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Gesù Cristo e in esso offre la salvezza. Di conseguenza al credente, è dischiusa
l’esperienza della gioia. Un’esperienza vera anche se può essere vissuta in alcuni
momenti difficili di avversità, in attesa di quando la comunione tra noi e il Signore sarà
completa.
3° contributo Alberto Cozzi “Il dono della felicità”
Una delle finalità più chiare dell’organizzazione sociale -> Massimizzare il benessere
Si tratta di intensificare, estendere e se possibile prolungare nel tempo lo stato di
benessere.
Pubblicità -> usa questo e saprai cos’è la felicità -> in questo contesto tutto ci aiuta ad
essere felici
Di conseguenza anche la religione può aiutarci nel raggiungere la felicità ma, può
davvero la religione aiutarci? Rapporto benessere e beatitudine -> La prerogativa della
religione è quella di offrire la beatitudo
Ma si potrebbe poi rinfacciare alla fede che i sogni di beatitudine sono in realtà impossibili,
illusioni o pretesti inutili in confronto al più realizzabile mito del benessere. Sarebbe quindi
più saggio diventare complici del bisogno diffuso di benessere ed aiutare le persone a
trovare spunti di “benessere spirituale” nelle pratiche cristiane, ritornando forse ad avere le
chiese piene. Il problema è il rapporto tra una certa pratica della ricerca della felicità e ciò
che offre l’esperienza di fede.
3 Approcci complementari al sistema:
Il primo percorso cerca di valutare il senso del binomio benessere-beatitudine alla luce
delle più recenti vicende della cultura. La seconda ricerca tenta di stabilire la dimensione
dell’esperienza cristiana della gioia-beatitudine-letizia in modo da avere una chiara
percezione di ciò che c’è in gioco nella domanda di felicità in una prospettiva di fede. Il
terzo percorso tenta una fenomenologia della felicità cogliendone tre dimensioni: il
rapporto con l’oggetto della gioia, la possibilità di volere incondizionatamente se stessi
(libertà) e la comunione-comunicazione.
La problematica del rapporto tra beatitudine e benessere
Esiste davvero un conflitto? Sono uno l’alternativa dell’altro? Ad un primo rapporto
riflessivo sembrerebbe più appropriata la posizione di chi considera beatitudine e
benessere come due dimensioni irrinunciabili della felicità. Il benessere è la condizione
necessaria ma non sufficiente per accedere alla vera felicità, è il livello più elementare, la
base di ciò che l’uomo può garantirsi sapendo che la pienezza della felicità è un dono. In
questa visione dinamica, la beatitudine indica il fine a cui l’uomo deve tendere nell’agire,
nei suoi comportamenti. Secondo questa strategia, l’importante è non accontentarsi del
benessere ma di tendere smepre verso il desiderio di felicità
S. Natoli -> La felicità, teoria degli afflitti, dice che la media vita insegna che la felicità
incondizionata è uno stato di grazia, quasi un dono che l’uomo può solo ricevere e non un
bene di cui può disporre. Di conseguenza, ciò che l’uomo si può procurare
autonomamente è forse e solo un ordinario benessere, la felicità per quanto gratuita non
si dimentica e si trasforma quasi in un inconscio. Diogene, narra che Talete interrogato su
chi fosse davvero felice rispose “chi è sano di corpo, ricco di risorse spirituali e ben
educato di natura”. QUINDI la felicità non è possibile senza una dotazione naturale, un
patrimonio di base, che in realtà dipende dal caso. Nel nostro linguaggio potremmo dire
che chi conosce governa il suo bisogno, chi è governato dai suoi bisogni invece non si
conosce e perciò non vi è alcun possesso che lo possa soddisfare. Natoli utilizza il
termine beatitudine in linea con i filosofi antichi per indicare la condizione degli dei, cioè
una condizione di felicità prima che gli uomini intuiscono nell’attimo di felicità presente con
i suoi tratti di assolutezza che però svanisce travolta nel tempo. L’uomo ha in frammenti
ciò che gli dei posseggono per l’eternità, è questa la differenza tra beatitudine donata e
benessere possibile.
1.2 La riflessione sulla felicità : un campo di tensioni
La considerazione della felicità in base al tempo pone l’alternativa tra l’esigenza dell’attimo
e ricerca della pienezza tra occasionalità e stabilità dell’esperienza.
Ogni considerazione della felicità è da subito presa in una serie di tensioni, apparenti ma
di fatto inevitabili.
Considerazione in base al tempo -> alternativa tra l'esperienza dell'attivo o la ricerca della
pienezza
Di qui la strategia dei saggi antichi che cercano diversi modi per garantirsi una condizione
minima di felicità come il distacco interiore o le capacità di accontentarsi del bene che c’è.
Un altro campo di tensione è quello compreso tra virtù e piacere. Questa pone la
questione se la felicità consista nell’attingere il compimento di ciò che possa fare oppure si
debba accontentare di cogliere la gioia offerte dal momento senza toppi problemi.
Felicità come compimento dell’agire o più come quiete, pace e quindi OTIUM perciò la
felicità si trova nell’azione stessa o nella quiete che pone termine ad ogni azione?
