vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
ERASMISMO
Agli inizi del secolo avvengono i primi contatti della cultura spagnola col pensiero di Erasmo.
L’università di Alcalà di Heranes rimane il centro propulsore di queste inquietudini anche dopo la
morte di Cisneros (1517), poiché qui si era sviluppato un movimento eterodosso all’interno
dell’ordine dei francescani: los alumbrados. Essi avevano già postulato la necessità di un
rinnovamento della vecchia scolastica, del clero e dei dogmi ecclesiastici (obiettivi sostenuti dallo
stesso Erasmo). Poi, a partire dal 1520, l’opera di Erasmo, più volte tradotta e commentata, si
diffonde rapidamente nella penisola. La cosa sorprendente è che la penetrazione delle nuove idee
non avviene soltanto fra i religiosi e non riguarda solo la teologia; interessa subito, da un lato i
centri del potere e la corte stessa; dall’altro si propaga in ogni ceto ed ambiente, anche all’interno
delle classi popolari.
Quando nel 1523 Las Cortes de Vallaloid si pronunciano contro il vergognoso commercio delle
bolle per le crociate, l’adesione al pensiero di Erasmo è fulminea, velocissima e porta alla
diffusione dei suoi libri e alle immediate traduzioni.
Fra i religiosi, l’erasmismo alimenta le speranze in una riforma del clero e in un ritorno alla purezza
del cristianesimo primitivo, ispirandosi essenzialmente ai principi della “devotio moderna”
diffusasi nel tardo medioevo: favorisce, cioè, una crisi della liturgia e dell’apparato rituale, difende
la validità della preghiera fatta mentalmente, combatte gli artifici e formalismi sottili della vecchia
scolastica in nome di un’autentica riflessione interiore. Perciò, ai suoi inizi, può affiancarsi, come
abbiamo detto, al movimento degli “alumbrados” (o illuministi), una setta che gode di qualche
fortuna al tempo di Cisneros e fa proseliti soprattutto fra i francescani, predicando l’essenzialità
della fede e dell’amore cristiano non senza affinità coi protestanti tedeschi.
L’azione di Erasmo, tuttavia, non si muove nell’ambito di un evangelismo ingenuo ed astratto, ma
influisce sulla morale pratica con la forza dell’esempio. La creazione del MANUALE è un aspetto
della cultura cinquecentesca che Erasmo fa proprio e con cui va incontro ad una precisa attesa del
suo pubblico. Un’opera come l’ Enchirydion militis cristiani è destinata a grande e rapida
diffusione anche in forza dell’esemplarità del suo messaggio.
Il messaggio di Erasmo si allinea e, in qualche modo, si identifica con la nuova filologia
umanistica, perché quel modello di perfetto cristiano deve essere aiutato dalla sapienza e deve
combattere la menzogna e le mistificazioni. La sua morale si costruisce soprattutto sullo studio dei
testi biblici, ma questo comporta la conoscenza del greco e del latino, a l’aiuto di “tutta” la filologia,
intesa eticamente come scienza della verità. Attraverso i circoli erasmiani si fa strada, dunque, una
possibilità di contatto più vero e nutrito col mondo classico. Basti pensare ai criteri con cui
l’università di Alcalà di Henares, durante e dopo la guida di Casneros, accoglie i propri insegnanti,
dando la preminenza alle lingue classiche accanto all’arabo e all’ebraico. Invitati a prender parte
all’edizione delle Sacre Scritture, gli umanisti di Alcalà asplicano poi integralmente la loro funzione
di esperti nelle letterature antiche.
Quasi tutti gli umanisti spagnoli seguaci di Erasmo scrivono in forma dialogata, come il maestro.
Perché? Perché il dialogo è, per costoro, l’involucro in cui meglio si insedia la disputa teorica, ed
lo strumento ideale della comunicazione con i proseliti, con i dotti, con l’intera comunità cristiana.
Viva sarà l’influenza nel dialogo di modelli classici, in particolar modo:
• Satira di Luciano che dà vita ad un dialogo sarcastico, che riesce a far emergere le
incongruenze, le falsità.
Questa forma di dialogo sarà molto produttiva dopo il 1529-30, nel decennio che
accompagna la fine dell’impero di Carlo V. a causa dell’accisa, ormai palese, di eresia verso
Erasmo, questo pensiero continuerà ad alimentare la letteratura, in forma nascosta, clandestina, in
opere che, necessariamente, saranno anonime (Dialogo de las trasformaciones, Viaje de Turquia).
• Dialogo di Socrate che, attraverso la funzione dialettica, riesce a svelare la verità. Questo
modello influenzerà le opere di Vives ma, soprattutto, di Juan de Valdès.
JUAN LUIS VIVES (1492-1540)
Vives, pur scrivendo unicamente in latino, dimostra di essere tra gli eterodossi spagnoli quello
che più profondamente assimila la parte comunicativa, pragmatica, della lezione di Erasmo.
