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SESTA LEZIONE

Gli Imperi vengono visti + attraverso i discorsi sugli imperi, come armature ideologiche a fini di

legittimazione delle ragioni di quella conquista. Quindi la storia della colonizzazione americana

della prima età moderna è anche una storia di discorsi, di rappresentazioni di società che non si

conoscevano e di cui si intuiva la profonda diversità rispetto a quelle europee. Si tratta di una storia

di discorsi costruiti in una sorta di arena, luogo di combattimento tra diverse rappresentazioni di

domini e tra diversi discorsi di legittimazione; ad esempio i discorsi spagnoli nacquero in momenti

diversi da discorsi e rappresentazioni, che anche poi francesi e inglesi fecero per legittimare la

loro conquista. È un modo, quello praticato da questi due autori, intelligente x far vedere come tra

le 2 sponde dell’Atlantico, in questi anni comincia a nascere non solo un rapporto squilibrato di

dominio violento, ma anche circolazione di idee e pensieri, che non è a senso unico, non è un

monologo europeo sull’America latina, ma è un continuo dialogo che dura per tutta l’età moderna

e le contaminazioni, le ibridazioni, reciproci momenti di confronto, anche di influenza, non sono

solo un terribile atto di forza europea, è invece qualcosa di più sfumato e circolare, dando

l’impressione, che la conquista dell’America fosse stata a lungo periodo anche un elemento

importante per la riflessione degli europei sulla loro identità. Nella prima parte di questa lezioni ci

fanno da guida questi due testi; mentre nella seconda prenderemo lo spunto da alcuni articoli, più

recenti, di due storici italiani, Lavenia e Marcocci, perché approfondiscono un aspetto importante

della legittimazione del dominio portoghese e spagnolo.

Nel testo di Padgen c’è una citazione di un libro di un economista austriaco di primi 900, che si era

interessato di imperialismo e lo aveva definito “ la disposizione priva di oggetto da parte di uno

stato all’espansione violenta e intollerante dei confini”, parlando dell’imperialismo tedesco otto-

novecentesco. Padgen dice che con questa affermazione si può essere completamente in

disaccordo: perché né gli imperi del nuovo modo, quelli cinquecenteschi, né nessun altro fu mai

privo di scopi. La loro espansione non fu sempre illimitata e violenta. Non ci fu mai almeno al loro

principio una creazione dello stato. La prima colonizzazione spagnola,c he abbiamo descritto come

un moto travolgente, violento, autonomo di invasione del territorio, sul quale la corona almeno

all’inizio ha pochissima influenza. È certo vero invece, conclude Padgen, che l’impero europeo fu

l’espressione ideologica formale, di quello che l’economista austriaco ha chiamato “inclinazioni

irrazionali puramente istintive alla guerra e alla conquista”. Questa introduzione del tema

dell’irrazionalità, delle cose che accadono in maniera non razionale è un aspetto ideologico

importante, perché la prima conquista americana fatta in proprio da questi gallico-ispanici è

davvero una conquista irrazionale in apparenza, ma molto razionale se ci rifacciamo ai codici e ai

valori aristocratici, che stanno alla base di questi costruttori d’imperi d’oltre mare, perché la

violenza è certamente, trasformatasi in conflitto, una promessa di elevazione sociale, cioè di

promozione, di accrescimento, raggiungimento della gloria e della fama, che per queste persone è

sicuramente un valore. C’è quindi un elemento di certo ai nostri occhi abbastanza irrazionale, ma

spiegabile nella violenza, nel sangue versato nei primi decenni della conquista militare. Ma c’è

anche un grande problema razionale che pone subito di fronte a chi dall’Europa come la corona

spagnola deve legittimare in qualche modo: dare, cioè, seguendo le parole di Padgen, un’ identità

concettuale a ciò che si sta facendo, alla acquisizione improvvisa di un’enorme massa di uomini e

territori. Occorreva quindi dare un’interpretazione giuridica, politica, teologica, + rispetto alla

concorrenza degli altri imperialismi nascenti, francese e inglese. Non si può ricostruire esattamente

la storia della colonizzazione spagnola in America latina, senza osservare che negli stessi anni gli

spagnoli combattono una guerra selvaggia, distruttiva in Europa, contro gli Inglesi, contro i

Francesi. Quindi le due guerre al di qua e al di là dell’Atlantico sono aspetti di una stessa realtà.

Già negli anni 20 del 500, quindi piuttosto presto, teorici, uomini di chiesa a servizio della

monarchia spagnola cominciano, sottoposti a questa pressione esterna, ad elaborare una teoria di

legittimazione del dominio spagnolo in America. È una teoria fatta di tanti pezzi, un collage molto

composito di elementi, che non sono tutti in armonia tra loro, ma ci danno l’idea di come quest’

esigenza fosse urgente: dare un ordine concettuale a quello che gli spagnoli stavano compiendo.

C’è un personaggio: Francisco de Vitoria, che è un frate domenicano, un teologo e giurista, vicino

alla monarchia, che viene ricordato dal libro di Ferrajoli “ la sovranità nel mondo moderno: nascita

e crisi dello Stato nazionale” come il primo autorevole inventore della teoria della sovranità

moderna, in chiave di rappresentazione, non, come ad esempio quella di Machiavelli, di esigenza

italiana-europea, ma in chiave di raffigurazione di un rapporto, che con le conquiste costringe

l’Europa a confrontarsi con altre realtà.

