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Dittongo discendente : presentano prima l’elemento forte poi quello debole, [ ‘noj ]. È
presentato mediante la sequenza vocale + vocale non sillabica ( semiconsonante ).
Una sequenza fonetica è quindi una serie di segmenti ciascuno caratterizzato da un numero di
coefficienti articolatori che intervengono simultaneamente. I segmenti hanno una durata nel tempo
molto variabile. L’IPA prevede 5 livelli di lunghezza:
1) Strabreve
2) Breve
3) Medio-lungo
4) Lungo
5) Stralungo
Tuttavia le lingue distinguono solitamente tra due livelli di lunghezza: breve o lungo. Tre sono i
modi per classificare la lunghezza: la presenza di un mikron, nel caso in cui il segmento sia breve,
un makron nel caso in cui sia lungo; il raddoppiamento del segmento quando questo sia lungo; il
grado lungo è indicato mediante due puntini.
La sillaba
È l’unità fonetica minima che il nostro organismo è in grado di percepire e produrre; è caratterizzata
da un picco di sonorità, chiamato nucleo, che è l’unico elemento necessario alla sillaba. Ogni lingua
possiede regole particolari riguardo al tipo e al numero di elementi ammessi all’interno di ognuno
dei costituenti ( ad esempio, in italiano nel nucleo deve sempre trovarsi una vocale ).
La fonologia
Se la fonetica tende a confrontare i singoli eventi sonori aventi una finalità linguistica con le
caratteristiche generali della produzione, trasmissione e percezione del linguaggio umano, la
fonologia analizza il modo in cui i diversi sistemi linguistici disciplinano il piano dell’espressione.
La teoria linguistica ipotizza due diversi strati dell’espressione:
• La forma fonologica, cioè la rappresentazione dei singoli elementi lessicali.
• La realizzazione fonetica, che può essere definita tramite l’insieme delle proprietà
dell’espressione di una sequenza concretamente realizzata.
Le differenze tra forma e sostanza dell’espressione emergono tramite un esempio: in tre diverse
realizzazioni della parola prato, la prima con una vocale centrale bassa, la seconda con bassa
anteriore, la terza con bassa posteriore, notiamo come l’unità lessicale della sequenza fonica
rimanga invariata: in ogni caso infatti, ciascun parlante che ha espresso foneticamente la parola
“prato”, ha voluto comunque intendere “estensione di terra ricoperta di erba”. In italiano è
possibile eseguire questo esperimento con altre parole ( “fare”, “sale”, “mare”… ). Di conseguenza,
possiamo dire che le tre vocali non stabiliscono tra loro opposizioni distintive.
Dati i tre suoni in questione, si può concludere che questi rimandano ad un’unica unità del
significante linguistico: questa unità è detta fonema, cioè l’unità minima della forma
dell’espressione linguistica; gli allofoni invece sono le diverse realizzazioni fonetiche di un
medesimo fonema.
L’inventario fonologico di una lingua è l’insieme delle unità del significante di quella. Due sono i
criteri per l’individuazione di queste unità:
1. Prova di commutazione: dati due elementi, questi si dicono commutabili se cambiando
l’uno con l’altro all’interno di un’unità di livello più alto, si ottiene una diversa unità
accettabile all’interno della lingua. Ad esempio: immaginiamo di voler identificare la
differenza tra il suono [ p ] e il suono [ b ]. Prendiamo la parola [ ‘pas.to ]: per capire se
questa opposizione costituisce un’opposizione distintiva, e quindi se i due suoni sono la
realizzazione di due diversi fonemi e non allofoni, il primo elemento sarà quello da
commutare a tutto il resto: [ p ] elemento da commutare [ ‘__as.to ] contesto linguistico.
La prova di commutazione ha avuto un esito positivo: [‘pas.to] [‘bas.to]. Le due parole
“pasto” e “basto”, costituiscono una coppia minima. Con ciò è dimostrata l’opposizione da
consonanti sorde e sonore, ma la commutazione può andare avanti. Il metodo è analogo per
l’inventario fonologico delle vocali.
2. Esame della distribuzione: dati due elementi A e B, questi possono avere le seguenti
distribuzioni: distribuzione complementare, in tutti i contesti dove appare A è escluso B.
Distribuzione sovrapposta, in tutti i contesti in cui appare a si sovrappongono solo in parte
quelli in cui compare l’elemento B. Distribuzione coincident e
, in tutti i contesti in cui appare
A compare anche l’elemento B e viceversa. Se A e B si trovano in posizione sovrapposta,
costituiscono opposizioni distintive. Se sono complementari sono varianti di una stessa unità
fonologica, se sono coincidenti invece possiamo avere entrambe le possibilità.
La morfologia
È lo studio della struttura interna della parola. Nella frase “anno nuovo, vita nuova”, quante parole
ci sono ’’?
1. Quattro: chi ha risposto così a contato quelle che sono le parole grafiche, cioè le sequenze di
lettere separate dagli spazi bianchi.
2. Tre: chi ha risposto così invece ha considerato le parole grafiche come rappresentanti di
diversi lessemi.
Non a caso su un vocabolario dovremmo cercare tre elementi, in quanto NUOVA è una flessione
dell’aggettivo NUOVO.
