Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Orario e Riposi
CAPITOLO XXII
1. Profili generali e Fonti
La durata della prestazione lavorativa giornaliera e settimanale è uno degli elementi caratterizzanti il rapporto di lavoro subordinato. La previsione di limiti a tale durata e, correlativamente, di periodi di riposo dall'attività lavorativa, rispondono all'esigenza di tutelare l'integrità fisica del lavoratore e di consentirgli la partecipazione alla vita sociale e familiare.
Le conquiste sociali hanno determinato una graduale riduzione dell'orario di lavoro, anche nella prospettiva di aumentare l'occupazione sul presupposto di "lavorare meno per lavorare tutti", ma l'unico effetto concreto di tale riduzione è stata la diminuzione della capacità produttiva; è per questo che recentemente è stata sostenuta la tesi opposta, secondo la quale gli orari italiani ed europei sono troppo ridotti, e questo sarebbe uno dei fattori della scarsa crescita delle
economie europee. Dalla Costituzione (art. 36 co. 2) si ricava, anzitutto, la necessità di stabilire, per legge, un limite alla durata massima della giornata lavorativa. Le prime disposizioni di legge in materia di orario di lavoro risalgono al r.d.l. n. 692 del 1923, che fissava in 48 ore settimanali ed in 8 ore giornaliere i relativi limiti. L'art. 2107 c.c. ha semplicemente stabilito che la durata della prestazione lavorativa, sia settimanale che giornaliera, non può eccedere i limiti stabiliti dalla legge speciale o dalle norme corporative. La norma codicistica confermava, in tal modo, la competenza della legge alla fissazione di un limite massimo alla durata della prestazione lavorativa, facendo salva la contrattazione collettiva che avrebbe potuto stabilire durate inferiori ma non superiori a quelle legali. Per decenni, il quadro legislativo è rimasto ancorato alla legge del 1923, rimettendosi in movimento soltanto quando, nel 1993, è stata adottata la
direttiva CE n. 104 del Consiglio dell'Unione Europea, concernente "taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro", che ha suggerito la necessità di una riforma organica della disciplina, ma il cui processo traspositivo è stato faticoso. Una prima revisione si è avuta con l'art. 13 della legge n. 196/1997, che ha introdotto un orario normale settimanale di 40 ore. Ma, in seguito, per ragioni politico-sindacali, il processo di riforma si è arenato, rimettendosi in moto soltanto nella scorsa legislatura, ed approdando al d.lgs. 8 aprile 2003 n. 66, che ha accorpato in un unico testo, per la prima volta, la disciplina dell'orario di lavoro e quella dei riposi; con abrogazione di tutte le disposizioni precedenti, ivi compreso l'art. 2107 c.c. Il decreto ha rispettato, altresì, il ruolo tradizionalmente assegnato alla contrattazione collettiva come fonte della disciplina dell'orario, al punto di devolvere adessa anchenumerose facoltà di deroga "in peius" agli orari legali.
2. L'Orario Normale e Massimo settimanalenormale di lavoro
L'orario rappresenta la misura dell'estensione temporale ordinariadella prestazione lavorativa, e quindi, di conseguenza, il limite temporale oltre il quale leprestazioni cessano di essere "ordinarie" e divengono "straordinarie".
normaleQuindi, l'orario di lavoro è quello non comprensivo delle ore di Straordinario.
massimoQuest'ultimo, invece, è l'orario settimanale.
La prima legge in materia di orario di lavoro, il r.d.1. n. 692, risale al 1923; essa limitavaa 48 ore settimanali e ad 8 ore giornaliere la durata massima della prestazione lavorativa.
La norma limitava anche il lavoro straordinario a 12 ore settimanali, di tal che l'orariolavorativo massimo complessivo settimanale non poteva eccedere le, 60 ore.
L'orario di lavoro era ovviamente stabilito nella sua misura massima,
inserito la possibilità di derogare al limite delle 40 ore settimanali attraverso la contrattazione collettiva (Orario Flessibile);c) ha stabilito che la durata media settimanale dell'orario di lavoro ordinario non può superare le 48 ore su base annua;d) ha introdotto il concetto di "orario di lavoro massimo", che non può superare le 60 ore settimanali (comprensive di straordinari).fissato il limite massimo, comprensivo dello straordinario, in 48 ore, anziché in 52. Il criterio della Flessibilità ha confermato il nella determinazione dell'orario di lavoro; in particolare tale norma consente il superamento del limite massimo delle 48 ore, purché esso sia rispettato in termini di media riferita ad un arco temporale di 4 mesi che la Contrattazione Collettiva può elevare a 6 o anche a 12 a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all'organizzazione del lavoro. Dunque, un'impresa può tranquillamente praticare, per alcune settimane, un orario di 60 ore, purché rispetti la media di 48 su una base di 4 mesi. Infine, c'è da dire che in base all'art.17 co.5 del d.lgs.66/2003 la disciplina in tema di "la cui durata dell'orario di lavoro normale e massimo non si applica a quei lavoratori lavoro, a causa delle caratteristiche dell'attività esercitata, non è misurata.opredeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi", fra i quali:
- a) dirigenti, personale direttivo delle aziende o di altre persone aventi potere di decisione autonomo
- b) manodapera familiare
- c) lavoratori nel settore liturgico delle chiese e delle comunità religiose
- d) prestazioni rese nell'ambito di rapporti di lavoro a domicilio e di telelavoro.
