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Bandinelli modifica il termine popolare con arte plebea per differenziarsi dal pensiero di
Rodenwaldt. L’arte ufficiale sarebbe quella legata al senato e funzionari importanti mentre quella
plebea decora i monumenti di magistrati e ufficiali di provincia. L’arte PLEBEA nel 300 d. C
diventerà l’arte ufficiale conducendo alla rottura con la tradizione ellenistica che i primi storici
dell’arte chiamavano decadenza e che oggi viene definita tarda antichità. Secondo Bandinelli tale
rottura comincia nel IV sec a C. bisogna inoltre ricordare che l’arte romana è sempre espressione
dell’affermazione della politica e del potere. La produzione non è mai finalizzata al godimento
estetico e non è mai disinteressata come quella greca. Il problema terminologico secondo Brendel
può essere risolto dando alla parola romano un senso geografico e cronologico, arte romana sarà la
produzione registrabile entro i confini dello stato romano, ma tale proposto non è certamente una
soluzione definitiva. Nel 1969 Brendel ripropone il problema delle ineguaglianze del
contemporaneo per sottolineare una visione sinottica dell’arte romana, che possa comprendere tutti i
materiali dell’arte privata e pubblica che per Brendel hanno un significato differente, l’arte privata è
quella a fruizione del solo committente quella pubblica è alla fruizione di tutti, quindi l’arte
pubblica di Brendel coincide con l’arte ufficiale di Bandinelli. Una coppa d’argento e una stele di
stile plebeo appartengono entrambe all’arte privata, il discorso si sposta quindi dallo stile al tema,
l’arte romana è un’arte a soggetto. La funzione dell’arte pubblica era quella di trasmettere i
messaggi politici attraverso un vocabolario della comunicazione visuale. La produzione di massa ,
il materiale e lo stile diventano importanti messi per produrre una Koinè, ossia un linguaggio
iconografico che tenga insieme il linguaggio comune , le monete giocano un ruolo fondamentale
perché diffuse dallo stato con immagini politiche e parole chiave. L’arte romana non finisce non lo
stato romano, il linguaggio che ha elaborato resta, nell’arte bizantina e poi medievale. Una frase di
Plinio ha avuto un grande successo si tratta della frase l’arte cessò e nuovamente rivisse tradotta da
ferri in l’arte del bronzo ebbe una sosta, il punto da chiarire è se l’arte in generale cessa o solo
quella del bronzo, in Plinio i legami all’arte del Bronzo sono molti inoltre la frase è tratta da un
testo sul bronzo e le lamentele sulla decadenza di questo sono molte, ma basta? Le ipotesi sono 2, o
ars intende arte in generale oppure solo quella classica e indica la rottura. Alla fine del secolo nel
medioevo vi sono 3 fili distinti
• Problema della definizione dell’arte romana
• La sua periodizzazione interna
• Periodizzazione globale
Quello che è sicuro è che dalla Grecia a Roma, al periodo medievale e rinascimentale le fratture e i
ritorni sono innumerevoli. L’inizio dell’arte romana è indicato nell’età augustea e la fine comincia
con i severi o con traiano, ma allora perché la colonna di traiano è per Bandinelli il monumento
tipico dell’arte romana nel suo maggior splendore? Possiamo dunque vagheggiare che la classicità
scompare e ricompare a Bisanzio, in epoca carolingia in Nicola pisano in Giotto e in generale nel
400 perché vi è una tradizione continua, talvolta la linea di produzione di assottiglia ma non si
spezza. Nessun labirinto, nessun Minotauro può divorare intera la memoria dell’antico. Un filo
rosso ci lega ad Arianna (Mnemosyne Aby Walburg).
3)
Quello della definizione dei suoi confini negli studi dell’arte romana, è il problema capitale.
Importante è il saggio: Un’arte al plurale. L’impero romano, i Greci e i posteri di Settis che ci
informa che il termine romano designa un territorio racchiuso entro cinta la cinta romulea ed entro
l’impero. Ma come sappiamo i confini romani cambiano di continuo, ma come definire l’arte
romana quando si trovano oggetti romani non coincidenti con la fondazione dell’impero e oggetti
d’arte romana anche dopo la sua decadenza? Il confine cronologico e territoriali non è sufficiente e
può fare solo da cornice, ma è solo all’interno di questa cornice che possiamo porci delle domande
circa l’inizio e la fine dell’arte romana. Possiamo citare l’esempio della Dacia, territorio sottomesso
da Traiano, ricco di esempi di arte romana simile per temi e modelli. Dalle fonti sappiamo che
modelli romani era già in uso prima della conquista del territorio e anche dopo la fine, inoltre
sempre dalle fonti sappiamo che il re Decebalo reclutava in continuazione disertori romani per
avere sempre + notizie per costruire le macchine belliche, tale esempio magari non convincerà vista
la provincia Dacia vuota dal punto di vista culturale, quindi una cultura romana, ha potuto insediarsi
molto + facilmente. Ma se trattiamo un secondo esempio come l’Egitto, civiltà che ha elaborato
forme d’arte finissime, possiamo notare che quando l’Egitto dopo Azio e il suicidio di Antonio e
Cleopatra, diviene proprietà di Augusto, la cultura artistica romana si sovrappone a quella greco
alessandrina. L’imperatore può essere rappresentato come faraone e anche come re ellenistico, il suo
nome scritto in greco o latino ma anche geroglifico. Abbiamo qui tre livelli che però ci conducono
alla medesima fascia temporale e al medesimo territorio. Ancora una volta bisogna esaminare
quanto di romano vi sia negli oggetti d’arte prodotti in Egitto, questo è molto difficile. La difficoltà
con gli studi è andata via via crescendo. Nel fare questo tentativo spesso si procede con l’esclusione
piuttosto che con l’estensione. In realtà per procedere in modo additivo bisogna procedere per
schemi, attraverso la sequenza di 4 momenti:
1. Formazione di aree con specifica formazione artistica, e l’analisi dunque di scambi tra
queste.
