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Negli ultimi due libri, invece, vi è un grande excursus sulla storia romana, in cui viene ovviamente
celebrato Cesare, trasformato dagli dei in costellazione, e Augusto, il quale, il più lontano possibile,
seguirà le orme del padre; è una visione nazionalistica, anche ogni evento storico viene visto in
relazione a Roma, consacrata e protetta da Giove.
Fasti.
Ispirati agli Aitiai di Callimico, sono un’opera di carattere eziologico; sono una specie di calendario,
originariamente dovevano comprendere 12 libri, ma l’esilio a Tomi ne interruppe la scrittura, così
che Ovidio si fermò a 6.
I Fasti erano i calendari composti dai pontefici, sui quali si scandiva la vita pubblica di Roma; lo
scopo del poeta era cantare le feste del popolo romano e le loro origini. Un’opera del genere
richiedeva un lungo lavoro di documentazione, Ovidio dice di aver consultato gli Antichi Annali di
Roma, ma è più probabile che si fosse rivolto agli scritti dei suoi contemporanei.
Strutturalmente parlando, i Fasti presentano il problema opposto delle Metamorfosi, se queste
ultime, infatti, dovevano essere un organismo unitario nel quale inserire episodi in sé già conclusi,
qui invece bisogna inserire in cornici già prestabilite episodi che in realtà sono monotoni e ripetitivi.
Per questo Ovidio cerca di ricorrere a inserzioni di episodi narrativi, di argomento storico e mitico,
soste di carattere eziologico, spiegazioni etimologiche, invocazioni gli dei, apostrofi al lettore,
descrizioni di luoghi e rifermenti di tono celebrativo all’attualità.
Ovidio si riproponeva di diventare cantore dell’anno romano, comprendendo culti, feste, ricorrenze,
leggente e riti. 42
Elegie dell’esilio.
In queste elegie prevale il carattere autobiografico, tutto viene allontano da queste, a carattere
d’epistola, se non la persona del poeta; il tema principale è quello del lamento e dell’infelicità.
I Tristia sono la prima opera composta in seguito all’arrivo a Tomi, in 5 libri, per l maggior parte in
stile epistolare, rivolgendosi alla moglie, agli amici e ad Augusto, confessando angosce, dolori,
speranze, implorando clemenza, perdono, aiuti, confidando nostalgie e stati d’animo.
Oltre a questi elementi, uno dei principali è il continuo raffronto tra Tomi e Roma, lo splendore
della città e lo squallore della campagna; parla molto di sé, con delle inserzioni mitiche.
Nelle Epistulae ex Ponto la prima cosa che afferma il poeta è che se anche non hanno un nome triste
e non suscitano tristezza, in realtà non sono di argomento più felice dell’opera precedente; in 4 libri,
sono la continuazione dei Tristia, con la sola differenza che qui i nomi dei destinatari non viene
taciuto, risulta meno convincenti.
L’Ibis è un poemetto ingiurioso in distici elegiaci scagliandosi contro un personaggio mai
apertamente nominato; il motivo letterario viene di nuovo intessuto di riferimenti letterari. Anche
qui, si rifà a Callimaco, il quale avrebbe scritto anch’egli un poemetto di nome Ibis forse contro
Apollonio Rodio.
Tito Livio.
Vita.
Nacque a Padova nel 59 a.C., probabilmente da una famiglia agiata; da Quintiliano sappiamo che
Asinio Pollione lo criticava per la sua patavinas, ovvero per alcune particolarità linguistiche della
sua prosa, oppure per via del suo spirito moralistico e conservatore tipicamente provinciale.
Si trasferì a Roma probabilmente in seguito alla battaglia di Azio, quando decise di dedicarsi alla
scrittura della storia romana; la sua narrazione è di solito caratterizzata da una visione della storia
morale e poetica, non come il resto degli storici che narravano in modo propagandistico e politico,
forse proprio perché non partecipò mai né alla carriera politica né a quella militare. Morì nel 17 a.C.
Opere.
Il titolo con cui ci è conosciuta l’opera di Livio è Ad Urbe Condita, ovvero dalla fondazione della
città; è un’opera immensa, contante 142 libri; trattava la storia di Roma, dalle origini mitiche,
ovvero il viaggio da Troia e la fondazione di Enea, fino ad arrivare al 9 a.C., la morte di Druso in
Germania, mentre secondo altri fino al 9 d.C., ovvero la battaglia di Teutoburgo. Verosimilmente
l’opera di Livio sarebbe dovuta arrivare a 150 libri, fino alla morte di Augusto nel 14 d.C.
Dei vari libri di Livio ce ne sono pervenuti pochi, di quelli persi abbiamo pochi frammenti, ma
almeno dei sommari, abbastanza sbrigativi, che riassumevano il contenuto dei libri.
Lo schema liviano è quello annalistico, si parlava anno per anno degli avvenimenti, iniziando dai
nomi dei consoli e dei pretori; seguivano i possibili encomi, i giochi, i dibattiti di politica interna e
la situazione delle province, delle imprese militari. La rigidezza dello schema obbligava a
sospendere ogni volta la narrazione di ampi episodi che poi venivano ripresi con l’anno successivo.
