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GIULIANO LADOLFI
Giuliano Ladolfi nasce a Novara nel 1949 e insieme ad Andrea Temporelli dirige la rivista
trimestrale piemontese "Atelier”. La sua poesia presenta toni ruvidi e antilirici, si presenta
apparentemente come semplice ma in realtà si tratta più spesso di una poesia potenzialmente
oscura e ambigua in quanto caratterizzata dal continuo scarto tra un ricordo, un episodio o uno
scambio dialogico e una riflessione sospesa, priva di organicità. Il suo primo libro è la raccolta
Paura di volare. I ragazzi dell’Ottantacinque (1988), seguita da Il diario di Didone (1994) e
L’enigma dello specchio (1996). A distanza di otto anni, nel 2004, pubblica la sua quarta raccolta,
Attestato, nella quale è centrale la nozione di una parola poetica che, partita da un percorso
razionale, termina inevitabilmente nel caos, nel disordine, e nella constatazione della solitudine
dell'esistenza esistenziale e del senso inesplicabile della realtà. Mentre però in Montale il vuoto
dell'esistenza rappresenta il principio da cui parte la sofferenza dell'uomo e la dimostrazione di
come non ci si possa riscattare da questa condizione, in Ladolfi la parola poetica diventa indice di
una presenza, alla stregua di un enunciato negativo che contiene implicitamente dentro di sé la
possibilità di ricavare un enunciato assertivo. L'asserzione, in definitiva, rappresenta proprio
l'approdo, il termine ultimo della lingua e poetica di Ladolfi.
DAVIDE RONDONI 21
Tra i nati negli anni 60 Davide Rondoni, nato a Forlì nel 1964, è l'autore che gode oggi di maggior
richiama agli stilemi dell’ermetismo “puro” e in
fama e credito. La sua poesia si particolare alla
poesia di Mario Luzi, come risulta evidente nella sua raccolta principale, Il bar del tempo e negli
altri primi libri che seguiranno. Il bar del tempo viene pubblicato nel 1999 e chiude idealmente la
prima stagione letteraria del poeta, formata da quattro brevi raccolte: La frontiera delle ginestre
(1985), O les Invalides (1988), A rialzare i capi pioventi (1991) e Nel tempo delle cose cieche
(1994). Rondoni ripropone alcune liriche di queste raccolte, selezionandole e risistemandole
accanto a componenti del tutto nuovi, in alcuni casi perfino riscrivendole secondo una prospettiva
stilistica più matura. Questa scelta dell'autore da un lato è derivata dal desiderio di
perfezionamento di un autore giovane, dall’altro, invece, è determinata da una attitudine in un certo
senso "filosofica" di Rondoni riguardo la storia individuale e il significato da attribuire da essa.
Proprio in questo secondo aspetto si può ravvisare il legame più stretto con l’ermetismo, ma al
tempo stesso anche un distacco da esso. Infatti mentre in Luzi e negli altri ermetici l'esistenza del
proprio sé e la riqualificazione del proprio tempo venivano ricostruiti attraverso un processo che
mostrava sempre i passaggi precedenti, per cui il poeta era inteso come un eterno principiante che
imparava direttamente dalla propria memoria, nel caso di Rondoni, invece, l’attenzione non è tanto
al passato che sussiste e che motiva il suo essere poeta, ma ricade soprattutto sulla sua scelta di
soltanto i “pezzi” più importanti,
rievocare le sue opere che ritiene indispensabili per determinare il
suo compito poetico.
Nelle sue poesie Rondoni si fa promotore di un messaggio di amore e solidarietà che
rappresentano, a suo giudizio, le uniche forze in grado di redimere l'uomo dalle proprie sofferenze
e colpe metastoriche. Per questo motivo Rondoni, alla collettività sociale, preferisce lo spazio
privato della sua famiglia vista come rifugio e antidoto alla vacuità del presente. Proprio nelle
poesie dedicate ai figli e alla madre malata, oltre a una serie di liriche scritte per la nascita della
figlia di un’amica e raccolte in Cuore di mattina (2003), la poesia di Rondoni raggiunge uno dei
punti più alti, attraverso la presentazione di un "realismo cristiano", dove la semplicità
e la tensione verso il sentimento si rapportano all’amore che il Padre eterno e
dell'espressione
universale nutre verso l’uomo. Questo tema religioso viene ulteriormente sviluppato in uno dei suoi
ultimi libri, Compianto, vita (2004) che si presenta come un monologo pronunciato davanti al
gruppo scultoreo in terracotta dell'artista Niccolò dell'Arca, custodito nella chiesa di Santa Maria
della Vita, a Bologna. In quest’opera si ritrovano, tra l'altro, le maggiori influenze di Mario Luzi, sia
sul piano stilistico che tematico: infatti è presente in Rondoni la stessa inquietudine religiosa che
pervade una delle più alte liriche di Luzi, La passione, scritta in occasione del venerdì santo del
1999. Questi due testi, inoltre, non hanno in comune soltanto il tema religioso della Via crucis, ma
anche un tono particolare, allo stesso tempo meditativo e colloquiale. 22
–
PARTE III LO SPERIMENTALISMO
– L’EMPIRISMO DI PIER PAOLO PASOLINI
CAP. 6
1. Dal mito friulano ai viaggi nel Sud
Nella seconda metà degli anni 50 si assiste, in ambito letterario, alla elaborazione e allo sviluppo di
nuove forme artistiche che si possono far convergere tutte nella definizione di "sperimentalismo".
