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Power (Power e Khmelkov, 1998). Come sostiene Nucci (2001) l’opera di Blasi è quella che più ha

contribuito allo sviluppo in questa direzione, egli sostiene che la responsabilità morale è il frutto

dell’integrazione della moralità nell’identità o nel senso di sé di una persona. Certo già molti Autori

avevano sottolineato l’importanza del Sé.

Il bisogno di identità si sviluppa negli anni e si esprime con forza nei bracci di ferro con i genitori su

come comportarsi, la lotta comincia già nel grembo materno:

Secondo David Haug, biologo evoluzionista dell'Università di Harvad, durante la gravidanza si

svolge il prototipo di tutti i conflitti futuri, la lotta inconscia tra la madre e il feto per accaparrarsi le

sostanze nutritive. il feto non sta passivamente nella pancia della madre in attesa di essere nutrito;

infatti la sua placenta genera vasi sanguigni che invadono letteralmente i tessuti della madre per

estrarne sostanze nutritive. la madre a sua volta, in virtù delle leggi di selezione naturale, cerca di

ostacolare queste invasioni per conservarsi sana per la prole futura. Insomma si verifica una

sortem di tiro alla fune; solo se la bandiera resterà al centro, muovendosi impercettibilmente,

saranno evitati esiti funesti per l'uno o l'altro dei due contendenti. Se il feto tira troppo dalla sua

parte certamente se ne avvantaggerà ma correrà anche il rischio di restare orfano di madre;

viceversa, se la madre si opporrà in modo troppo deciso alle richieste del feto, rischierà di generare

un figlio debole e poco vitale. (Psicologia Contemporanea, 2007)

Forse varrebbe la pena di far prendere coscienza a tanti contendenti dei quotidiani conflitti tra

popoli, società, religioni, razze, culture, classi sociali ed economiche, nonché tra individui, che solo

quando la bandiera resta al centro alla lunga tutti ne trarranno vantaggio e la Pace potrà regnare

sulla Terra.

Il bisogno di costruire un’identità personale era già chiaro a Piaget che sosteneva, come ci ricorda

Nucci (2001) che “… è soltanto attraverso la conoscenza della nostra natura di individui, con i nostri

limiti e con le nostre risorse, che possiamo renderci capaci di uscire da noi stessi e di collaborare

con altre nature individuali.” (Piaget, 1932, pag. 393).

La persona sin dai primi anni anela quindi alla propria libertà, come sottolineato da Gewith (1978)

l’individuo considera la libertà un bene necessario che ha il diritto di rivendicare, in quanto

necessaria per poter agire in modo finalizzato. Il diritto ad un ambito personale acquista quindi la

funzione di dare l’origine e la giustificazione concettuale della rivendicazioni della persona alla

libertà, anche se l’ambito di questo diritto alla libertà è di difficile risoluzione, in quanto, come

sostenuto da Nucci (2001), condizionato dalle norme culturali e da caratteristiche personali; ma vi

sono comunque delle aree fondamentali, relative alla gestione del corpo della persona e alla

libertà di espressione, comunicazione e associazione, che, seppur influenzate culturalmente per

forma e grado, sono comunque sempre presenti. Lo stesso Autore sottolinea inoltre che

il bisogno psicologico di avere una sfera personale e la conseguente formazione dell’ambito

personale e le rivendicazioni individuali della libertà sono necessarie perché la persona

contribuisca come individuo al processo (sia interpersonale che interiore) che conduce alla

reciprocità morale, al rispetto vicendevole e alla cooperazione. Se dall’ambito personale non

scaturirebbero rivendicazioni della libertà non esisterebbe, secondo Nucci (2001), alcun concetto

morale dei diritti, ma è proprio il discorso morale che trasforma le rivendicazioni individuali alla

libertà in obblighi morali condivisi; infatti senza una tale reciprocità, come aveva già evidenziato

Piaget (1932), le rivendicazioni personali alla libertà possono dare origine anche a tendenze

narcisistiche o di sfruttamento degli altri: è questo il caso di quei soggetti che non passano da una

moralità autonoma ad una eteronoma, rimanendo in una fase egocentrica. Ne consegue che la

moralità e la libertà personale non solo non sono contrapposti ma risultano aspetti interdipendenti

dello sviluppo umano. E’ lo sviluppo, storicamente contestualizzato, di rivendicazioni individuali

della libertà – che riflettono bisogni psicologici fondamentali e astorici – che stimola il discorso

morale e allo stesso tempo fornisce l’impulso per una possibile critica dello status quo. In questa

prospettiva, lo sviluppo morale deve quindi essere considerato contemporaneamente universale e

plurale, individuale e sociale. In definitiva, esso riconosce anche che se da un lato le conoscenze

morali individuali rispecchiano caratteristiche intrinseche e ineluttabili dell’interazione umana e

dei bisogni psicologici individuali, dall’altro la moralità dei diritti umani sarà, nelle sue forme più

mature e fondate sui principi, sempre il prodotto di un impegno collettivo (Nucci, 2002)

A conferma di quanto affermato da Erikson (1963) che è essenziale un equilibrio, frutto di una

buona negoziazione, tra le aree di discrezione del bambino e l’applicazione della regolamentazione

sociale da parte del genitore per evitare problemi di adattamento ambientale che porterebbero a

problemi psicologici nel corso degli anni. Fin dall’infanzia il bambino impara a dire di “no” e a

sottolineare con fermezza la sua autonomia e, quindi, gli ambiti della sua discrezionalità, comincia

quindi a discutere le regole poste dai genitori (specie quelle relative alla sfera personale):

inizialmente ciò riguarda ambiti relativi a cosa e quanto mangiare, poi a come vestirsi, curare la

propria estetica (ad es. come portare i capelli) e quali sport fare; quindi, a come tenere in ordine il

proprio spazio, quanto tempo dedicare agli studi e al tempo libero, chi frequentare e luoghi ed

orari delle uscita da casa.