Più attuale sembra essere la tensione tra felicità e conoscenza -> E’ felice chi conosce di
più o chi può fare a meno di conoscere? La felicità coincide con il divertimento
spensierato o con la consapevolezza? La felicità coincide con la vita spericolata o con una
sana responsabilità?
Rapporto tra felicità e dolore-fatica -> caratterizza la distinzione tra benessere
occasionale ma concreto e l'attesa di una beatitudine lontana.
Per alcuni cristiani : la beatitudine è uguale alla gioia nel dolore
1.3 Frattura epocale : dalla morale antica che cerca la felicità al l'etica moderna del
dover/agire
Esortazione a cercare il proprio benessere come esperimento personale di vita piuttosto
che puntare ad istanze etiche di alto profilo. Malgrado il desiderio dell'uomo di giungere ad
essere felice nessuno può dire un termini precisi e coerenti ciò che veramente desidera e
vuole.
Riferimento a Kant - Critica della ragion pratica - Kant afferma che la morale può essere
trattata come una dottrina della felicità meni che non entri nell'ambito della religione "La
morale non è la dottrina che ci insegna ad essere felici, ma come dobbiamo renderci
degni della felicità" "è solo quando si aggiunge la religione che entra un noi la speranza di
partecipare un giorno alla felicità, nella misura in cui abbiamo cercato di non essere
indegni".
La filosofia antica riconosceva agli uomini la possibilità di partecipare alla beatitudine degli
dei, grazie ai comportamenti virtuosi come quelli del saggio ( esempio di vita virtuosa).
Attraverso un duro lavoro su di sé, realizzato grazie al distacco delle passioni, il saggio
raggiunge una condizione eccellente che lo avvicina per somiglianza è purezza a quella
degli dei.
MA... Si tratta di vera pienezza della felicità o si un'illusione? La prossimità alla beatitudine
divina a cui aspirano gli Antichi è un sogno ancor oggi realizzabile?
Nel XVIII secolo la ricerca della felicità è un tema molto questionato. Il clima di sospetto
generato è causato principalmente dalla presunta incompatibilità tra felicità e azione. La
moralità comincia con l'esigenza per la libertà di manifestarsi in ciò che l'uomo fa piuttosto
che in ciò che egli è o desidera essere, la morale deve impegnare nell'azione nella lotta
per un ideale possibile più che nella ricerca di essere felici per poi mai raggiungere questa
meta. Si tratta di un sogno impossibile, di un miraggio pericoloso in cui la libertà affoga
l'illusione.
1.4 Ma il rapporto conflittuale tra beatitudine e benessere non deriva proprio da qualche
episodio recente della storia della cultura? 3 obiezioni che mettono in luce il confronto tra il
rapporto tra beatitudine e benessere nel confronto tra ottica moderna e ottica cristiana.
Felicità è godere del provvisorio o attendere il definitivo!?
Tensioni tra "al di qua" cioè il presente e "al di là" cioè il futuro, tra l'esperienza attuale e
l'attesa del compimento. I cristiani attendono un mondo nuovo è letta però come una
distrazione di un compito più modesto, quello di rendere questo mondo più abitabile. È un
po' lo stesso di - meglio un uovo oggi che una gallina domani! Secondo questa
prospettiva, la beatitudine acquista il volto di una vana speranza. Meglio puntare al
benessere attuale, senza troppe pretese. Si tratta quindi del vecchio sospetto di
alienazione religiosa della coscienza. Nei testi biblici si tende però a enfatizzare la gioia,
soprattutto nell'Antico Testamento, ma questa non ha nulla a che vedere con la
spiritualizzazione della beatitudine. Pare quindi instaurarsi un conflitto tra l'attesa della
gioia ultima e le gioie penultime.
"Dobbiamo amare Dio per ciò che ci da, non possiamo stare abbracciati a nostra moglie e
sentire nostalgia dell'al di là, sarebbe di poco gusto. Dio non farà mancare, a chi lo
ringrazia nella sua vita terrena, momenti in cui si ricorda che è tutto provvisorio".
La vera felicità si trova nei piaceri della carne o nelle rinunce dello spirito?
La ricerca della beatitudine al di là dei piaceri immediati è colpita dall'accusa che
Nietzsche rivolge alla morale " la volontà del cristianesimo di calunnia e l'al di qua,
maledicendo le passioni, è in realtà la più pericolosa e sinistra di tutte le dorme possibili di
volontà di morte"
Nietzsche critica la posizione secondo la quale la vita di fronte alla morale cristiana,
considerata come morale assoluta, ha sempre torto perché viene schiacciata, priva di
valore in sé.
Quindi secondo il filosofo è bene rimanere fedeli alla terra e non prestare attenzione alle
promesse ultraterrene. La forza del Cristianesimo è quella di aver preso sul serio il dolore
di tutti, di aver ideato per tutti gli uomini una baia di liberazione. Per questo nel
cristianesimo la forma più alta dell'amore è la "Caritas", non il possesso ma l'offerta di sé.