2. Elaborazione di tendenze e maccanismi di espansione, che non è solo commerciale politica o
militare, e inoltre il processo di modellizzazione e di accettazione del modello che di volta in
volta può cambiare in relazione alla funzione. Spesso l’espansione di una cultura è
determinata dalla preesistenza di aree miste, di cui essa è componente.
3. Processi di assimilazione delle culture artistica meno attive a quella + attiva
4. L’equilibrio fra le differenti culture e la standardizzazione di una cultura artistica con
funzione egemone e la creazione di un linguaggio figurativo comune.
Arte romana viene così definita non per una specifica romanità innata ma in relazione a quella
varietà che si articola lungo un fitto reticolo di standard comuni che rendevano un monumento
comprensibile da tutte le parti. Il primo passo per una definizione dell’arte romana è pensarla al
plurale cogliendone l’unità di funzione e di linguaggio. Una definizione larga era già stata proposta,
e l’arte romana veniva assimilata all’espansione politica e militare, ma l’arte romana non comincia
con la fondazione di Roma e non finisce con l’impero. Un esempio è la cista Ficoroni che non è
definita romana perché prodotta a Roma da Preneste, in stile prenestino. Se non si accetta la cista
non si dovrebbe nemmeno accettare Fulvio Curvo uno dei consoli romani che però era tuscolano.
Ciò significa che non in base alla fascia territoriale definisce la romanità ma attraverso altri criteri.
All’interno di Roma vi è però un dislivello di qualità e di linguaggi figurativi, l’ara pacis con la
rappresentazione di scene di cortei della casa imperiale e i rilievi con scene di panificazioni sulla
tomba del fornaio Marco Virgilio Eurisace appartengono entrambe agli anni di Augusto, ma hanno
una differenza profonda. Conosciamo inoltre la distinzione tra arte plebea e senatoriale, ma uno dei
fondamenti di Bandinelli è il carattere parimenti romano sia nella produzione popolare che aulica.
Mentre per Rodenwaldt si può parlare di un’arte unitaria solo con Augusto, seguendo i ritmi della
storia. Per Bandinelli i grecismi del periodo Augusteo non possono definire un’arte originale
romana che invece va cercata nella plebea. Il rinvio all’arte greca è sempre la risposta per definire
una tradizione romana e dunque x questo va cercato qualcosa di + romano proprio nella plebea.
Bandinelli nella sua ultima sintesi affermò l’originalità romana solo nell’architettura. Il problema
centrale della definizione dell’arte romana è il rapporto con la greca, secondo winckelmann non c’è
niente di arte romana ma semmai arte greca sotto i romani e i suoi imperatori. Tale idea arriva anche
a Ghilberti nei commentari, dove si nota chiaramente che i romani non sono distinti dai greci ma
inclusi a pieno titolo nella stessa bell’antichità, stessa formulazione si ha con vasari dove il romano
non è che lo sviluppo dell’arte greca condotta fino a Roma. Con Raffaello si ha un punto di rottura,
nella lettera di leone X dove distingue fra le sculture dell’arco di Costantino le + antiche da Traiano
a Marco Aurelio dalle costantiniane senza arte o disegno. Per vasari la decadenza arriva dopo i
romani, per Winckelmann ancora prima. Nonostante tutto Winckelmann segna una decisiva rottura.
La convivenza dell’arte romana con quella greca ha creato l’idea della bipolarità dell’arte romana.
In questo contesto viene rivalutata anche l’arte provinciale che prima veniva considerata rozza, ora
nel nostro secolo viene cercata la tendenza di gusto attraverso analisi su campo. Weinberg
rintracciava fin dall’età del ferro le origini della bipolarismo costruttivo dell’arte romana. Ma una
combinazione di sostrati no chiude il problema: una volta indicati gli stili vanno identificate le
differenze. Da questa premesso nascono 2 tendenze, la prima cercava di definire le caratteristiche
comuni di un’arte sul suolo italiano e la seconda di isolare i caratteri costruttivi della sola arte
romana. Ma la pretesa unità dell’arte italica mal convive con la romanità dell’arte romana, perché il
primo modello includeva i greci d’Italia e di Sicilia e per quanto si cercava di tenere fuori i greci
questi c’erano sempre. Il problema di definire l’arte romana incrocia sempre i greci, perché
cercando la romanità in quello che non è greco si afferma sempre l’arte greca come forma fuori dal
tempo e dallo spazio. La vera difficoltà stava in quella che possiamo definire formula di Orazio
ossia