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Processo di attribuzione causale
Per rispondere a domande come "Perché Giorgia non mi saluta?" o "Perché Luca ha rubato?", le persone si impegnano in un processo di attribuzione causale finalizzato alla comprensione della connessione esistente tra una certa azione, un certo comportamento e le sue condizioni soggiacenti (Heider 1958).
In particolare, per spiegare un comportamento, si possono considerare due fattori:
- Fattore esterno: corrisponde alla causazione impersonale e si riferisce a fattori ambientali e situazionali. Ad esempio, una persona potrebbe aver messo in atto un certo comportamento perché la situazione l'ha portata ad agire in quel modo. Ad esempio, Martino è venuto a lezione con dei pantaloni argentati perché non è riuscito a cambiarsi. Oppure, Luca ha rubato del cibo al supermercato perché ha perso il lavoro e non ha soldi per sfamare sua figlia.
- Fattore interno: corrisponde alla causazione personale e si riferisce a fattori legati all'individuo. Ad esempio, l'attore ha messo in atto un certo comportamento a causa delle sue caratteristiche personali. Ad esempio, Giorgia potrebbe non salutare perché è timida o riservata. Oppure, Luca potrebbe aver rubato perché ha una propensione al comportamento antisociale.
Costruire una rappresentazione della realtà sociale sufficientemente stabile e affidabile che permetta loro di fare anche delle previsioni sul comportamento futuro dell'attore. Se inferiamo che Luca è disonesto quando lo vediamo rubare, possiamo ipotizzare che sia incline a replicare l'azione scorretta e decidere, così, di stare attenti ai nostri averi in sua presenza. I fattori situazionali sono troppo mutevoli per permetterci di elaborare una spiegazione solida e durevole.
Inoltre, l'osservazione di un comportamento genera un'inferenza corrispondente [ibidem]:
- è percepita come libera e intenzionale - quando vediamo le grandi parate organizzate dalla Corea del Nord non pensiamo che le persone che vi partecipano siano patriottiche perché sappiamo che sono soggette alla pressione della rigida dittatura di Kim Jong-un;
- è inaspettata, atipica, scarsamente
Desiderabile a livello sociale o non corrispondente al ruolo dell'attore - se vediamo una persona buttare per terra una cartaccia le attribuiremo l'etichetta di "incivile, maleducata" in modo molto rapido e sicuro se siamo in una pulitissima città svizzera piuttosto che in una città molto sporca, proprio perché nel primo contesto quel gesto è raro e inusuale. In modo analogo, se tra gli alunni di una classe c'è un ragazzo proveniente da un contesto socioculturale particolarmente degradato (causa inibente) che prende 9 in tutte le materie, saremo più propensi a definirlo intelligente, capace e pieno di volontà rispetto al compagno che prende gli stessi voti ma viene da una famiglia agiata;
3. ha effetti distintivi che non possono essere spiegati da altri fattori - se una persona laureata in economia e finanza all'Università Bocconi decide di iniziare un dottorato di ricerca, inferiamo
immediatamente che è appassionata del proprio lavoro; se accetta l'offerta di una grande banca d'affari saremo più incerti nell'attribuirle il tratto "appassionata" perché non sappiamo se lo fa per amore del proprio lavoro o per il lauto stipendio. Un altro aspetto rilevante che spiega l'errore fondamentale di attribuzione e la propensione all'inferenza corrispondente è l'accesso cognitivo alle informazioni: l'attore mette in atto dei comportamenti perché è spesso spinto da molteplici variabili situazionali che l'osservatore non sempre percepisce. Giorgia magari non ha salutato perché distratta da problemi familiari: lei li conosce bene; gli altri intorno a lei e che osservano le sue azioni no. Infatti, la letteratura che si è occupata di attribuzione causale ha evidenziato una sostanziale asimmetria nell'errore fondamentale di attribuzione tra attore e osservatore. Cioè,quando assistiamo al comportamento degli altri (siamo in posizione di osservatori) tendiamo a fare inferenza corrispondente e attribuire l'azione a disposizioni interne (tratti), mentre quando siamo noi a mettere in atto comportamenti (siamo in posizione di attori) siamo più propensi a spiegare i nostri atti riferendoci a fattori esterni, anche perché abbiamo a disposizione informazioni circa la situazione e il contesto che li ha determinati. Su questo punto, tuttavia, è necessario soffermarsi. Come spiegato a inizio capitolo, la cognizione sociale ci pone di fronte spesso all'analisi di processi cognitivi che possono essere modificati e persino ribaltati da variabili motivazionali: questo è uno di quei casi. L'attribuzione causale potrà essere utilizzata strategicamente per mantenere un'immagine positiva di sé stesso e del proprio gruppo di appartenenza. Sebbene sia stato appena detto che gli individui utilizzano più