Vi era comunque una grande omogeneità nell’opera, infatti il I libro corrispondeva all’intera età
regia, la prima pentade si chiudeva sul saccheggio gallico del 390, l prima decade con il ciclo delle
guerre sannitiche, la quarta pentade era dedicata alla prima guerra punica, la terza decade alla
seconda guerra punica, i libri dal XXXI al XLV alla guerra d’oriente. Mentre Livio si avvicinava
alla sua epoca, dunque, la narrazione si dilatava, tanto che lui stesso scrisse che gli ultimi 63 anni da
soli avevano occupato lo stesso spazio dei 488 anni precedenti. 43
Come molti altri storici, anche Livio inizia la sua narrazione con un proemio, specificando le
motivazioni per cui ha deciso di intraprendere un percorso così vasto, le sue finalità e la scelta
stilistica; emerge quindi fin da subito il carattere morale dell’opera, teso alla celebrazione del
popolo romano, il quale non ha avuto eguali nella bontà degli uomini e dei costumi, basati sui
principi della paupertas e della parsimonia; elemento che in realtà va in contrasto con altre
attestazioni della corruzione romana.
Per Cicerone la storia era protezione del tempo, aiuto della memoria, e lo storico aveva il compito
di selezionare gli accadimenti, senza alterarne la veridicità, con il compito di insegnare alla
popolazione; per Livio il compito dello storico non era differente, aveva in primis scopi pedagogici,
rivolgendosi alla popolazione con la richiesta di instaurare di nuovo gli antichi mores delle romanità
arcaica.
Sempre nel proemio egli tratta anche la problematica delle fonti, dal momento che la maggior parte
di esse derivano dalla fantasia dei poeti e hanno carattere mitico; ma Livio dice anche di non
accettare né respingere queste fonti, dal momento che per un popolo è giusto santificare le proprie
origini. Per il resto, comunque, egli preferisce utilizzare materiale già trattato da altri annalisti
romani, senza ricerca di archivio, andando a privilegiare in particolar modo Polibio; davanti a
contraddizioni palesi, invece, scegli la versione più artistica, che gli permetta approfondimenti di
stampo drammatico e psicologico.
Il carattere dell’opera è celebrativo e nazionalistico, si cerca di sottolineare la grandezza di Roma e
dei suoi uomini, criticando però i tempi recenti, volgendo il proprio sguardo verso la purezza
dell’antichità.
Come excursus nel libro IX fa una lunga analisi in relazione a cosa sarebbe successo se Alessandro,
invece di morire giovane, avrebbe volto il proprio sguardo verso l’occidente, muovendo verso
Roma; nell’ottica di Livio Roma sarebbe rimasta in piedi, perché non si basava solo su un unico
uomo, ma su più, simili, se non più grandi, allo stesso Alessandro. In fatti, anche se egli si distanzia
dai miti, sembra credervi fermamente, almeno nelle profezie di grandezza della città.
La prima età imperiale.
Manilio.
Vita.
Non si sa praticamente niente della vita di Manilio, anche il nome sembra incerto, tramandato come
Manilius o Manlio.
Opere.
L’opera di Manilio riuscì a sopravvivere solo in ambito specialistico, riscoperta poi durante il
Rinascimento; gli Astronomica sono un poema didascalico dedicato a Caesar, che potrebbe essere
sia Ottaviano Augusto che Tiberio.
Il primo libro trattava di argomenti astronomici dell’origine dell’universo e degli astri, mentre gli
altri quattro illustrano la dottrina astrologica; è possibile che un sesto libro parlasse dei pianeti.
Nel proemio si indica come primo scrittore del genere, utilizzando i versi per descrivere l’universo,
e consegnando quest’immagine al lettore; si mostra come un poeta dotto, avendo letto la maggior
parte degli autori contemporanei, rifacendosi a Lucrezio per la struttura dei libri, ma andando contro
la sua concezione epicurea della vita, preferendo quella stoica.
La materia viene ripresa principalmente dalle elaborazioni greche, egizie e caldee, contornando la
vera parte didascalica di elementi mitici, appelli al lettore, commenti filosofici e accenni storici; il
tema dei libri è, in realtà, religioso, dal momento che si sviluppano le forme della teologia stoica
dell’epoca, additando la profondità dell’unità dell’universo. 44
Fedro.
Vita.
Le notizie inerenti alla vita dello scrittore provengono principalmente dalle sue favole, nella parte
del proemio o dell’epilogo; nacque in Macedonia presumibilmente intorno al 20 a.C., giunse a
Roma come schiavo e in seguito venne liberato dallo stesso Augusto, probabilmente visse
insegnando e morì intorno al 50 d.C.
Opere.
Compose cinque libri di Fabulae in versi, in cui sono disposte 93 narrazioni; a tutti i libri precede un
proemio, e i libri II, III e IV hanno anche un epilogo. Alcune favole ci sono pervenute grazie
all’Appendix Perottina, dal nome di Perotti che le raccolse, e di altre non tradite abbiamo
attestazioni di origine medievale che riportano gli originali in prosa, tra cui il più importante è il
Romulus.
Nel mondo greco il genere delle favole venne trattato superficialmente da Esiodo e da Archiloco e
seriamente da Esopo; nella letteratura latina entrano grazie la satura, probabilmente per via
dell’ampiezza del genere, ma in modo episodico, in autori come Ennio, Lucilio e Orazio. A Esopo si
rifà Fedro, che fu il primo a organizzare un’intera opera sulle favole, e quindi è l’invetor del genere;
sia quelle greche che quelle romane hanno ovviamente degli elementi in comune, si parla di animali
antropologizzati, che dialogano tra loro, che hanno lo scopo di comunicare una morale, prendendo
vizi e virtù dagli uomini; hanno uno schema fisso, ogni animale rappresenta sempre gli stessi valori,
quindi la volte è furba, il lupo ingordo e malvagio, il leone forte e prepotente; non mancano,
comunque, favole con uomini come protagoni