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QUELLI CHE NON SANNO DI LETTERE NON AMBISCONO AD ASPIRARE AGLI
ORDINI SACRI
Papa Gelasio I (che regna dal 492 al 496) ordina che: “nessuno che non ha studi letterari
possa diventare sacerdote”. Molti di questi sacerdoti del proletariato urbano pronunciavano
il latino in maniera sbagliata e non capivano nemmeno il testo, talvolta facevano ridere.
Gregorio di Tours racconta di un sacerdote durante una celebrazione liturgica dove molti
cominciarono a prenderlo in giro dicendo: “era meglio che ti stavi zitto anziché parlare in
maniera incolta”.
La Chiesa che non può rinunciare alla sua missione evangelizzatrice, che è in difficoltà
(disordini sociali, chiusura delle scuole), cerca di avere un nuovo sistema, e allestisce un
proprio modello di scuola, e non può fornire un modello di scuola cristiana il clero secolare.
Il clero si divide in regolare e secolare. Il primo vive seguendo una regola che è la regola
del fondatore.
Seculum è il mondo. Il clero secolare è il clero che esercita il suo modello nelle città, nelle
campagne ecc. Il modello di scuola non poteva prendere come modello il clero secolare,
perché troppo ignoranti. Presero quella del clero regolare, i monasteri dove nasce il modello
di scuola cristiana. Perché qualsiasi fosse la regola, di San Benedetto o altri, i monaci si
chiudevano in un monastero per perseguire la perfezione cristiana e diventare dei perfetti
cristiani. Chi entrava in un monastero era tenuto, per essere accettato dalla comunità, a
cambiare i propri costumi (conversio morum). Accanto alla conversio morum si doveva
unire una seconda conversio, una conversione intellettuale: bisognava cambiare anche il
modo di pensare. I riferimenti diventano la sacra scrittura, i vangeli, i padri della chiesa.
4.
Il monachesimo crea il nuovo modello di scuola cristiana. In assenza di una scuola pubblica
ci pensano i monasteri. Uno dei punti di riferimento, una delle colonne del monachesimo è
San Benedetto da Norcia. Di lui sappiamo grazie a Gregorio I Magno nella sua opera
agiografica Dialogi, dove vi è un narratore che racconta della vita e opere dei santi. Dialogi
perché appunto vi è un narratore e una persona con cui parla. Il II libro di quest'opera è
dedicato ad un Santo in particolare, ovvero San Benedetto. Con quest'ultimo siamo in un
momento in cui il monachesimo fa fortuna. Chi sceglie la vita monastica sceglie la
solitudine per compagna, però non è mai solo, perché è con la divinità. Abbiamo in questo
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momento molti monaci eremiti che sono raggiunte da parecchie persone, che sentono
parlare di questi monaci che fanno miracoli, guariscono, e molte di queste persone vogliono
conoscere questi monaci. Siamo in un momento in cui molte persone lasciano le città per
“monacarsi”. La regola principale del monachesimo è la regola di San Benedetto, ora et
labora, prega e lavora. Lavora per nutrirti fisicamente e prega per nutrirti spiritualmente. Si
diventa monaci per nutrirsi spiritualmente, e questo nutrimento lo davano i testi, la sacra
scrittura. E per leggere un testo bisogna conoscere la lingua in cui il testo è scritto. Quindi
occorre una scuola, degli insegnanti e degli alunni.
La scuola benedettina
Per diventare monaci occorre una duplice azione di conversio (morum e intellectus).
Cambiamento dei modi di vivere e di pensare. Nella vita “pubblica” per essere felice
bisognava essere ricchi. Con il cristianesimo si ha un ribaltamento della situazione: per
essere felici devi essere povero, umile.
San Benedetto per Gregorio è il Santo fondamentale. Nella prefazio del II libro descrive la
santità di San Benedetto, che chiese una conversione che portava alla santità laica (il
contrario di voglio una vita spericolata, voglio una vita piena di guai di Vasco Rossi).
Quando San Benedetto decise di monacarsi, decise di disprezzare gli studi letterari, decise di
disprezzare un certo tipo di cultura, non la cultura generale in sé. Per la santità non bisogna
disprezzare gli studi in generale, ma gli studi letterari. Per studi letterari si intendono gli
autori classici come Virgilio, Cicerone, Tacito ecc. Essi costituivano un pericolo per i
cristiani perché erano portatori di della laicità pagana, erano portatori di quel messaggio che
portava all'inferno (ricchezza, fama, potere).
La regola che scrive San Benedetto è la regola che accoglie questi principi. Chi decide di
farsi monaco riceve nel monastero una formazione religiosa. Tutte le attività della giornata
mirano alla formazione religiosa: preghiere, liturgia, il lavoro manuale, la lettura. Ogni
monaco deve leggere in alcuni periodo dell'anno alcune pagine. Deve dedicare alla lettura
alcune ore. Una lettura che può essere comunitaria che solitaria. Se questi futuri monaci
dovevano leggere, dovevano imparare a leggere, e il monastero anche per i monaci
analfabeti.
Presso ogni monastero doveva funzionare una scuola che insegnasse a leggere e a capire un
testo. Ogni monastero è dotato di uno scriptorium che presuppone una biblioteca più o meno
ricca, dove si producono i testi necessari alla comunità. In ogni biblioteca non poteva
mancare la Bibbia, la regola del fondatore, i Padri della Chiesa; sicuramente c'era
l'indispensabile alla vita della comunità.
