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Estratto del documento

Dunque, anche prima che venisse dibattuta la causa, è stato facile a capirsi per chiunque di

che causa si sarebbe trattata, della quale chi era stato ispiratore e artefice temeva di diventare

il promotore e soprattutto Sicinio Emiliano, che, se avesse appurato in me una sola particella di

verità, mai di certo avrebbe indugiato ad accusare di tanto grandi capi d'imputazione un uomo

estraneo, lui che screditò il testamento di suo zio per falso, sapendo che era vero, per di più

con tanta ostinazione, che, una volta che Lollio Urbico, uomo chiarissimo, ebbe dichiarato, in

base all'opinione degli ex consoli, che sembrava vero e doveva essere ratificato, egli del tutto

fuori di sé giurò ad alta voce il contrario, che cioè purtuttavia il testamento era stato falsificato,

a tal punto che Lollio Urbico si trattenne a stento dal mandarlo in rovina.

Cap. 3

E io, fidando sia nella tua equità che nella mia innocenza, spero davvero che questa sentenza

emergerà anche in questa causa, per il fatto che consapevolmente egli accusa un innocente

davvero con tanta facilità, perché, come ho detto, fu dimostrato colpevole di menzogna davanti

al prefetto dell'Urbe in un’importantissima causa. E infatti dopo un errore le persone perbene

stanno più in guardia dalla colpa, e così chi è di indole cattiva, la rinnova con più forza e, per

tutto il tempo avvenire, quanto più compie azioni disoneste, tanto più apertamente le compie.

Il pudore, infatti, come un vestito, quanto più è vecchio, tanto più viene custodito con minore

cura. E pertanto ritengo necessario, per l'integrità del mio onore, confutare tutte le maldicenze,

prima di affrontare l'argomento in sé. Infatti sostengo non solo la mia difesa, ma anche quella

della filosofia, la cui grandezza rifiuta sia il minimo biasimo che il crimine più grave, per il quale

poco prima gli avvocati di Emiliano hanno cianciato, con il loro chiacchiericcio prezzolato, molte

falsità architettate contro di me e più generalmente diffuse dalle persone incolte contro i

filosofi.

Cap. 4

Hai udito, dunque, poco prima, che all'inizio dell'accusa si diceva così: "Noi accusiamo al tuo

cospetto un filosofo bello ed eloquentissimo - come se fosse un sacrilegio! - sia in greco che in

latino".

Se, infatti, non m'inganno, è proprio con queste parole che ha iniziato l'accusa contro di me

Tannonio Pudente, uomo davvero - lui! - non eloquentissimo.

E magari mi avesse rivolto accuse di bellezza ed eloquenza secondo verità; senza difficoltà gli

avrei risposto come l'Alessandro di Omero a Ettore ("Non sono davvero da rifiutare i doni illustri

degli dei, / quanti essi gliene diano, un uomo non può sceglierli!").

I gloriosissimi doni degli dei non vanno in nessun modo disprezzati; questi, tuttavia, che sono

soliti essere attribuiti proprio da loro, non toccano in sorte a molte persone che li desiderano

(c'è un commento ai versi appena recitati, come se non tutti nell'uditorio, molto probabilmente

variegato per composizione e per livello culturale e di educazione, fossero stati in grado di

comprendere la citazione omerica). Questo avrei risposto riguardo alla bellezza.

Inoltre: è lecito anche ai filosofi avere un volto distinto; Pitagora, che si proclamò primo filosofo,

era di aspetto più bello tra gli uomini del suo tempo; allo stesso modo, Zenone, filosofo antico

originario di Velia, che per primo confutò ogni argomentazione con un acutissimo ragionamento

autocontraddittorio, anche quel Zenone fu nobilissimo d'aspetto, come dice Platone; allo stesso

modo si tramanda il ricordo dell'aspetto distintissimo di molti filosofi, che ornarono la bellezza

fisica con la nobiltà dei costumi. Ma questa difesa, come ho detto, è ben lungi da me, al quale,

oltre alla mediocrità dell'aspetto fisico, il continuo sforzo della fatica letteraria toglie ogni

attrattiva fisica, sciupa la complessione del corpo, prosciuga la linfa vitale, fa impallidire

l'incarnato, debilita il vigore. La capigliatura stessa, che costoro, con evidente menzogna,

hanno detto che è stata fatta crescere come allettamento dell'eleganza, tu vedi com'è bella e

ricercata, tutta avviluppata con i capelli ispidi, simile a un'imbottitura di stoppa e inegualmente

irta e riccia e aggrovigliata, proprio non sbrogliabile non solo per l'incuria protratta

nell'acconciarla, ma anche per l'incuria nello sbrogliarla e sfoltirla; si confuta sufficientemente il

capo d'accusa dei capelli, che quelli hanno intentato, per così dire, come capo d'accusa

capitale.

Cap. 5

Circa l'eloquenza, in verità, se ne avessi avuta un po', non dovrebbe sembrare un fatto né

straordinario né capace di suscitare invidia, se, fin dalla più tenera giovinezza dedito all'unico

studio letterario con tutte le mie forze, disprezzati tutti gli altri piaceri sino a quest'età, non

saprei dire se io l'abbia ricercata più di tutti gli uomini a costo di fatica sia di giorno che di

notte, a costo della salute e senza badare ad essa.

Ma non temano niente dell'eloquenza, perché se grazie a essa ho già raggiunto qualche

risultato, spero di ottenerne più di quanta non ne possieda già.