Teologo e pedagogista di rinomanza europea, autore di opere che vanno dalla speculazione
sottile del De anima et vita all’insegnamento morale dell’Istitutio foeminae christianae(1524),
precettore, a Londra, della futura regina Maria d’Inghilterra, Vives incarna l’aspetto etico-pratico
della dottrina erasmiana con grande ricchezza di testimonianze. La grande intuizione di Vives
sta nella preminenza che la sua dottrina conferisce al comportamento dell’uomo nella società
come oggetto prioritario di ricerca, nel muovere insomma dall’osservazione del costume per
costruire un modello etico, e non viceversa. Grado a grado la sua preoccupazione religiosa si
risolve in una scienza pedagogica attiva; e, per tramite di questa, nella rappresentazione
minuta ed analitica della vita quotidiana. Vives stabilisce un circolo continuo fra il particolare,
come dimensione descrittiva e talora naturalistica, e il suggerimento etico generale come
discretissimo spunto di una dimensione retorica ed esemplificativa. Vives dimostra che la prosa
non è non sarà mai interamente astratta, né potrà sussistere senza annodare legami espliciti
con una condizione reale dell’esistenza.
Intanto, col propagarsi del messaggio erasmiano dai circoli religiosi e dai conventi dei
francescani “alumbrados” alle università e agli umanisti, emerge, accanto ai modelli etici e
formali, anche un punto di riferimento geografico, un’ipotesi di cosmopolitismo europeo che si
lega al mito del predicatore viaggiante. Erasmo offre anche un esempio di “peregrinatio”
cristiana: non si reca mai in Spagna, ma è presente con la sua parola in Inghilterra, in Francia,
in Germania. Ed è la Spagna, perciò, che si muove in cerca di Erasmo. È su questo estremo
allargamento di orizzonti che si costruisce l’idea di un grande impero cristiano governato dal re
spagnolo e guidato da principi di integrità e di fratellanza propri dell’erasmiamo. Se un ideale
come questo è uscito per un attimo dalla cornice dell’utopia ed ha assunto la consistenza di
una tesi politica, si deve ancora una volta alla pressione dei seguaci spagnoli di Erasmo. C’è,
in questo una logica profonda anche se contingente. La Spagna sta per assumere la sua
funzione egemonica in un’Europa travagliata dalla riforma; si capisce che gli eterodossi non
luterani, i quali si trovano per qualche tempo al vertice di questa situazione di potere, non
resistano al miraggio di una convergenza d’ideali neoreligiosi e politici.
Ed ecco che il più tenace assertore della nuova dottrina è un altro campione dell’erasmismo,
Alfonso de Vandès.
ALFONSO DE VALDES (1490-1532)
Cancelliere della segreteria imperiale e mediatore delle nuove idee nell’ambito della corte. Il
suo disegno era già in nuce nella predicazione di Erasmo, come un aspetto del grande ideale
pacifista; e ritorna, con questo tramite, anche nell’opera di Vives. Ma Alfonso fa di più: addita
concretamente in Carlo V il rovescio dell’ipotesi machiavelliana del nuovo politico, un principe
illuminato che sa giungere alla guida dei popoli per elezione, senza violenza né inganni.
È il momento culminante della fiducia in un umanesimo liberale che si identifica con l’impero e
rifiuta il centraliamo morale e temporale di Roma. In entrambe le opere di Alfonso, il Dialogo de
Mercurio y Caròn e il Dialogo de Lactancio y un Arcediano (quest’ultimo a difesa dell’operato di
Carlo V in occasione del sacco di Roma del 1527), la speranza nella comunità cristiana
universale emerge da una violenta polemica contro la Chiesa romana. Antitesi del tiranno
spregiudicato di Machiavelli, l’imperatore giusto di Valdés è però anche lontano dal saggio
governante, ad esempio, dell’Utopia di Thomas More, proprio a causa della sua identità politica
precisa e della cornice di imprese guerresche che gli sta attorno.
Alfonso muore di peste a Vienna nel 1532, prima di constatare quanto fosse illusoria ogni
prospettiva politica fondata sull’idea di un conflitto fra il papato e l’impero.
Suo fratello Juan, che gli sopravvive di quasi un decennio, già paga con la lontananza dal suo
paese, se non con l’esilio, la professione di fede erasmista e un’accentuata inclinazione
luterana.
JUAN DE VALDES
Nella sua opera è preminente l’aspetto della riflessione interiore quanto era forte in Vives
l’assillo pedagogico e in Alfonso l’utopia politico-religiosa.
Rifiutando l’idea di peccato come timore del castigo divino, e additando, invece, la
consolazione certa del perdono di Cristo, Valdés compie l’estremo tentativo di conciliare la
purezza interiore invocata da Erasmo con un’aperta e spregiudicata coscienza umanistica.
Il contributo di Juan all’umanesimo letterario del suo paese appare ben evidente da quando gli
si è attribuita l’opera più importante di teoresi linguistica dopo la Gramatica di Nebrija e, certo, il
primo documento spagnolo di una coscienza linguistica moderna: il Dialogo de la lengua
(scritto anch’esso nel periodo napoletano). Qui si affermano, attraverso le sagge considerazioni
dell’umanista e le vivaci repliche dei suoi interlocutori, la maturità del castigliano e il suo
primato sulle altre lingue iberiche, e dell’idioma trionfante si imposta per la prima volta una
“questione” sull’esempio delle Prose de la volgar lengua del Bembo. Egli avverte, in questa
“medietas” la forma più adeguata a una lingua che si prepara ad esercitare il suo centralismo
culturale in Europa.
Valdés non è un tecnico della lingua in senso stretto come lo era Nebrija: è un umanista che va
in cerca di una stabilità linguistica.
Condannato il movimento degli alumbrados dal tribunale di Toledo fin dal 1525 (per l’eresia che
vi si era affacciata soprattutto in materia di fede e di peccato), messi sotto processo, fra alt