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Y
funzione di produzione che ci dà . A questo punto si tratta di inserire una
dimensione prezzi nominali, salario nominale, offerta di moneta, livello di
prezzi che è sostanzialmente governata dalla teoria quantitativa della
moneta. E’ governata dalla teoria quantitativa della moneta perché questa
Mv= py
teoria se la guardiamo come è un’ identità, ma se noi consideriamo
la velocità di circolazione e il livello di prodotto come un dato diventa una
teoria dei prezzi; il livello dei prezzi è determinato dall’offerta di moneta,
variazioni percentuali dell’offerta di moneta generano analoghe variazioni
percentuali del livello dei prezzi. Se noi guardiamo questo schema (grafico 2)
e ci chiediamo: di questo impianto teorico dove si concentra l’attacco delle
teorie della domanda? Cioè dov’è che le teorie della domanda mettono in
discussione questo meccanismo per portare avanti una concezione
dell’equilibrio macroeconomico che non è più ancorata al livello di pieno
impiego ma può essere fissata a qualsiasi livello di occupazione.
La teoria di Keynes si concentra non tanto sul mercato del lavoro ma attiene
alla relazione risparmio – investimento. E’ una teoria alternativa della
relazione tra risparmio e investimento che genera una teoria alternativa
dell’equilibrio macroeconomico perché nella teoria keynesiana il tasso
d’interesse non è la variabile che mette in equilibrio risparmio e investimento,
il tasso d’interesse è la variabile che mette in equilibrio domanda e offerta di
moneta. Ora se il tasso d’interesse è la variabile che mette in equilibrio
domanda e offerta di moneta cosa garantisce l’equilibrio tra risparmio e
investimento che noi sappiamo deve in ogni caso realizzarsi? Saranno le
oscillazioni del reddito. Abbiamo sostanzialmente un capovolgimento
dell’impostazione classica perché potremmo, diciamo così, allargare il
discorso e dire che mentre nel sistema del pieno impiego il tasso d’interesse
garantisce l’equilibrio tra risparmio e investimento e il livello del reddito
garantisce l’equilibrio tra domanda e offerta di moneta, nel sistema
keynesiano accade l’inverso: il tasso d’interesse garantisce l’equilibrio tra
domanda e offerta di moneta e le variazioni del livello del reddito
garantiscono l’equilibrio tra risparmio e investimento. Noi sappiamo che non
esiste un’unica scheda del risparmio ma naturalmente esistono tante schede
del risparmio quanti sono i livelli del prodotto. Ora mentre il discorso che
facciamo nell’ambito del modello del pieno impiego è quello di considerare il
reddito come fissato a pieno impiego e le variazioni del tasso d’interesse
come suscettibili di garantire la coincidenza tra risparmio e investimento in
corrispondenza dei risparmi di pieno impiego, nell’analisi keynesiana non
accade questo, l’elemento chiave che garantisce l’uguaglianza tra risparmio e
investimento non sarà una variazione del tasso d’interesse con queste curve
fissate nel piano ma sarà una variazione della funzione del risparmio a
prescindere dal livello del tasso d’interesse che smette di avere il ruolo di
equilibratore che ha nella teoria del pieno impiego. Stiamo dicendo in altri
termini che se ci siamo convinti dei motivi per cui nel modello di pieno
impiego il tasso d’interesse è la variabile chiave per assicurare la legge di
Say, la legge degli sbocchi, cioè il risultato che qualunque livello di
produzione troverà sempre una domanda ad esso corrispondente, attaccare
la teoria del tasso d’interesse, porre in discussione la teoria del tasso
d’interesse neoclassico significa porre in discussione la tendenza al pieno
impiego del reddito, la tendenza a individuare un reddito di equilibrio che è
fissato non dalla domanda ma dalle dotazioni, capitale e lavoro. Una
domanda che dobbiamo porci per avvicinarsi alla teoria keynesiana è cosa
determina allora il reddito di equilibrio? Se non è la disponibilità di lavoro al
pieno impiego, se non è la funzione di produzione, in altri termini al suo
́
E
potenziale massimo cioè a determinare il reddito di equilibrio, che cosa lo
determina? Si tratta sostanzialmente di capovolgere, anche in questo caso, la
linea di ragionamento che abbiamo seguito nel modello di pieno impiego
perché nel modello di pieno impiego abbiamo trovato un reddito di pieno
Y
impiego e ci siamo chiesti: c’è la domanda che lo compra? Risposta: se
la teoria del tasso d’interesse risparmio uguale investimento funzione, certo
che c’è una domanda ad esso corrispondente. Qui il problema che si sta
ponendo è diverso, dal momento che il tasso d’interesse non fa il lavoro di
rendere uguali risparmio e investimento ma fa quello di generare l’equilibrio
sul mercato della moneta, come si determina il reddito di equilibrio? La
risposta è: analizziamo la domanda, poniamo al centro dell’attenzione non le
curve di domanda di lavoro, le curva di domanda di nuovo capitale cioè
l’investimento ma i determinanti della domanda finale. Se riusciamo a mettere
