vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Bianciardi e molti temi critici e polemici dei suoi precedenti scritti:
Grosseto e Milano, la moglie e il nuovo amore, Ribolla e la
“missione” contro la Montecatini, la casa editrice, il lavoro
traduttorio, lo scontro con una città incomprensibile e chiuda, dove
l’intellettuale è funzionale all’apparato produttivo e commerciale, la
lotta politica scade nel burocratismo e nel compromesso, dove
domina la logica del denaro e del consumo, del potere e del
successo. Si può addirittura dire che vi sia, in tutta l’attività di
Bianciardi, una continuità narrativa e satirica di fondo.
Un primo livello di lettura è quello dell’autobiografismo e della
denuncia del miracolo.
Un secondo livello di lettura coincide con il disvelamento
ironico di una condizione umana e lavorativa ridotta a mera
“funzione”: la dignità e l’esistenza stessa di un uomo si esauriscono
nella sua produttività (e chiunque venga licenziato diventa perciò
emarginato).
Dopo il licenziamento, il protagonista spesso vive questa condizione
di emarginato, di appestato; sceglie allora il lavoro “indipendente”
di traduttore, ma è proprio qui che la perdita di una identità
personale e intellettuale diventa completa: il traduttore diventa una
passiva macchina per tradurre, deve rispettare le scadenze ed
essere fedele al testo; la vita del protagonista è come se passasse
in secondo piano, costantemente scandita dalla sua attività, dal
numero di cartelle che deve produrre ogni giorno, dai temi dei libri
che affronta.
La riduzione del lavoro umano a funzione ha anche una sua
emblematica incarnazione nella figura femminile della segretaria
d’azienda, motivo già anticipato negli scritti precedenti: una
creatura asessuata e mascolina, che cerca di riscattare la
tradizionale visione della figura femminile come esclusa dalla logica
maschile della produttività e del potere facendo diventare anche il
lavoro più umile e subalterno importante.
L’insensatezza organizzata
Un terzo possibile livello di lettura è quello che vede nella
Vita Agra un processo di liberazione (che culmina, come vedremo,
nell’autonegazione, nell’immagine di morte che conclude il
romanzo) della vita dell’autore, diventata invivibile, che procede
parallelo ad un trattamento di vari pezzi della sua materia
autobiografica in modo differenziato, in accordo alla natura
irregolare di Bianciardi: dall’ironia e il sarcasmo all’iperbole e il
grottesco, fino alla cupezza e alla disperazione.
-Il tutto accade in una sperimentazione imprevedibile: tra dialogo e
monologo, linguaggio alto e basso, neologismi, citazionismi.
-Bianciardi deve innanzitutto liberarsi della tragedia di Ribolla: ecco
dunque il racconto dolente della vicenda della miniera, segnato da
un’ironia sottile e amara.
-Nello stesso modo sono trattati i legami che egli lascia in provincia,
per esempio esercita sul personaggio della moglie una cattiveria
irridente e amara, e perciò, appunto, liberatoria. In questi punti la
narrazione cede però talvolta in una trasposizione troppo diretta
delle vicende vissute, tra sensi di colpa e giustificazioni, quasi che
la materia autobiografica qui opponga resistenza a quel processo
liberatorio.
-Si libera dell’inutilità della lotta politica raccontando la scelta del
protagonista di lasciare la provincia per “far saltare in aria il
torracchione” della ditta colpevole della tragedia della miniera, la
sua “missione”.
-Allo stesso processo viene poi sottoposto l’impegno politico degli
altri personaggi, anch’esso vittima dell’ironia dell’autore (come la
partecipazione insieme ad anna alle manifestazioni di piazza, che
per lui diventa solo occasione di orgoglio nello sfilare davanti alla
gente con una bella ragazza come lei).
-Infine il processo di liberazione, rifiuto, allontanamento, si fa più
intenso nei confronti della grande città: ecco la dissertazione dotta
e divertita sull’etimologia di Brera; oppure la denuncia, attraverso il
grottesco, la deformazione, l’iperbole, dell’ “insensatezza
organizzata” che caratterizza la città di Milano, una insensatezza
che porta i suoi ritmi frenetici nelle abitudini più elementari e
quotidiane (l’ossessione del mangiare e lavare i piatti velocemente
per darsi il turno con i coinquilini, ecc.), o nell’immagine di un
terziario vacuo e improduttivo (che trova espressione nella ripresa
sarcastica della figura del “produttore” di macchine da scrivere);
eppure nemmeno il settore produttivo, quello degli operai, è
risparmiato da questa insensatezza, operai che scavano e
riempiono buche senza un motivo apparente.
Una città infernale
-In questo terzo livello di lettura, dunque, la grande città assume
quasi dei tratti infernali, un mondo disumano, dominato
dall’ossessione della produttività, del consumo e del potere.
-Una città che opprime e soffoca: l’espressione più immediata di
questo carattere risiede nella nebbia, ma una nebbia innaturale,
prodotto del movimento insensato e incessante della produzione,
del consumo, del terziario: una “fumigazione rabbiosa, una
flatulenza di uomini, di motori, di camini”.