Lo studio condotto da Nucci e Weber (1995) sulle interazioni madre – bambino (3-4 anni) osservò

che le rivendicazioni dei bambini riguardavano per il 98% i comportamenti relativi ad ambiti

prevalentemente personali contro il 25% di quelli che implicavano questioni convenzionali e solo il

10% di eventi relativi a questioni morali o di prudenza. I colloqui con i bambini confermarono non

solo che i bambini erano in grado di distinguere gli ambiti personali dagli altri maggiormente

soggetti alla regolamentazione sociale, ma che consideravano i primi una loro competenza, su cui

spettava a loro e non alla madre decidere, viceversa erano disponibili a lasciar decidere la madre

negli ambiti morali e convenzionali. A loro volta le madri sembrarono conformarsi a questo

pensiero e rispondevano in modo diverso a seconda se la negoziazione riguardava ambiti

personali, morali e convenzionali, nel primo caso erano molto più disposte alla negoziazione.

In uno studio successivo (Nucci e Smentana, 1996) le madri spiegarono che preferivano lasciare

scegliere ai figli in alcuni ambiti perché il fatto di prendere decisioni li avrebbe aiutati a sviluppare

l’autostima e la capacità di iniziativa autonoma. In generale emerse un ruolo attivo dei figli nel

fornire feedback alle madri sotto forma di richieste e resistenze che comunicano informazioni sul

loro bisogno di avere aree di controllo personale; si

tratta quindi di un insieme specifico di rivendicazioni di scelta negli ambiti della sfera personale più

che di una resistenza generalizzata all’autorità degli adulti (Brehm e Brehm, 1981; Kuczinski e alt.,

1987).

Questi studi, svolti inizialmente su famiglie Nord Americane, sono stati successivamente

generalizzati ad altre culture considerate meno individualiste ed ad altri ceti sociali, ed hanno

confermato nella sostanza i medesimi risultati (per una rassegna critica di questi studi si può

vedere Nucci, 2002, pagg. 81 – 87).

Man mano che i bambini crescono la tendenza alla lotta per l’autonomia decisionale aumenta e si

allargano gli ambiti di negoziazione, sino ad arrivare all’adolescenza quando la negoziazione può

riguardare tutti gli ambiti e il confronto con gli adulti raggiunge il suo picco. J. Smetana e i suoi

collaboratori dell’Università di Rochester hanno condotto una serie di studi che hanno permesso di

comprendere meglio le origine dei conflitti fra adolescenti e genitori e di come l’autorità dei

genitori influenza questi conflitti. Si è così scoperto che il conflitto non riguarda allo stesso modo

tutti gli ambiti, in particolare riguarda solo raramente questioni morali, infatti su queste gli

adolescenti riconoscono l’autorità dei genitori (Smetana, 1989b, Smetana, Brages e Yau, 1991;

Smetana e alt., 1991) e, quindi, che debbono obbedire alle regole che guidano i comportamenti

morali proposte dai genitori (Smetana, Killen e Turiel, 1999).

Gli adolescenti riconoscono ai genitori anche il diritto di proporre regole convenzionali e relative

alla sicurezza e alla salute dei figli ma crescendo (specie dai 15 anni in poi) tendono a considerare

queste ultime questioni di propria competenza (Tisak, 1986; Smetana e Asquit, 1994). Così che

negli Stati Uniti i conflitti tra genitori e figli adolescenti relativi a chi avesse l’autorità si verificavano

preferibilmente (Smetana e Asquit, 1994) in questioni relative all’aspetto (abbigliamento e cura del

corpo), attività e tempo dedicato (studio, uscite con gli amici, uso del telefono, programmi

televisivi), luoghi in cui poter recarsi (discoteche, birrerie, pub) e denaro (quanto e come

spenderlo).

Gli adolescenti pur comprendendo le motivazioni dei genitori (responsabilità verso la famiglia,

importanza delle buone maniere, imbarazzo e preoccupazione dei genitori su come il figlio possa

essere percepito dagli altri) ne rifiutano il contenuto sociale e convenzionale e si appellano al loro

diritto di autodeterminazione e di esercitare su questi ambiti la propria personale giurisdizione

(Smetana, 1989b e Smetana , Brages e Yau, 1991).

Le regole relative a questioni di prudenza (rischi per la salute e sicurezza dell’adolescente) sono

meno foriere di conflitti, anche perché la maggior parte degli adolescenti compie azioni contrarie

alle regole di tipo innocuo e non particolarmente rischioso (non lavarsi le mani o i denti, vestirsi in

modo non adeguato alla temperatura) ma purtroppo, a volte, sono presenti comportamenti in

grado di provocare gravi danni nel tempo (ad es. assunzione di alcool o droghe) e, a quel punto, il

conflitto diventa inevitabile.

GRUPPO DI SMETANA → nella gestione del conflitto ha identificato 3 diversi stili genitoriali

che corrispondono al diverso grado di conflitto familiare:

Famiglie

Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
31 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/03 Filosofia morale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Francyiaco93 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Laboratorio di etica e deontologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università telematica Niccolò Cusano di Roma o del prof Urso Antonino.