Questo perché, come emerge dalla slide, Vitoria è il primo pensatore giuridico europeo dell’idea

che esita una comunità di res publicae, di stati indipendenti, che sono soggetti ad un medesimo

“ius gentium”, comunità di stesse leggi, che si regge su una convivenza regolata da uno stesso

diritto. È un’innovazione strepitosa rispetto all’idea universalistica medievale della “comunitas”

dentro l’involucro dell’impero cristiano. Vitoria sposta di molto quest’idea, sostituendola con un

concetto moderno, quello di una società internazionale di res publicae, che sono da lui percepiti

come soggetti politici indipendenti gli uni dagli altri. È un’idea, dice FerrajoIi, di estrema modernità,

perché sposta il piano del discorso su quella che ci sembra una società contemporanea di stati

indipendenti. Ma dopo questa affermazione di estrema modernità, spunta la natura profondamente

ispanica e anche il tentativo di legittimazione del mondo coloniale appena aggregato alla corona

che sorregge il suo discorso: Vitoria fa un discorso che combina 2 sfere di sovranità, una esterna,

che sembra regolata da un diritto uniforme delle genti, che dovrebbe regolare le relazioni tra questi

stati, e una interna, statale che impone ha chi la ha in mano dei diritti ( come la CORRECTIO

FRATERNA, cioè la correzione di certi comportamenti) e degli obblighi definiti IUS PREDICANDI

ET ANNUNTIANDI ( predicare e annunciare la fede cristiana), per assicurare pace e sicurezza dei

propri cittadini. Ferrajoli nota che qui è messa in luce idea di una sovranità quasi ottocentesca,

nella quale la sfera della sovranità interna è una sfera intoccabile, da parte degli attori di questa

comunità, in cui le competenze spettavano unicamente a chi detiene il potere. Questa sfasatura di

regimi di sovranità colpisce nelle argomentazioni di Vitoria: da un lato estremamente moderne e

dall’altro legate al contesto della conquista coloniale. Infatti, anche se da questa idea dell’esistenza

di una comunità giuridica di stati, Vitoria trae la terza idea basilare: quella che esista una guerra

giusta, legittimata come riparazione dei torti subiti, adeguamento della teoria della guerra giusta,

che lui interpreta come principio di regolazione dei rapporti tra questi stati. È sempre con l’occhio a

ciò che succede internamente agli stati che bisogna interpretare questa : Vitoria dice che c’è

guerra giusta che possono farsi stati perché lo ius gentium, cioè il diritto delle genti, che regola i

rapporti tra questi, in realtà non ha un tribunale superiore che deve decidere tra i diritti dei rispettivi

stati e quindi uno stato può affermare i propri diritti in virtù di questa legittimazione. Il tratto che

però più ci interessa riporta a questi dovere di annuncio, di predicazioni, di correzione che stanno

secondo lui a capo di chi esercita la sovranità : un discorso molto calato nella realtà spagnola, che

aveva una fondamentale differenza rispetto agli altri domini coloniali.

Il dominio spagnolo era nato abbastanza casualmente, non solo alle origine, ma perché anche

dopo è cresciuto in forme violente ma abbastanza organizzate; però la differenza di fondo

ideologica tra i domini spagnoli e quelli degli altri europei era una differenza che risaliva alle bolle

pontificie concesse a metà degli anni 50 al re di portogallo, e valevano anche per il re di spagna, e

poi al famoso trattato di Tordesillas, che aveva regolato tra 1493-4 la divisione dei domini tra

Spagna e Portogallo. Tra le bolle concesse da Alessandro VI e quelle concesse nel 1452 c’era un’

identità di contenuto abbastanza forte, che riguardava la premessa sostanziale: cioè queste bolle

con la concessione di imporre il vangelo, di permettere la conquista delle terre ai saraceni o agli

altri pagani stabiliva in anticipo ciò che sarebbe accaduto. Erano dunque concessioni date dal

pontefice prima della stessa esistenza dell’oggetto, sul quale queste concessioni avrebbero dovuto

valere. Da parte dei francesi e degli inglesi queste concessioni erano giudicate prive di senso.

Ma, in realtà, questo tipo di contenuto delle bolle pontificie , + quella “romanus pontifex”, che dava

ai monarchi della Castiglia il dominio su tutti i territori conquistati e da conquistare, erano

concessioni che avevano una precisa motivazione.

Sul contenuto di queste bolle da una buona spiegazione John Elliot, mettendo in luce quale sia

questa condizione precisa che permette la concessione: che i monarchi si assumessero la

responsabilità di proteggere ed evangelizzare gli abitanti indigeni; ma dato che la reazione

favorevole delle popolazioni Indigene di fronte alle pretese di possesso non poteva essere data x

scontata, gli spagnoli adottarono una specie di test, attraverso la lettura, che si faceva in presenza

di un notaio all’atto dello sbarco degli spagnoli sulla terra da poco conquistata, di un documento

diventato poi famoso nella storia del dominio coloniale, che è il cosiddetto “requerimiento”

( traducibile con “richiesta”): testo stilato in Spagna nel 1512 da un giurista e sem

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
124 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/02 Storia moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher bonsy91 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Bellabarba Marco.