Frequentemente fattori situazionali per spiegare le proprie azioni quando sono loro stessi gli attori, non sempre è così: le persone tendono a fare attribuzione interna in caso di successo e di esiti positivi del comportamento ("Ho preso trenta all'esame perché sono preparato/a e capace") e attribuzione situazionale in caso di esiti negativi ("Sono stato/a bocciato/a all'esame perché il test era troppo difficile"). Utilizzare una causazione impersonale ed esterna in caso di fallimento è ovviamente una strategia difensiva che permette di non attribuire a sé stessi le cause dell'insuccesso. Inoltre, si mettono in atto processi analoghi anche quando si parla di altri, sulla base della loro maggiore o minore vicinanza al sé: se Giorgia è una nostra amica saremo meno propensi a pensare al suo comportamento come causato da outgroup ostilità; se Luca è un membro dell' non avremo alcuna
difficoltà a etichettarlo come un criminale. Queste attribuzioni strategiche a favore del sé prendono il nome di [Miller e Ross 1975]. Un punto importante da sottolineare è che, sebbene l'inferenza corrispondente sia stata considerata a lungo un errore "fondamentale" e quindi "universale", in realtà non è diffusa e presente in tutte le culture del mondo. Rispetto al contesto culturale occidentale, infatti, in Oriente l'errore si riduce e a volte si inverte: come mostrato da studi condotti in Cina, di fronte al comportamento dell'individuo i partecipanti enfatizzavano maggiormente fattori situazionali più che disposizionali [Menon al. 1999]. Come si spiega questa inversione? In Occidente lo stile cognitivo più diffuso è quello analitico e la persona è concepita come un'entità autonoma e indipendente, caratterizzata da una configurazione unica di attributi interni.ragazzo o una ragazza. In tutte queste situazioni, la prima impressione che facciamo è molto importante. Ma quanto influisce realmente sulla nostra percezione degli altri? Secondo alcuni studi, la prima impressione che facciamo di una persona può avere un impatto significativo sul modo in cui la percepiamo in seguito. Questo fenomeno è noto come "effetto primacy". In altre parole, la prima impressione che facciamo di qualcuno tende a influenzare la nostra opinione su di lui o lei nel lungo termine. Tuttavia, è importante notare che la prima impressione non è sempre definitiva. Le impressioni possono essere modificate nel tempo sulla base di nuove informazioni e esperienze. Questo processo è noto come "aggiornamento delle impressioni". Ad esempio, se inizialmente abbiamo un'opinione negativa di qualcuno, ma successivamente scopriamo che è una persona gentile e generosa, potremmo modificare la nostra impressione iniziale. Allo stesso modo, se inizialmente abbiamo un'opinione positiva di qualcuno, ma successivamente scopriamo che è una persona egoista e manipolatrice, potremmo modificare anche in questo caso la nostra impressione iniziale. In conclusione, la prima impressione che facciamo di una persona può essere importante, ma non è l'unica cosa che conta. Le impressioni possono essere modificate nel tempo sulla base di nuove informazioni e esperienze. Quindi, è sempre meglio essere aperti e disposti a rivedere le nostre impressioni iniziali.nostra opinione iniziale e cercheremo di ignorare o minimizzare le informazioni checontraddicono la nostra impressione;2. l’effetto primacy e l’effetto recency – tendiamo a dare maggior peso alleprime informazioni che riceviamo su una persona (effetto primacy) e alle ultimeinformazioni che riceviamo (effetto recency), dimenticando o sottovalutando leinformazioni intermedie;3. l’influenza delle caratteristiche personali – le nostre impressioni possonoessere influenzate da caratteristiche personali come l’aspetto fisico, l’abbigliamento,la voce, il linguaggio del corpo, ecc.;4. l’influenza delle aspettative – le nostre impressioni possono essere influenzatedalle nostre aspettative preesistenti su una persona o su un gruppo;5. l’influenza del contesto – le nostre impressioni possono essere influenzate dalcontesto in cui avviene l’interazione, come ad esempio il luogo, il momento, le personepresenti, ecc.nostra conclusione oppure limiteremo la ricerca di nuovi dati;
2. l'interpretazione, il ricordo e il giudizio sulle nuove informazioni ricevute - saremo ciechi alle informazioni falsificanti, sopravvaluteremo le evidenze empiriche che confermano le nostre idee e interpreteremo a nostro favore quelle ambigue;
3. la risposta comportamentale - le ipotesi iniziali guideranno il nostro comportamento e le nostre interazioni sociali con il target, in modo tale da rafforzare ulteriormente la nostra opinione.
Questa marcata tendenza al conservatorismo, una volta che l'individuo si è formato una prima impressione su un'altra persona, è problematica almeno per due motivi.
Innanzitutto, come abbiamo visto, le nostre prime impressioni non si basano sempre su elementi solidi e rilevanti ma anche su processi estremamente superficiali (ad esempio, l'aspetto fisico, vedi quadro 3.3) ed euristiche (vedi quadro 3.2). Quando facciamo riferimento a impressioni o
tate originate. Tuttavia, queste credenze possono ancora influenzare le nostre azioni e le nostre decisioni attuali. È importante essere consapevoli di queste credenze e valutarle criticamente per assicurarci che siano basate su informazioni accurate e aggiornate.