I monaci apprendevano il latino utilizzando i manuali grammaticali. Il manuale ancora in
uso, era quello più gettonato, ovvero l'Ars minor di Donato. Era l'essenziale per il latino, poi
per approfondire c'era anche l'Ars maior.
La scuola monastica è la scuola in cui si apprende il latino, una lingua che non c'è più: quel
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latino che non si insegnava più nelle scuole adesso si insegna nei monasteri. Lo studio del
latino dei monasteri è sempre lo stesso latino che si studiava nelle scuole ma con delle
finalità diverse.
Chi frequentava il latino a scuola si formava per assumere una funzione pubblica, per
• diventare un buon parlatore, per scrivere in un certo modo; quindi imparava Virgilio,
Cicerone, Seneca ecc.
Il fine della monacazione non era questo. Il latino serviva ai monaci per comunicare
• tra confratelli che vivevano in comunità diverse. Serviva nella vita comunitaria,
serviva nella liturgia, serviva per comunicare con Dio. Senza il latino il monaco non
poteva avere un contatto diretto con il suo monastero. Non poteva conoscere la sacra
scrittura.
Il latino che circola nei monasteri non è certo quello di Virgilio, Cicerone, ma quella della
sacra scrittura, dei Padri della Chiesa, è il SERMO CRISTIANUS, il latino dei cristiani. La
regola di Feriolo (che fu vescovo in provenza) ci fa capire qual è il rapporto che i monaci
intrattengono con la lingua latina. Feriolo scrive: “omnis qui nomen vult monachi vindicare
litteras ei ignorarae non licerat → chiunque vuole attribuire a sé, vuole essere monaco, non
è lecito ignorare le lettere.
I monaci non devono essere persone di cultura, ma devono essere capaci di leggere e
commentare un testo cristiano.
La lingua latina si salvò sopratutto per una politica conservatrice della Chiesa di Roma. Il
monachesimo svolge un ruolo importante per la sopravvivenza per quella cultura che
definiamo “umanesimo cristiano”. Le letterature pagane “seculares litterae” sopravvivono
perché sono al servizio delle “divine litterae” delle letterature cristiane. Nei monasteri, per
le necessità formative esiste un luogo dove si riproducono testi (scriptorium), e questi testi si
trovano nelle biblioteche, un luogo dove vengono conservati. In questi vi si può trovare la
Bibbia, che è divisa in nuovo e antico testamento cui fa spartiacque la nascita di Cristo; vi si
può trovare la regola del fondatore, e altri testi. Per allestire gli stumenti per la formazione e
l'istruzione del monaco era necessario che questi conoscesse il latino che gli permettesse di
leggere questi testi. Ma la formazione del monaco e della sua istruzione non erano
finalizzate a fare del monaco un oratore. Il recupero delle seculares litterae è in funzione
delle divine litterae. In un momento in cui c'è nell'aria il ritorno del paganesimo, nei
monasteri c'è una dannatio memoriae, una condanna alla letteratura pagana, che bisogna
perfino oscurarne il ricordo. Nei monasteri, ai monaci più rozzi e più deboli, che
conoscevano un certo tipo di latino, si tiene lontano ciò che riguarda la letteratura pagana.
Mentre buona parte dei monaci conoscevano alcuni testi, negli stessi monasteri altri monaci
che si erano convertiti non da creduloni, ma da maturi, essi conoscevano un altro tipo di
latino e una serie di autori ai quali avrebbero dovuto rinunciare al momento della conversio.
Questi non abbandonano queste letture perché è memore delle lezioni di Sant'Agostino
vescovo di Ippona. Lui è il più grande dei Padri della Chiesa perché ha saputo congiungere
teoria e prassi; quando si è convertito, la sua è stata una conversione a 360° e la sua
conversione arriva in un momento in cui nella Chiesa era vivo il dibattito tra seculares
litterae e divine litterae. Il cristianesimo da poco aveva avuto ragione del paganesimo con
l'editto di Milano prima, in cui si riconosce la libertà di culto, e nel 380 poi, quando diventa
la religione di stato. Siamo tra il IV e il V secolo, dove il dibattito è ancora vivo: c'era chi
voleva eliminare completamente la letteratura pagana, c'era chi voleva conservarla.
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Sant'Agostino per la sua autorevolezza e il modo espositivo di comunicare la spuntò sulla
tesi della prima, lui voleva conservare la letteratura pagana. Sant'Agostino scrive un'opera
che sarà nel tempo considerata la caratteristica dell'intellettuale cristiano, che è l'esegeta
della sacra scrittura. Chi vuole esercitare al massimo grado il suo sapere, lo deve fare
nell'interpretazione della parola di Dio e commentarla, ovvero capire il senso e comunicarlo
agli altri. Sant'Agostino afferma che l'intellettuale cristiano deve possedere una preparazione
grammaticale, retorica e filosofica. Per capire la sacra scrittura bisogna sapere sia il latino,
sia il greco, e anche l'ebraico, perché i vangeli sono stati scritti in greco e tradotti in latino,
la stessa cosa vale per i testi dell'antico testamento che erano stati scritti in ebraico, e questi
testi sono stati a loro volta tradotti in greco. Tutta questa cultura non deve però apparire nel
momento del commento biblico, la sua cultura deve sempre essere considerata un mezzo
efficace alla comprensione del testo per chi questi mezzi non li possiede. L'intellettuale
cristiano quando scrive, non s