-Gli orrori della grande città sono enfatizzati sin dall’inizio con una
rassegna di piccoli mostri: i bibliotecari dalle mani mutilate, i
frequentatori della biblioteca (la ragazza paraplegica, un infermo,
un vecchio dagli occhi sbarrati); al bar un gobbetto che mostra i
denti “allungati dalla piorrea”.
In questa galleria di piccoli mostri trova posto, naturalmente, anche
la segretaria e le sue sottospecie: la dattilografetta, la segretarietta,
le cassiere, tutte dipinte come “smunte”, “secche”, dall’aspetto
logorato per il lavoro e lo stress.
Le persone sono spesso tratteggiate come larve; per strada non
vedi le persone, ma soltanto la loro immagine, il loro spettro, il loro
guscio, estrema conseguenza della trasformazione del lavoro in
funzione, con la conseguente perdita di identità individuale.
-Lo stesso rapporto sessuale nella società moderna descritta da
Bianciardi viene ridotto ad atto ripetitivo e meccanico: da qui la sua
predicazione di una grandiosa utopia, quella della pratica libera e
diffusa del sesso, che vanifichi ogni spinta alla produzione e al
consumo segnando la fine della civiltà moderna in entrambe le sue
versioni di neocapitalismo e socialismo.
Questo progetto utopico a sfondo “disattivistico e copulatorio”,
diventa la negazione della vita invivibile che coincide in modo
inevitabile con la civiltà moderna.
A conclusione di questo processo, la resa finale alla logica
produttivistica e alienante del mondo che odia: con la scelta della
professione indipendente del traduttore, la sconfitta si concretizza.
-A questo punto, l’unica liberazione possibile per il protagonista è in
una definitiva autonegazione, che trova una significativa
manifestazione quotidiana nel sonno.
Ma il sonno appare strettamente connotato da un’accentuazione
mortuaria, ed ecco che emerge un leitmotiv di tutto il romanzo (che
compare già con la serie di morti e suicidi subito dimenticati nel
cuore della grande città).
Dal momento che la vera “agonia” della vita per il protagonista è
far fronte ai “tafanatori”, padroni di casa, datori di lavoro, agenti
delle tasse, ecc., dal momento che la lotta costante del
protagonista non è contro la morte ma contro la vita, allor ala morte
è la fine di tutto, finalmente l’occasione per distendersi, riposare e
sorridere ironico, come lui stesso si immagina una volta defunto.
La conclusione ideale del romanzo, allora, sta proprio in
questa rappresentazione tragica e grottesca della morte: la
morte sorridente e irridente di chi finalmente si è
sbarazzato di tutto.
Personaggio di successo
-Lo straordinario successo dei suoi romanzi (in particolare della Vita
Agra, che l’autore non aveva assolutamente previsto) e delle sue
pubblicazioni, fanno di Bianciardi uno scrittore affermato, e questo
acuisce quella sorta di condizione conflittuale e contraddittoria
insita nella sua natura: di fronte alle prospettive che gli si aprono,
alle offerte che riceve, egli non sa scegliere se diventare un
protagonista attivo, critico, trasgressivo dentro al mercato delle
lettere e della comunicazione, oppure mantenere un
comportamento di coerente e polemica marginalità.
Bianciardi, proprio in questa sua incapacità di scegliere (che
è una sua prerogativa, tanto nella vita privata quanto nella
pubblica), rappresenterà un caso diverso e singolare: vive
un’ambigua oscillazione tra il ruolo di personaggio pubblico che gli
viene assegnato e che accetta passivamente, e la sofferenza
interiore che questo gli provoca, sofferenza dovuta al senso di colpa
avvertito per la tentazione, il naturale impulso che sente a godere
di questo successo.
-In questo contesto si colloca il rifiuto di collaborazione con
il “Corriere della sera”, rifiuto che ad un primo momento è stato
collegato ancora al mito di “Luciano l’anarchico”, che non trova
giusto sfruttare il successo della rabbia contro la Montecatini e la
borghesia milanese, che caratterizza la Vita Agra, proprio
scrivendo sul giornale “di tutte le montecatini e di tutti i ceti
conservatori”.
In realtà anche in questo caso la vicenda è più complessa: il fatto
che egli accetti di incontrare Montanelli e ci pensi su due giorni
prima di rifiutare, ci fa capire che il rifiuto di Bianciardi deriva da
una riflessione preventiva e calcolata sulle incompatibilità di fondo
con il giornale (sarebbe andato incontro a conflitti e obbligate
autocensure), piuttosto che a uno scatto di sdegno e indipendenza.
Professione: giornalista
-Nel percorso giornalistico, che segna una discesa dall’Avanti! e dal
Giorno a Kent, Executive e Playmen, periodici dall’erotismo
patinato, si manifesta una progressiva stanchezza, disimpegno,
rinuncia e degradazione nella sua professione.
-Negli stessi anni sessanta e settanta escono una serie di racconti
erotici, ma essi sono ripetitivi, non vanno oltre un consumato
mestiere e non sono altro che lunghe variazioni satiriche sull’utopia
di liberazione sessuale contrapposta all’attivismo frenetico del
lavoro, dell’angoscia, della nevrosi, ecc.
-Contemporaneamente escono una serie di opere risorgimentali, tra
cui un posto a sé meritano “Battaglia soda” e “Aprire il fuoco”,