dd. dimissioni
incentivate (con alcune agevolazioni si porta il lavoratore, ad esempio vicino al
pensionamento, a dimettersi). 66
Tutta la protezione del licenziamento collettivo si gioca sulla procedura, la c.d. procedura di
e sulla possibilità di percepire un’indennità, la c.d.
mobilità, indennità di mobilità.
C’è una PROCEDURA SINDACALE e una PROCEDURA AMMINISTRATIVA DI MOBILITÀ.
Il datore di lavoro deve incontrare le parti sindacali, alle quali comunica i motivi del
licenziamento, il motivo per cui non vuole trovare altre soluzioni e il numero dei lavoratori da
si cerca l’accordo, all’interno del quale
licenziare: la procedura si apre e confluiscono i
criteri di scelta dei lavoratori (da licenziare) e le possibili alternative (es. la ridistribuzione
degli orari di lavoro con cui alcuni lavoratori restano ma con lavoro parziale, i contratti di
solidarietà con cui tutti riducono l’orario di lavoro e l’indennità persa viene compensata col
meccanismo della cassa, ecc).
Questa procedura che prevede la consultazione del sindacato significa che l’area in cui
maggiormente si verifica la partecipazione del sindacato, e quindi dei lavoratori, è proprio
l’area della crisi, della gestione dei licenziamenti collettivi.
Se non c’è accordo col sindacato, c’è comunque una procedura amministrativa, solo
all’esito della quale, se non c’è accordo,
sempre il datore di lavoro provvede al licenziamento.
La procedura si apre con l’intenzione di licenziare almeno 5 lavoratori nell’arco di 120
giorni nella stessa provincia, e si può chiudere con la messa in mobilità di quel numero di
lavoratori: sullo sfondo resta l’art 41 Cost sulla libertà di iniziativa economica.
I lavoratori che, al termine della procedura di mobilità, ricevono la lettere di licenziamento
collettivo, hanno diritto (ancora per poco) alla c.d. INDENNITÀ DI MOBILITÀ.
Nell’impianto della legge del 91 c’erano due canali: quello della cassa, in cui va solo chi ha un
progetto di risanamento dell’azienda o di una parte di esse, e quello licenziamento collettivo,
se questa possibilità di ripresa non è possibile, da subito o nel corso del procedimento.
In un caso il lavoratore riceve l’indennità e nell’altro l’indennità
di cassa di mobilità
(praticamente uguali).
Questo impianto però non ha .
MAI FUNZIONATO
Proprio per come è scritta la normativa, per la quale prima si aveva la cassa e poi (se la
l’indennità
procedura non funzionava) si aveva il licenziamento collettivo, e poiché sia di
casa che quella di mobilità hanno una durata prestabilita (non durano per sempre), è
successo che, prima si utilizzavano tutti i tempo possibili della cassa, e poi, con la
scusa di non avere più speranze di ripresa, ci si inseriva nel meccanismo della mobilità,
percependo così l’indennità di mobilità.
Prima, con la cig straordinaria, si provava con un programma di ristrutturazione a far
ripartire l’occupazione, e poi si sfruttava la mobilità, in modo di avere la maggior
non si sarà più l’indennità
copertura possibile: proprio per questo dal 2012 si detto che
ma solo l’indennità di cassa e la disoccupazione.
di mobilità, 67
LE DIMISSIONI
l’ATTO
È DI RECESSO DEL LAVORATORE.
Nell’impianto codicistico originario licenziamenti e dimissioni erano posti quasi sullo
l’unica
stesso piano: differenza era data dal fatto che, quando il lavoratore recede per
giusta causa, ha diritto all’indennità di mancato preavviso.
Dagli anni 60 in poi, ci si è occupati solo di licenziamento, mentre per le dimissioni restavano
il codice civile e il contratto collettivo nazionale di lavoro.
Questo impianto prevedeva però due eccezioni. Già con la legge del 63 sul licenziamento
per causa di matrimonio era stata prevista:
Una presunzione di illegittimità del licenziamento per causa di matrimonio avvenuto dalle
pubblicazioni fino ad 1 anno dopo il matrimonio;
Una convalida delle dimissioni della lavoratrice presso strutture pubbliche.
In questo stesso modo, nel 71 è stata invece introdotta una normativa di protezione per il
licenziamento per causa di maternità, espansa poi anche alla paternità e ai congedi parentali.
viene emanata una legge nell’ottobre del 2007, la
Nel frattempo LEGGE N. 188/2007, per
colpire il fenomeno delle cd. DIMISSIONI IN BIANCO: esse sono un foglio dato al momento
dell’assunzione, spesso totalmente bianco, altre volte un foglio in cui si rassegnano le
dimissioni con la data in bianco, e il datore di lavoro esercita questa possibilità quando può e
quando vuole.
Le dimissioni in bianco mascherano un licenziamento.
Questa legge viene totalmente abrogata a giugno del 2008 col cambio di governo.
La LEGGE 92/2012 ripresenta una normativa per il contrasto delle dimissioni: detta una
disciplina generale delle dimissioni, chiedendo per tutte la convalida delle dimissioni
(presso la direzione provinciale del lavoro o mediante apposita dichiarazione), mentre rimane
la tutela specifica per quanto riguarda matrimonio, maternità, paternità e congedi parentali.
68
CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI (C.I.G.)
Attraverso questo meccanismo si sospende in tutto o in parte la prestazione di lavoro:
il rapporto di lavoro rimane in vita, il datore di lavoro non eroga la retribuzione e il lavoratore,
nei limiti previsti dalla disciplina legislativa anche per i singoli casi speciali, riceve
un’indennità.
Oltre alla CIG ordinaria (CIGO) e straordinaria (CIGS), per cui vale la disciplina generale,
ci sono poi settori in cui c’è un apposita per la cassa: c’è la cassa per
disciplina settoriale
l’agricoltura, per l’industria, per l’editoria, ecc.
Ci sono poi settori, come quello bancario o della p.a., che non sono coperti dalla cassa,
perché il meccanismo prevede che ci siano delle apposite causali, normalmente legate o a
contingenze di mercato, o a situazioni di crisi o di trasformazioni produttive.
Es. Si è ritenuto che il settore bancario fosse incompatibile con gli ammortizzatori sociali
perché si diceva che se la banca dichiarasse una situazione di crisi mettendo i dipendenti in