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JOHANN GOTTFRIED HERDER
Herder nasce a Mohrungen, nella Prussia orientale, nel 1744 e muore a Weimar
nel 1803.
Si occupa di teologia e il suo pensiero è influenzato dalla filosofia di Kant e di
Hamanns.
Tra le sue opere filosofiche di maggiore rilievo vanno ricordati il “Trattato
sull'origine del linguaggio” (1772), “Ancora una filosofia della storia per
l'educazione dell'umanità” (1774) e, il suo grande capolavoro, “Ideen zur
Philosophie der Geschichte der Menschheit” (1784-91), rimasto però
incompleto.
Di quest’ultimo leggiamo la quarta parte intitolata ”Zur Humanität und
Religion ist der Mensch gebildet”.
In quest’opera, ciò che emerge è la concezione di storia e di umanità di Herder.
Egli rappresenta l’umanità come qualcosa che è cresciuto organicamente,
anche in funzione delle condizioni climatiche e geografiche e che è in cammino
lungo un percorso che la porterà ad una sempre maggiore perfezione.
Anche la storia è quindi un grandioso processo unitario, in cui l'umanità realizza
progressivamente se stessa, con i propri valori, le proprie manifestazioni ed
istituzioni.
Herder afferma inoltre che la caratteristica distintiva dell’uomo è il fatto di
sapere stare eretto, ma egli ha anche numerose altre qualità, come il senso di
giustizia e l’amore per la verità, che lo rendono il portatore della cultura.
Grazie a tutte queste sue qualità, l’uomo è la creatura più forte di tutto il
creato, che riesce a sopraffare tutte le altre creature (esempio dell’uomo
africano che riesce a vincere sui leoni, utilizzando la propria capacità, astuzia e
cautela).
Altra caratteristica dell’uomo è il fatto di fare parte di una società: mentre nel
regno animale infatti, l’amore materno si vede solamente nella protezione dei
piccoli e nello sfamarli (esempio dello struzzo che sotterra le uova nella sabbia,
in modo che queste non vengano danneggiate da altri animali), presso gli
uomini invece esso è qualcosa di più importante.
Tra gli uomini si vengono infatti a creare legami forti, di amore e di sangue,
cosicché il nuovo arrivato possa entrare a fare parte della società. L’uomo è
quindi fatto, dice Herder, per far parte di una società.
All’interno della famiglia, l’uomo apprende inoltre la regola della giustizia e
della verità: di questa regola fa anche parte l’insegnamento del “non fare agli
altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”.
Infine l’uomo è caratterizzato da una forte empatia nei confronti dei propri
simili: quando ad esempio vediamo o tocchiamo un cadavere, siamo in grado di
sentire la freddezza della grotta in cui esso è seppellito, freddezza che lo stesso
cadavere ormai non sente più, e ne sentiamo anche i brividi.
Al di sopra dell’uomo c’è Dio: egli è visto da Herder come la forza primordiale di
tutte le forze, davanti al quale siamo tutti uguali, in quanto non ci sono
differenze, siamo tutti una cosa sola.
All’interno della società, la religione è infatti, secondo Herder, la sola filosofia:
da sempre gli uomini, anche quelli appartenenti alle popolazioni più selvagge,
credono che debba esistere una forza creatrice originaria che tutto ordina.
Anche questi primi tentativi devono appunto essere considerati religione.
Sulla terra, l’uomo è la testimonianza dell’esistenza di Dio: più l’uomo coltiva la
sua perfezione, la sua bellezza, più manifesterà la presenza di Dio su di essa.
Essendo collegati in modo così forte a Dio, cerchiamo di raggiungere anche la
sua eternità.
Questa concezione herderiana influenzò moltissimi autori e filosofi futuri, come
Goethe, tanto che questa sua opera aprì la strada all’idealismo tedesco che
culminò poi in Hegel.
Altro testo molto importante è intitolato “Briefe zur Beförderung der
Humanität”, ovvero “Lettera sul progresso dell’umanità”.
Questa lettera, la ventisettesima, riprende delle idee che erano già state
elaborate nell’opera precedentemente analizzata, completando le osservazioni
a riguardo. Essa contiene infatti ulteriori riflessioni sulla parola e sul concetto di
“umanità”.
Il termine “umanità”, dice Herder, è stato spesso macchiato, in quanto gli sono
stati affiancati dei significati collaterali di bassezza, debolezza e di falsa pietà.
In realtà, a questo termine devono venir affiancati concetti come quello di
diritto, dovere, dignità, amore.
L’umanità è infatti, secondo Herder, la caratteristica propria della nostra stirpe:
anche se non viene portata a compimento dall’uomo sulla terra, essa deve
costituire lo scopo di tutti gli sforzi dell’uomo, che deve così mostrare il divino
che è in lui.
L’umanità deve quindi essere la ricchezza e il risultato di tutti gli sforzi
dell’uomo. Friedrich schiller ( 1759 – 1805)
Friedrich Schiller nacque nel 1759 a Marbach.
Studiò giurisprudenza e medicina sotto una rigida educazione militare.
Nella sua produzione letteraria subì l’influenza di Klopstock, Lessing e dei
drammi dello Sturm und Drang.