I lessemi di una lingua possono essere classificati sotto diversi punti di vista. Le classi di lessemi
sono dette parti del discorso, e sono divise in due categorie: variabili ed invariabili. Nome, articolo,
aggettivo, pronome e verbo sono quelle variabili, proposizione, congiunzione, interiezione e
avverbio sono invariabili. È anche vero che questa partizione non è universale, ma varia in base a
ciascuna lingua.
Le parti del discorso
Il criterio che permette di classificare le diverse parti del discorso è quello di attribuire a ciascun
elemento una funzione sintattica: inizialmente quindi definiamo due categorie, quella del predicato
e quella che funge da argomento, nomi e verbi. Altre due categorie possono essere quelle che
modificano il predicato, gli avverbi, o l’argomento, gli aggettivi.
Un altro criterio è di ordine semantico: si classificano in categorie diversi i lessemi che si
riferiscono a oggetti individuali, a azioni o stati.
Un altro criterio è morfologico: si oppongono lessemi che presentano flessione per diverse categorie
grammaticali.
Il criterio distribuzionale, classifica in categorie diverse forme che si presentano in diversi contesti
sintattici ( i nomi sono preceduti da un articolo, ma i verbi no… ).
Ovviamente non tutte le lingue rispondono a questi precisi criteri: un esempio può essere dato
dall’articolo, che non è presente in tutte le lingue.
La grammatica di ciascuna lingua rende obbligatoria l’espressione di determinate categorie
grammaticali: il numero per i nomi, genere e numero per gli articoli e gli aggettivi, persona numero,
tempo, aspetto, modo e diatesi per il verbo, persona, numero, caso e genere per i pronomi. Ogni
categoria è rappresentata da uno dei suoi valori.
Un lessema è quindi variabile quando può presentarsi in diverse forme flesse che esprimono diversi
valori delle categorie grammaticali obbligatoriamente espresse da quel lessema.
1. Numero : può essere singolare o plurale, ma in alcune lingue si ha anche un duale.
2. Caso : dà informazioni sulla funzione sintattica che un nome ricopre nella frase. I due
principali sistemi sono detti sistema nominativo-accusativo e sistema ergativo-assolutivo.
Nel primo sistema, i nomi che hanno la funzione di soggetto ricevono il valore di
nominativo, mentre quelli che svolgono la funzione di oggetto ricevono quello di accusativo.
Il caso assolutivo invece è assegnato al soggetto dei verbi intransitivi e il soggetto dei verbi
transitivi riceve quello di ergativo.
3. Genere : maschile e femminile. Ma la natura del referente non sempre è il criterio per
assegnare il genere. Ad esempio, per i nomi che indicano oggetti asessuati, il genere è
assegnato in base a caratteristiche fonologiche ( nomi maschili in –o, nomi femminili in –a ).
4. Persona
5. Tempo
Modelli di analisi morfologica
Un primo approccio all’analisi della struttura di una forma flessa consiste nel considerare la forma
come il risultato di una concatenazione di entità, ciascuna con un significante ben individuabile e
con un preciso significato
. “Can” animale domestico + “e” singolare.
Queste sono due unità di prima articolazione, dotate di significante e significato entrambe: sono due
morfemi. Una prima distinzione è quella tra morfemi grammaticali e lessicali: “can-“ è un morfema
lessicale, mentre “-e” è grammaticale, perché ha come significato il valore di categoria
grammaticale. Una categoria intermedia è quella dei morfemi derivazionali, come “-il-“ di canile.
Si dicono morfemi liberi quelli che possono costruire da soli una parola, e morfemi legati sono
quelli che si presentano solo all’interno di parole polimorfemiche. In italiano la maggior parte dei
morfemi sono legati. I morfemi lessicali legati sono detti radici, i morfemi grammaticali legati sono
invece affissi; in base alla posizione rispetto alla radice, gli affissi possono essere prefissi ( prima
della radici, suffissi quelli apposti dopo. Ma i morfemi grammaticali legati suffissati sono anche
detti desinenze.
Sono però nati alcuni problemi: esempio. Chiar-o
Chiar-a
Chiar-i
Chiar-e
I quattro diversi morfemi grammaticali, sono portatori di un significante ma di due significati:
quello del genere e del numero. Per far fronte a questa ambiguità, si è proposto di chiamare morfo
ogni elemento segmentabile all’interno di parola. Il morfo –o quindi, rappresenta due morfemi,
“maschile” e “singolare”. Questo tipo di morfi, che rappresentano contemporaneamente più di un
tratto morfosintattico, sono detti morfi cumulativi. Un’altra particolarità si ha di fronte al morfo
zero: esistono infatti dei morfi a significante zero, cioè privi di significante. Un esempio è dato
dalla lingua russa, dove al genitivo plurale di “kniga” abbiamo semplicemente “knig”.
Due allomorfi sono varianti di uno stesso morfema, così come due allofoni sono varianti di uno
stessa fonema. Nell’allomorfia si hanno diverse entità sul piano del significante che rappresentano
un’unica entità sul piano del significato.
Il modello appena spiegato è chiamato a entità e disposizioni, e condivide con il modello a entità
e processi l’idea che le forme flesse dei lessemi si costruiscano mettendo insieme dei morfemi.
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