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“DIRETTAMENTE”
Affinchè i soggetti possano proporre ricorso è necessario un loro interesse (contrariamente a quanto avviene
per i soggetti privilegiati). Ma la domanda riguarda quanto espresso dal continuo della norma, infatti è
necessario chiederci cosa si voglia intendere con la locuzione “direttamente”: un atto che riguarda il soggetto
direttamente è un atto che produce effetti diretti senza l’intermediazione di atti esecutivi né statali né
dell’unione ed il suo paradigma fondamentale è il regolamento; possiamo affermare che non basta che un
individuo sia pregiudicato direttamente, occorre che questo atto che lo riguarda individualmente.
“INDIVIDUALMENTE”
Cosa si intende invece con la locuzione “individualmente”? Possiamo intendere quel pregiudizio che distingue
un individuo da tutti gli altri che siano parimenti pregiudicati dalla misura. La corte l’ha definito in maniera
eccessivamente ristretta, in maniera tale da salvaguardare il più possibile l’Ue contro l’impugnazione di
carattere individuale ossia. Se l’atto si rivolge ad una pluralità di oggetti non potrà essere impugnato poiché
manca il requisito del pregiudizio individuale (requisito fondamentale per l’impugnazione attiva individuale;
bisognerà verificare che il gruppo a cui tale pregiudizio sarà chiuso e non aperto cosicchè il pregiudizio sarà
individuale).
UNA DICOTOMIA
Il meccanismo di impugnazione si fonda su questa dicotomia: tutti quelli che sono individuati/individuabili
come destinatari devono poter impugnare sia che l’atto sia una decisione (atto adottato nei loro confronti) e
sia che sia un regolamento (atto adottato che riguardi un soggetto direttamente e individualmente). Quale è
la logica che sottende questa differenza? tutti coloro che sono oggetto di una decisione possono impugnare
un atto che sia una decisione formale (fonte: decisione) o una decisione nascosta (fonte: regolamento che di
per se produce effetti diretti e che reca un pregiudizio ad un soggetto in modo distinto rispetto al pregiudizio
che reca agli altri individui), sia quindi che gli atti siano una decisione o sia che siano sono sommatoria di
decisioni. Non sarebbe giusto dire che il soggetto possa impugnare solo decisioni: L’individuo può impugnare
l’atto indipendentemente da suo nome iuris, allorché egli appartenga ad una cerchia chiusa caratterizzata di
individui e l’atto sia stato adottato al solo fine incidere sulla posizione soggettiva degli appartenenti a quella
cerchia chiusa.
La giurisprudenza della corte ha ristretto sempre di più questa dicotomia, talvolta andando a soffermarsi sul
fine per il quale era adottato un determinato atto, e per tale motivazione qualora l’incisione su tale posizione
soggettiva fosse soltanto una conseguenza di un altro scopo, questo atto potrà non essere impugnabile.
Vi è una lacuna logica in questo discorso: l’idea alla base dell’art 263 par 4 tutti gli atti generali sono sottratti
all’impugnazione, mentre gli atti particolari sia formalmente (decisioni) che sostanzialmente (regolamenti)
sempre impugnabili dagli individui. Se però un atto generale ha un contenuto negativo non è necessaria
alcuna attuazione e per tale motivazione un atto di tal genere può rivelarsi in un primo momento non
impugnabile (tale fattispecie si verifica nella sentenza Pequenos Agricolteres contro consiglio, dove i piccoli
agricoltori che prima ricevevano un aiuto dal 1998 non lo ricevano più, si tratta di un atto generale negativo
senza misure di esecuzione e per tale motivazione tale soggetti sono privati di tutela giurisdizionale di fronte
all’unione europea).
IL PARERE DELL’AVVOCATO GENERALE JACOBS
L’avvocato generale ci dice però che il sistema dell’unione deve essere completo, non si può lasciare un
individuo privo di tutela giurisdizionale nei confronti di un atto che lo danneggi (è vero che l’art 263 prevede
il pregiudizio individuale ma è anche vero che lo fa perché gli atti generali hanno quasi sempre delle forme
di attuazione) e per tale motivazione la corte deve interpretare l’art 263 del trattato nel senso che gli
individui, in presenza di un atto generale che non comporti misure d’esecuzione, possano impugnare solo
atti che lo riguardino direttamente, non anche individualmente.
LA DECISIONE DELLA CORTE
La corte ammette l’impossibilità di poter dare una interpretazione diversa da quella fatta palese dalla norma
stessa, non può essere omessa la locuzione “individualmente”; Tale lacuna può essere compensata solo da
una modifica del trattato e questa venne apportata con il trattato di Lisbona infatti nell’art 263 leggiamo
“contro gli atti regolamentari che lo riguardano direttamente e non comportano nessuna misura
d’esecuzione”.
