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IL ROMANZO STORICO E NEOSTORICO
Il romanzo storico risorge negli anni ‘50 grazie a “Il gattopardo” di Giuseppe Tomasi da Lampedusa.
Dal suo risorgimento si parlerà non più di romanzo storico ma ‘neostorico’, ovvero di un nuovo
modo di scrittura di questo genere.
• La definizione del romanzo storico ottocentesco è quella di Manzoni: “il romanzo storico
ottocentesco è un componimento misto di storia e invenzione”. Esso è dotato di lontananza
temporale dal momento del componimento, documentazione come attestazione di verità storica,
verosimiglianza (elemento che consente l’integrazione della verità storica e dell’elemento
finzionale), narratore eterodiegetico onnisciente, vero (storico, morale, religioso, politico)-
interessante (storia avvincente)- utile(scopo educativo/politico). Con questo genere si può capire
meglio un’epoca, rispetto ad un saggio storico, poiché caratterizzato da una parte storica e da
una parte finzionale. I personaggi, pur essendo finzionali, rispecchiano personaggi reali del tempo
narrato. Il romanzo storico, al contrario dei saggi storici che trattano di persone influenti, tratta di
persone comuni, le vittime della storia. Pone così al centro del racconto gli umili, i popolani. In
questo modo si dice ciò che non viene detto dagli storici, si vede un’altra faccia della medaglia
che fino ad allora era rimasta nascosta. Questa definizione sarà valida fino al 1850. Nel 1845
Manzoni stesso suona le campane a morto del genere romanzi storico poiché considerato da lui
un romanzo diventato impraticabile e da un punto di vista formativo dannoso, poiché si sarebbe
diretto inevitabilmente verso il finzionale, tralasciando lo storico.
• Questo modello entra in crisi nella metà dell’Ottocento. Gli elementi più evidenti della
trasformazione del romanzo storico sono: il progressivo avvicinarsi alla contemporaneità
(riduzione della distanza temporale) che fa si che diventi un romanzo di costume e non più storico
(“I Vicerè” di Federico de Roberto), uso della focalizzazione interna e della memoria (“Le
confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo), multifocalità, fallimento generazionale e senso di
delusione storica (“I vecchi e i giovani” di Luigi Pirandello), tematizzazione del Risorgimento
‘tradito’ (in Sicilia). Vittorio Spinazzola ha classificato questi tre testi come “antistorici”. La storia
non è in progresso, si ha un immobilismo storico del passato. È un’immagine antimanzoniana,
quella del romanzo antistorico. La situazione politica e storica di appartenenza di questi testi è
fondamentale per capire il motivo di questa scelta antistorica. Essi, infatti, appartengono ad
autori siciliani che parlano della Sicilia post-rinascimentale. Dopo questi testi non si parla più di
romanzo storico, restando un genere dimenticato fino al 1958 con l’uscita de “Il gattopardo”. Nel
1947 esce una biografia romanzata che riecheggia un po’ del romanzo storico: “Artemisia” di
Anna Banti. Dal 1958 sia apre una nuova disponibilità degli autori nei confronti del genere. Ci
romanzo neostorico della modernità romanzo neostorico della
sono due fasi: il (1958-1980) e il
postmodernità Il nome della rosa
(1980-). Il romanzo spartiacque delle due fasi è di Umberto Eco.
Il romanzo neostorico tra gli anni ‘60 e ‘70 è considerato epistemologico perché recupera in parte il
modello ottocentesco, mettendo in discussione i fondamenti della storia. Lo storiografismo è una
fonte, ma non l’unica fonte. Importante è l’utilizzo che si fa di quei documenti. Si ha un aspetto
critico dei documenti.
Il gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa 1958
Questo testo mette in discussione uno dei principi costruttivi sostanziali del romanzo storico
ottocentesco. Il tempo viene trattato in modo diverso, c’è una strutturazione anomala che ha una
ricaduta di senso. Questo testo è diviso in otto parti e la loro caratteristica di è la distribuzione
cronologica non lineare.
• Le prime sei parti raccontano in maniera distesa gli eventi di due anni (tra il 1860 e il 1862).
Protagonista è il gattopardo, principe dei Salina, chiamato così perché nello stemma c’è un
gattopardo. Gran parte della storia parla della famiglia, del fidanzamento di Tancredi e dello
sfondo storico.
• La parte settima inizia con una nota temporale (ellissi) di quasi vent’anni nel luglio 1883 che
racconta la morte del principe di Salina. Di solito un romanzo con la morte del protagonista
finisce, questo no. È un romanzo che ha una forte componente autobiografica poiché parla del
gattopardo e della sua vita.
• La parte ottava riporta una data: maggio 1910. La linearità temporale è disarticolata e le varie
parti affrontano momenti frammentari della storia in cui c’è un filo conduttore di fondo (storia della
famiglia e il fidanzamento di Tancredi). L’ultimo capitolo è dedicato alla fine della famiglia
aristocratica dei Salina. È un percorso di decadenza e di morte che termina non alla morte del
principe, ma vent’anni dopo. In questo capitolo la cappella della famiglia Salina è imbottita di
reliquie. Una bolla papale richiede una revisione delle reliquie, per vedere quelle che possono
essere considerate storicamente plausibili. La cappella della famiglia Salina è sottoposta a questo
controllo. Un sacerdote elimina gran parte delle reliquie lasciandone poche. Questo fatto ha un
valore simbolico: la distruzione delle reliquie equivale al depotenziamento dell’autorità familiare
dei Salina. È un impoverimento dal punto di vista religioso ed etico del patrimonio della famiglia.