a fuoco quali sono i determinanti della domanda siamo in grado anche di
capire che cosa genera il reddito di equilibrio. Allora il punto di partenza non è
tanto l’analisi dell’equilibrio sul mercato del lavoro e sul mercato del capitale,
ma è l’analisi della domanda aggregata cioè :
Y d=c +i
A che cosa è uguale la domanda aggregata? Cioè la domanda dei beni
prodotti? Iniziamo a dare una risposta considerando l’economia più semplice
che possiamo immaginare cioè quella in cui non vi è il settore pubblico, quella
in cui non vi sono rapporti con l’estero. Sappiamo, e questo ce lo dice già la
contabilità nazionale ce lo dice il conto delle risorse e degli impieghi ,che in
questo caso la domanda complessiva è data dalla domanda di beni di
consumo più la domanda d’investimento. Le famiglie domandano beni di
consumo le imprese domandano beni d’investimento. Da che cosa dipende il
consumo delle famiglie e l’investimento delle imprese? c=c( y ,
)
Il consumo delle famiglie è una funzione del reddito
• l’investimento è una funzione di una serie di fattori che hanno carattere
• ́
i
autonomo, cioè non dipendente dal livello del tasso d’interesse e in
misura minore, nella teoria keynesiana rispetto alla teoria neoclassica,
i=(i , r )
dal tasso d’interesse
La teoria del consumo keynesiana è una teoria che stabilisce una relazione
tra livello del reddito e livello del consumo. Questa relazione è di tipo
crescente: maggiore è il livello del reddito e maggiore di conseguenza sarà il
livello del consumo; però è crescente ad un tasso decrescente: incrementi di
consumo derivanti dall’incremento unitario del reddito sarà più piccolo quanto
maggiore è il livello del reddito. Per quanto riguarda invece la teoria
dell’investimento, bisogna dire due cose: la prima è che anche nell’ambito
della teoria keynesiana, come pure nell’ambito della sintesi neoclassica,
esiste una relazione inversa tra tasso d’interesse e livello degli investimenti.
Questa relazione inversa tra tasso di interesse e livello degli investimenti dal
punto di vista più astrattamente teorico è ancorata alla teoria della produttività
marginale: un incremento della produzione generata da un’unità in più dello
strumento di produzione genera un incremento di prodotto che sarà via via
più piccolo; quindi, per rendere profittevoli ulteriori incrementi della
produzione è necessario che il costo del capitale sia più basso. Quindi da
questo punto di vista noi ci muoviamo ancora nel solco della teoria della
distribuzione analizzata nella lezione precedente. Però nell’analisi keynesiana
c’è un’innovazione, che si può comprendere proprio alla luce del fatto che nel
suo schema non esiste un equilibrio di pieno impiego: quando analizziamo la
scelta dell’imprenditore di effettuare un investimento da un lato prendiamo in
considerazione la profittabilità attesa, cioè qual è la redditività che l’investitore
si aspetta da quel progetto di investimento. Sull’altro piatto della bilancia c’è il
costo del capitale, ossia il tasso di interesse, e il costo del capitale è un costo
che l’imprenditore sostiene sia che prenda a prestito (e in quel caso lo paga
alla banca), sia che detiene i fondi e non prende a prestito (perché perde i
soldi che avrebbe potuto investire in banca al tasso di interesse, supponendo
che non vi sia nessuno spread tra l’attivo e il passivo, in termini di costo-
opportunità possedere o meno il capitale non fa nessuna differenza). Su un
lato della bilancia, quindi, c’è il tasso d’interesse, sull’altro lato c’è invece la
redditività attesa dell’investimento. La redditività attesa di un investimento è
un concetto che, nel caso in cui ragioniamo in termini di modello di pieno
impiego, è perfettamente definito; nel caso invece in cui ragioniamo in termini
di modelli di sotto-occupazione o disoccupazione involontaria, non è chiaro
cosa sia, perché se noi abbiamo il livello del prodotto fissato sempre al pieno
impiego, è evidente che possiamo fare un calcolo del tipo “se aggiungo un
nuovo trattore oppure se aggiungo un nuovo forno alla pizzeria in termini di
tecnologia, di funzione della produzione, questo nuovo fattore che incremento
del prodotto mi genera?” Ed è l’unica domanda che mi faccio se ragiono
rifacendomi ai modelli di pieno impiego, perché non ho il problema di
chiedermi se questo incremento di produzione che realizzo sarà poi venduto
o meno. Non ho il problema della domanda, non ho il problema degli sbocchi
sul mercato dei prodotti che vado a realizzare. È questo che mi riduce la
questione alla semplice uguaglianza tra prodotto marginale del capitale e
livello del tasso di interesse; è un problema puramente tecnico, tanto è vero
che una variazione degli investimenti a parità di tasso d’interesse si può
avere solo se varia la produttività marginale del capitale, cioè se ad esempio
si inventa un nuovo tipo di trattore che invece di darmi un incremento di pochi
chili di grano come il vecchio è in grado invece di darmene di più, e quindi
adesso diventa profittevole investire anche a un tasso