Proprio, se è vero quello che dicono abbia scritto nelle sue opere Cecilio Stazio, che l'innocenza

è eloquenza, io in verità lo ammetto a questo patto e mi vanto di non essere inferiore a

nessun'altro in quanto a eloquenza. A questa condizione, infatti, chi c'è al mondo più eloquente

di me? Io dico proprio di essere facondissimo: infatti, ritenni sempre sbagliata ogni colpa; mi

dichiaro inoltre eloquentissimo, poiché non risulta nessuna mia azione né parola, di cui non si

possa discutere in pubblico: per esempio, discuterò dei versi che ho composto, che essi hanno

citato come se dovessi vergognarmene, quando tu ti sei reso conto di come io mi adiravo fra le

risate, poiché essi li pronunciavano in modo stonato e da ignoranti.

Cap. 6

Per prima cosa lessero dai miei componimenti scherzosi una letterina in versi sul dentifricio

scritta a un certo Calpurniano, il quale, esibendo contro di me la sua lettera, non si rese conto,

certo per la bramosia di danneggiare, che nel caso emergesse qualcosa di infamante contro di

me, ciò l'avrei avuto in comune con lui. Infatti, i versi attestano che mi chiese qualcosa per la

pulizia dei denti:

"Calpurniano, ti saluto in versi veloci.

Ti ho mandato, come mi hai chiesto, uno strumento per la pulizia dei denti,

Splendore della bocca fatto dai messi d'Arabia,

Una polverina sottile, sbiancante, nobile,

Capace di sgonfiare la gengivetta gonfia,

Capace di portar via i residui di cibo del giorno prima,

Affinché non si veda qualche macchia di sporco,

Nel caso tu sorrida a labbra dischiuse."

Di grazia, cos'hanno questi versi, per quanto riguarda l'argomento o la lettera, di cui mi debba

vergognare, cosa di tale che un filosofo non debba desiderare sembri suo?

A meno che io non sia da biasimare su questo punto, cioè per il fatto che ho mandato a

Calpurniano una polverina di aromi d'Arabia, che sarebbe stato molto meglio, che si fosse

sfregato i denti e le gengive arrossate con la sua stessa urina, come dice Catullo, alla

rozzissima maniera degli Iberici.

Cap. 7

Io ho visto che poco fa certuni trattenevano a malapena il riso, mentre quell'oratore,

evidentemente, accusava aspramente lo strumento per la pulizia della bocca e pronunciava la

parola "dentifricio" con tanta indignazione, quanta nessuno ne usò mai per pronunciare la

parola "veleno". Perché no? E' un capo d'accusa non disprezzabile per un filosofo non

permettere che ci sia in lui nulla di sporco, non sopportare nulla in nessuna parte del corpo

visibile di sporco e puzzolente, soprattutto nella bocca, il cui uso, sotto gli occhi di tutti, è

frequentissimo per l'uomo, sia che dia un bacio a qualcuno, sia che conversi con qualcuno, sia

che faccia una pubblica disserzione, sia che indirizzi delle preghiere agli dei nel tempio; per il

fatto che la parola precede ogni azione dell'uomo, parola che, come dice il poeta per

eccellenza, "esce dalla chiostra dei denti" (formula comune nell'"Odissea"). Potresti prendere in

considerazione in modo simile qualcuno di magniloquente: direbbe, secondo il suo costume,

che, per prima cosa, più scrupolosamente del resto del corpo deve curare la bocca, che è il

vestibolo dell'anima e la porta del discorso e il luogo d'incontro delle riflessioni. Io, di certo,

secondo la mia capacità, potrei dire che nulla si addice meno a un uomo libero e liberale della

sporcizia della bocca. Infatti, quella parte del corpo dell'uomo è in una posizione alta, esposta

agli sguardi, faconda per l'uso; infatti, le fiere e le mandrie hanno proprio una bocca posta in

basso e rivolta all'ingiù verso le zampe, vicina alle orme e al cibo, mai la si vede se non negli

animali morti o sollecitati al morso; di un uomo, invece, non si vedrebbe niente se prima

tacesse, niente se più spesso parlasse.

Cap. 8

Vorrei, dunque, che il mio censore Emiliano mi rispondesse, se lui stesso sia solito lavarsi i

piedi; o, se non lo nega, potrebbe pretendere che bisogna dedicare una maggiore cura alla

pulizia dei piedi che a quella dei denti. E davvero, se qualcuno, così come fai tu, o Emiliano,

non apre quasi mai la bocca se non per maldicenze e calunnie, ritengo che non debba usare

nessuna cura alla sua bocca, e neppure debba pulire con un'esotica polverina i denti, che

potrebbe più a buon diritto strofinare con del carbone preso da un rogo, e che non debba pulirli

nemmeno con l'acqua comune: che anzi, a lui la lingua, colpevole di menzogne e

sgradevolezze, dovrebbe stare sempre fra sozzure e lezzi.

Cap. 18

Sempre Pudente mi ha rinfacciato anche la povertà, capo d'accusa ben accetto a un filosofo e

che dovrebbe confessare lui di sua spontanea volontà. Infatti, la povertà è da gran tempo

servitrice della filosofia, frugale, sobria, ricca anche con poco, desiderosa di lode, posseduta di

contro alle ricchezze, tranquilla nella sua condizione, semplice nell'aspetto, provvida di buoni

consigli, non gonfiò mai nessuno di superbia, non rovinò mai nessuno con l'incapacità di

controllarsi, non rese crudele nessuno con la tirannia, non vuole né può permettersi le

raffinatezze della gola e della lussuria. Effettivamente, questi e altri flagelli sono di solito nutriti

dalle ricchezze; nel caso tu passassi in rassegna tutte le più grandi scelleratezze a memoria

d'uomo, non troverai i

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A.A. 2016-2017
28 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher aurora.ferraro.af di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura latina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Stucchi Silvia.