Nei confronti di questi lavoratori, deve comunque essere garantito il "rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori".
3. La Giornata Lavorativa: Orario e Riposo
Anche la durata della prestazione lavorativa giornaliera è oggetto di specifica disciplina e, anzi, è questo l'unico aspetto considerato dalla Costituzione il cui art. 36 devolve alla legge la definizione della relativa durata.
La normativa di riferimento è l'art. 7 del d.lgs. n. 66 del 2003 che ne lascia individuare un limite massimo di 13 ore laddove stabilisce che
Il lavoratore ha diritto, ogni 24 ore, ad 11 ore di riposo. Si può affermare che un vero e proprio limite non esiste in quanto, ai sensi dell'art.2, lo stesso provvedimento di legge consente alla contrattazione collettiva di derogare alle regole ivi stabilite.
4. Il lavoro straordinario. Ai sensi dell'art.1, comma 2, e dell'art.3, comma 1, del d.lgs, n. 66 del 2003, si considera normale lavoro straordinario quella durata della prestazione lavorativa che eccede la durata settimanale dell'orario di lavoro ivi stabilita in 40 ore.
In linea teorica, pertanto, dovrebbe qualificarsi lavoro straordinario solo la prestazione eccedente le 40 ore settimanali e non anche quella eccedente la minor durata dell'orario non normale settimanale stabilita dalla contrattazione collettiva.
La derogabilità al limite delle 40 ore, da parte della contrattazione collettiva, porta invece a qualificare lavoro straordinario quello che eccede la durata settimanale dell'orario di lavoro contrattuale.
di tal che, nel caso di orario di lavoro settimanale di 36 ore, come nel pubblico impiego, e di una prestazione settimanale di 42 ore, le ore di lavoro straordinario saranno 6 (ossia la parte eccedente le 36 ore) e non 2 (quale parte eccedente le 40 ore) giacché non possono qualificarsi ordinarie (cioè non straordinarie) le ore eccedenti le 36 e fino alle 40. La disciplina della materia è, in ogni caso, tutta demandata alla contrattazione collettiva, anche per quanto attiene alle modalità con le quali viene remunerato il lavoro straordinario, non escluso l'equivalente riposo compensativo col consenso del lavoratore.
Alcuni contratti di lavoro hanno anzi istituito la cosiddetta banca delle ore, ossia un sistema di accumulo programmato delle ore di lavoro straordinario da compensare in termini di equivalente riposo.
5. Il riposo settimanale e domenicale.
La durata della prestazione lavorativa, sia giornaliera che settimanale, deve essere interrotta da periodi di
riposo che consentano il recupero psico-fisico del lavoratore. L'art.36 della costituzione, commi secondo e terzo, costituisce in tal senso la fonte di grado più elevato laddove stabilisce che il legislatore debba stabilire la durata massima della prestazione lavorativa giornaliera, cui segue il riposo o, comunque, un'astensione dallavoro, nonché, al terzo comma, laddove stabilisce che il lavoratore ha diritto ad un giorno di riposo settimanale ed a ferie annue retribuite. Fino a prima della recente modifica ad opera della legge n. 133/2008, l'art. 2109 c.c. stabiliva che il lavoratore aveva diritto ad un giorno di riposo settimanale normalmente coincidente con la domenica; in tal senso disponeva anche l'art. 9 del d.lgs. n. 66 del 2003, nella parte in cui precisava che il riposo spettava ogni sette giorni, che tale riposo deve essere di 24 ore consecutive e che queste devono di regola coincidere con la domenica. La legge n. 133 del 2008 ha modificato l'art.
9 del d.lgs. n. 66 ampliando l'arco temporale entro il quale deve essere fruito il riposo settimanale, riducendolo a valore medio, nel senso che il dipendente non deve necessariamente fruire del riposo ogni sette giorni bensì, in media, deve usufruire di una giornata di riposo ogni sette giorni e che tale riposo medio va fruito nell'arco temporale di 14 giorni. Dunque, è ben possibile che il lavoratore fruisca del riposo settimanale in un giorno non coincidente con la Domenica. trattamento È importante, quindi, stabilire in questo caso quale deve essere il retributivo da riservare al lavoratore; l'art.9 non dispone in tal senso, quindi si fa riferimento all'orientamento giurisprudenziale che afferma il diritto di colui che lavori di domenica, e pur con spettanza del riposo settimanale in altro giorno della settimana, ad una maggiorazione retributiva, a meno che nel suo trattamento economico non esistan