All'interno di questo quadro va collocata anche l'attività intellettuale che ruota attorno alla rivista più
importante di questo decennio, “Officina”, fondata a Bologna nel 1955 su iniziativa di Pierpaolo
Pasolini, Roberto Roversi e Francesco Leonetti che, insieme ad altri collaboratori di spicco come
Paolo Volponi e Franco Fortini, prenderanno le distanze sia dalla tradizione dell'ermetismo e della
poesia pura, che aveva caratterizzato il periodo fra le due guerre, sia dal neorealismo dominante
nel dopoguerra. Della prima viene criticata la chiusura nell'interiorità e nell'assolutizzazione della
da cui derivano l’elusività e la passività nei confronti del reale storico, del secondo viene
parola,
invece respinto il fondo lirico-religioso e profetico, che permane al di sotto dei contenuti
apparentemente nuovi. All'elusività si contrappone un rigoroso impegno conoscitivo verso il reale,
ma senza fare riferimento a parametri ideologici rigidamente prefissati. Alla rigidezza dei codici
letterari e linguistici si contrappone invece uno "sperimentalismo", cioè un'innovazione
estremamente aperta, che recuperi anche elementi pre-novecenteschi. Lo sperimentalismo di
"Officina" non implica quindi una rottura radicale con la tradizione letteraria.
Nel gruppo la personalità dominante è sicuramente quella di Pier Paolo Pasolini, nato Bologna
nel 1922 e morto nel 75. Pasolini si iscrive, peraltro giovanissimo, a soli diciassette anni, alla
Facoltà di Lettere dell'Università di Bologna dove si laurea nel 1945 con una tesi sulla poesia di
Pascoli; proprio quest'ultimo sarà il primo ad influenzare lo stile di Pasolini il quale si orienterà poi
verso uno sperimentalismo, o meglio empirismo, che mira ad analizzare a fondo i drammi
contemporanei e i rapporti tra la cultura e la società, fino a svelare lo stretto legame tra la sfera
intima e privata dell'intellettuale e la dimensione politica. Pasolini osserva la cultura e la società
italiana, focalizzandosi in particolare sulla trasformazione che si è avuta sul piano socio-
antropologico, passando da una cultura contadina pura e incontaminata a una cultura
metropolitana corrotta e alienata. Negli anni fra il 42 e il 49 visse nel paese della madre, Casersa
nel Friuli, e il contatto con l'arcaico mondo contadino costituì un momento essenziale della sua
esperienza, come risulta evidente nelle sue prime poesie scritte proprio in dialetto friulano, raccolte
inizialmente in Poesie a Casarsa (1942) e successivamente nel libro La meglio gioventù (1954),
dove appunto emerge la spensieratezza e serenità tipica del mondo contadino, che ai suoi occhi
appare mitico e incontaminato. Il poeta vede infatti l'arcaico Friuli contadino come un mondo
primigenio, incontaminato, innocente, una sorta di stato di natura, Nella sua contemplazione lo
trasforma in un eden mitico, identificandolo con la sua stessa giovinezza. Il dialetto invece viene
usato come lingua vergine e intatta, l'unica che può rendere l'innocenza primordiale di quel mondo.
L’usignolo della Chiesa Cattolica,
Nel 58 pubblica, in ritardo, la sua prima raccolta in lingua, dove è
ancora presente il sentimento lirico verso il mondo contadino ancestrale e bucolico. All'interno di
questa sua prima produzione, una delle figure dominanti che rappresenta se stesso è Narciso.
Pasolini infatti è consapevole del fatto che questa sua pulsione a spingere verso un mondo chiuso
un processo narcisistico in cui il poeta, e l’uomo in generale, non
e puro rappresenta un tentativo,
fa altro che amare se stesso.
Il Pasolini arcaico di questa prima produzione scompare però bruscamente quando, nel 1950, il
poeta ha necessità di trasferirsi con la madre a Roma. Si tratta di un evento importante,
traumatico. Arriva infatti a Roma avendo alle spalle il mondo della campagna contadina e con la
sensazione di aver fatto l’errore in passato di assecondare una realtà lontana, pastorale e chiusa.
23
A Roma conoscerà l'aria suburbana delle borgate romane, dove vive davvero il popolo. Si
immerge in questa nuova realtà e sceglie di farsi interprete della voce del popolo. Da questo
momento il suo dialetto sarà quello romanesco che però non userà nella poesia (salvo nel 75
quando recupera l'opera giovanile La meglio gioventù, riscrivendola pubblicando un libro doppio,
La nuova gioventù, che mantiene insieme la prima e la seconda stesura). A questo periodo
corrispondono le due raccolte, Le ceneri di Gramsci e La religione del mio tempo, pubblicate nel 57
e 61, dove si registra il distacco dalle forme dell'ermetismo e la sperimentazione di nuovi moduli
espressivi: in questo libro Pasolini si fa infatti promotore di una poesia civile che, di fronte alla
scomparsa del mondo arcaico, deve occuparsi della denuncia nei confronti delle violenze della
subcultura urbana, attraverso l'utilizzo di un tipo di scrittura provocatoria. Nella sua attività
intellettuale Pasolini si occupa anche di saggistica, riflettendo criticamente su tematiche
antropologico-sociali, come quella relativa alla storia e cultura del meridione. Nella sua
Introduzione ad una antologia sulla poesia dialettale del novecento, che sarà poi inclusa nel saggio
Passione e ideologia (1960), Pasolini ricava infatti la prima immagine del sud dalla sua letteratura
e dai rapporti che quest'ultima intrattiene, in dialetto e in lingua, con la letteratura