SENTENZA INUIT (impossibilità di impugnare gli atti legislativi che non richiedono misure d’esecuzione)
Il problema era quello di un regolamento (non sommatoria di decisioni, ma regolamento generale) relativo
ad un divieto di esportazione di prodotti tratti dalle foche. Gli Inuit impongono questo regolamento dicendo
che essendo un divieto, quindi un atto negativo, non comportava nessuna misura di esecuzione e di
conseguenza avrebbe dovuto interpretarsi la nozione di atti regolamentari come equivalente al regolamento;
la corte non segue però la difesa degli Inuit bensì quanto espresso dall’avvocato generale tedesco Cocot il
quale ci dice che per interpretare l’atto regolamentare, non previsto all’interno del trattato, bisognava
ricercare un testo ulteriore trovato nel trattato che istituisce la costituzione d’Europea dove vi era la
definizione di atti regolamentari (che erano opposti agli atti legislativi); ne consegue che l’intenzione del
legislatore era quella di consentire l’impugnazione soltanto qualora venisse in rilievo un atto non legislativo
(quello non adottato secondo le procedure legislative). Seguendo quest’ultima interpretazione non si andrà
a riempire alcuna lacuna di tutela giurisdizionale dal momento in cui un determinato atto potrà essere
impugnato o meno solo a seconda della procedura legislativa con la quale è stato adottato qualora questo
non comporti misura d’esecuzione, infatti qualora un regolamento fosse adottato con una procedura
legislativa questo non potrebbe essere impugnabile, qualora invece un atto fosse adottato con una procedura
non legislativa, questa sarebbe impugnabile. Ciò potrebbe essere anche ammissibile dal momento che tali
atti hanno una particolare legittimazione per cui che l’individuo possa impugnare un atto che è voluto sia dal
parlamento europeo che dal consiglio forse è troppo, ma le procedure legislative sono infinite e vi sono
talvolta addirittura alcune procedure legislative identiche e procedure non legislative che si differenziano
solo per l’attribuzione di questo “status” da parte del trattato stesso: possiamo concludere dicendo che
attualmente vi è una sfera di atti che possono pregiudicare un individuo e che non possono essere impugnati
ne attraverso ricorso diretto ne attraverso altre formule perché non ammettono atti di esecuzione.
ATTI CHE NON COMPORTANO MISURA D’ESECUZIONE
Io per poter impugnare un atto devo dimostrare che questo mi riguardi direttamente e non comporti nessuna
misura d’esecuzione. Cosa c’è di strano? Un atto che comporta misure d’esecuzione è un atto generale, e per
tale motivazione un atto che non comporta nessuna misura d’esecuzione è di per se già particolare/specifico
e sembra quindi essere la stessa cosa rispetto all’atto che riguarda direttamente un determinato soggetto.
La corte invece contrariamente a quanto sembra che si tratta di due condizioni diverse: il problema si è posto
nel caso di misure meritatamente ripetitive, posiamo un esempio: vi è un atto generale, un regolamento, con
contenuto negativo che quindi di per se non necessita di misure d’esecuzione; nel caso in cui lo Stato italiano
lo recepisca secondo la corte diventa inimpugnabile perché secondo la corte la misura d’esecuzione è
qualsiasi atto adottato da qualsiasi soggetto competente nel momento successivo al l’esecuzione dell’atto
stesso, e per tale motivazione la ripetizione da parte dello stato ne comporta la inimpugnazione.
Lezione 15 30/10/2019
C) RINVIO PREGIUDIZIALE
Art 267
La Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale:
a) sull'interpretazione dei trattati;
b) sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi
dell'Unione.
Da sottolineare che solo la corte può essere adita per il rinvio pregiudiziale, il tribunale no. Perché il rinvio
pregiudiziale può concernere solo interpretazione dei trattati e non la validità? I trattati contengono le norme
di gerarchia primaria.
INTERPRETAZIONE E VAIDITA'
L’interpretazione attiene ad un contenuto normativo della disposizione, la validità attiene al conflitto
normativo tra una norma secondaria terziaria in contrasto con i principi di fondo del sistema europeo. Il
contenuto dei trattati può essere oggetto di rinvio pregiudiziale per quanto concerne la loro interpretazione,
il contenuto degli atti dell'unione può essere oggetto di rinvio pregiudiziale invece per quanto riguarda il loro
contenuto e la loro validità.
FORMULAZIONE DELLA QUESTIONE DI INTERPRETAZIONE E VALIDITA'
Da ciò si evince che gli atti adottati dagli stati membri non possono essere oggetto di rinvio pregiudiziale a)le
norme degli stati membri non possono essere interpretate come tale dalla corte di giustizia perché
appartengono ad un ordinamento nazionale b)tanto meno possono essere oggetto di validità.
1)Questione di interpretazione Una grande maggioranza dei rinvii riguardano l'incompatibilità tra norme
europee e norme nazionali, e per conoscere tale conflitto è necessario adire il giudice per chiedere
l’interpretazione dell’atto europeo per capire se questo osti l’applicazione della norma nazionale.
2)Questione di validità Può accedere che una norma europea osti una norma nazionale, ma che allo stesso
tempo contrasti il contenuto dei trattati: in questo caso potrà emergere la seconda questione, quella di
validità, ed il giudice potrà adire la corte di giustizia proprio in relazione alla stessa validità dell'atto.
La corte ritiene che il rinvio pregiudiziale non sia una procedura contenziosa, un ricorso, bensì ritiene che sia
un momento di collaborazione tra giudice (stato) e corte: In questo caso non vale il principio tr