Nel 1781 a Mannheim, in occasione di una rappresentazione dell'opera “I
Masnadieri”, Schiller fu arrestato e gli venne intimato di non pubblicare più
opere teatrali. Nel 1783 riuscì a fuggire da Mannheim per trasferirsi prima a
Lipsia e Dresda e infine a Weimar.
Nel 1789 gli venne affidata, per intercessione di Goethe, la cattedra di storia e
filosofia di Jena.
Nel 1791 iniziò lo studio di Kant e dell'estetica.
Nel 1793 scrisse “La Storia della guerra dei Trent'anni”.
Nel 1800 iniziò la grande stagione dei capolavori di Schiller: nel 1800 scrisse
“Maria Stuart”, nel 1801”Die Jungfrau von Orleans”, nel 1803 “Die Frau von
Messina, nel 1804 “Wilhelm Tell”.
La prolifica attività letteraria, e in particolare il lavoro alla tragedia “Demetrius”
vennero interrotti dalla morte dello scrittore, avvenuta nel 1805 a Weimar a
causa della tubercolosi.
Pensiero e poetica di Schiller
Per tutta la vita Schiller sentì la vocazione di educare il genere umano: si
parla infatti della sua “ pädagogische Sendung ” che andava di pari passo con il
compito più nobile dell’arte, che era quello di migliorare l’umanità, nella libertà
dell’uomo e nel tentativo di realizzare gli ideali.
Prima di parlare di questa educazione, è necessario dire che la visione del
mondo di Schiller è contraddistinta da un dualismo, il quale poneva i seguenti
binomi: idea e vita, speranza e paura, vita e morte, libertà e costrizione,
fortuna e sofferenza, pace e guerra, forma e contenuto, arte e realtà.
In lui era sempre presente il cosiddetto “Zwiespalt”, ovvero il conflitto tra
materia e spirito, che si traduce in una tesi ottimistica da un lato, in un’antitesi
pessimistica dall’altro e nel suo tentativo di arrivare a una sintesi di
superamento, nel senso di avvicinamento al mondo delle idee, cioè alla
realizzazione delle idee nell’ambito dell’umano e del terreno.
Per superare il suo dualismo egli invoca la libertà dalla costrizione dei
sensi e dalla realtà terrena: tale libertà gli appare nella forma della
bellezza, i cui attributi sono la grazia e la leggerezza, mentre l’aspetto
corporale e materiale viene a meno.
Ad esempio, nella lirica “Das Ideal und das Leben” il poeta mostra come il
bello (visto dal punto di vista spirituale) diventa libero dai legami della
corporeità.
Un ulteriore esempio viene dato in “Ueber Anmut und Würde”, nella quale
spirito e anima sono gli elementi attraverso i quali l’uomo riesce a staccarsi dal
mondo dei sensi e dalla corporeità: il compimento più elevato avviene nel
momento in cui il mondo del sensi non viene oppresso dalla ragione e
nemmeno la ragione viene oppressa dal mondo dei sensi, vale a dire quando
entrambi gli elementi si trovano in equilibrio armonico.
Questo accordo di “Pflicht und Neigung” (dovere e ragione), con i quali Schiller
sperava di superare il rigorismo kantiano (il dovere era per Kant un agire contro
l’inclinazione, la Neigung), era rappresentato dall’ “Eigenschaft”, cioè la
qualità dell’anima bella (“schöne Seele”).
Schiller, come Goethe, vedeva l’anima bella incarnata nell’Uomo antico: le
sue azioni sono infatti date dal gioco, dalla concordanza di Sittlichkeit
(moralità), Vernunft (ragione) e Sinnlichkeit (sensualità) all’insegna della
Freiheit, libertà: “Der Mensch spielt nur, wo er in voller Bedeutung des Wortes
Mensch ist, und er ist nur da ganz Mensch, wo er spielt”.
Se la Erziehung ha dunque il compito di costruire lo stato morale dell’uomo,
essa si deve avvalere dell’intermediazione dell’estetica: il bello deve
“strappare” con astuzia l’uomo dal suo stato fisico e lo deve condurre in quello
morale. Quindi, l’uomo, il quale all’inizio è sottoposto nel suo stato fisico alla
forza della natura, si libera di questa forza nello stato estetico e viene a
dominare la sfera morale. Maria Stuart
La “Maria Stuart” è un’opera drammatica scritta da Schiller nel 1800.
Il dramma presenta una donna viva, vera, umana e credibile: Maria Stuart
accetta, con la serenità di “un’anima bella” purificata dal dolore, l’ingiusta
condanna a morte come giusta espiazione di un altro delitto, di cui è
veramente colpevole.
In questo dramma Schiller rappresenta liberamente i fatti storici, lasciando
assenti o quasi le lotte di due religioni diverse e di due opposte nazionalità e
impernia tutto sul contrasto tra due temperamenti, due donne più che due
regine: Maria Stuart di Scozia è prigioniera di Elisabetta di Inghilterra, la
quale vede nella bella e giovane Maria una rivale, una nemica, in quanto
entrambe le regine amano lo stesso uomo, il cortigiano Leicester.
Elisabetta si reca nella prigione di Maria non per concederle il perdono, ma per
umiliarla davanti al loro comune amante. Elisabetta riesce a mandare sul
patibolo la rivale, ma proprio con ciò perde per sempre l’amante.
Il dramma evidenzia due anime diverse di donna: da un lato abbiamo
Elisabetta di Inghilterra, ipocrita, senza scrupoli, donna pie