In questo capitolo, poi, si viene a sapere che le ultime superstiti della famiglia sono le figlie di
Fabrizio, Carolina, Caterina e Concetta, e la moglie di Tancredi, Angelica. Le tre sorelle Salina non
si sono sposate e sono segno della fine della discendenza di Don Fabrizio. Tra Concetta ed
Angelica non corre buon sangue poiché la prima era innamorata di Tancredi, suo cugino. Angelica
va a visitare Concetta e porta con se un commilitone di Tancredi. Egli disse che Tancredi aveva
sempre parlato bene di Concetta e che il motivo per il quale lei gli aveva tolto il saluto, era solo
una bravata. Concetta si rende conto che quel fatto ha cambiato la sua esistenza. Ciò provoca in
lei un immediato rifiuto del suo passato. Ne risulta un furor iconoclastico che inizia buttando il
baule con il corredo dalla finestra e culmina con “la defenestrazione” del persistente simbolo di
casa Salina: un cane impagliato, Bendicò, il cane preferito di don Fabrizio. Nel 1910 sono passati
45 anni dalla morte del cane. Concetta si accanisce su quella reliquia, simbolo del padre e della
casa e lo butta dalla finestra come tutto il resto. Il simbolo della defenestrazione di Bendicò indica
la fine definitiva della famiglia dei Salina e della classe aristocratica. Tancredi porta con se un
titolo nobiliare privo di sostanza, mentre Angelica è una borghese, figlia di un commerciante che
aveva fatto fortuna, e porta in dote a Tancredi un patrimonio consistente. In questo ultimo
capitolo si capisce la particolarità della scrittura di Lampedusa. Essa è piena di un’ironia amara.
Nel ritratto di don Fabrizio, presentato all’inizio del testo, sono presenti gli indizi del romanzo non
più storico ma esistenziale. Il ritratto di don Fabrizio è anche quello della società siciliana.
La scelta dell’autore di focalizzare l’ultimo capitolo sul tema delle reliquie è simbolo di decadenza. È
un romanzo antistorico perché il passato è visto come qualcosa di morto, di finito, come una
reliquia mummificata.
Il meccanismo narrativo dell’ibridazione tra storia e finzione è portato avanti in maniera diversa
rispetto a Manzoni che dedicava ampie zone del racconto a parti storiche. Ne “Il gattopardo”
rimane sullo sfondo e si concentra sui fatti familiari dei Salina. Questo però non elimina il fatto di
una visione storica che si appunta sulla questione del Risorgimento in Sicilia e trasmette la visione
del fallimento totale della rivoluzione risorgimentale.
Noi credevamo, Anna Banti 1967
Questo romanzo si colloca nei romanzi storici post-unitari che studiano il problema degli effetti del
Risorgimento. È un romanzo nato dalla riscoperta di un diario di un suo antenato che aveva
partecipato direttamente ai moti rivoluzionari del ‘48-‘60. Il cognome vero di Anna Banti è Lopresti e
il romanzo è basato sulle memorie di questo avo a cui integra testimonianze storiche. Lei è di
origine campana, di famiglia medio nobiliare. Il protagonista, che è anche colui che racconta,
partecipa ai moti rivoluzionari del ‘48 contro i Borboni. Egli viene incarcerato e passerà i suoi futuri
vent’anni in un carcere borbonico. Egli non viene liberato perché non chiede mai la grazia e rimarrà
lì dentro fino alla fine dell’impero borbonico. Il protagonista è un rivoluzionario mazziniano e quindi
democratico repubblicano. Egli era antimonarchico e ciò lo porta ad avere contrasti con l’ambiente
in cui lavora dopo il carcere. Egli scrive le sue memorie quando si ritira da lavoro e quando si
trasferisce in periferia. Egli sente di non essere riuscito ad impegnarsi per la formazione di uno stato
differente (repubblicano e non monarchico).
Il titolo del romanzo è esplicativo di questa sensazione di delusione alla fine del Risorgimento. Il
protagonista si pone come simbolo di un moto che credeva in una realizzazione di un’idea. Ha la
sensazione di aver sprecato la propria vita per non aver poi ottenuto nulla di ciò in cui lui credeva.
È un romanzo che ha alcuni connotati del romanzo storico perché si fonda su delle memorie e su
dei documenti, ma la prospettiva è individuale, la focalizzazione interna e rivisita la storia da un
punto di vista soggettivo.
Anna Banti in questi anni scrive dei saggi rivalutando il romanzo storico, puntando sul riempimento
dei vuoti della storia partendo dai dati storici e poi operando attraverso la capacità di immaginare le
motivazioni interiori dei protagonisti. Vuole entrare nei personaggi, nella psicologia del personaggio
per colmare quei vuoti che il dato storico non fa emergere. Per lei rimane fondamentale l’elemento
della supposizione.
Il passato per il presente: rileggere la storia in funzione del presente.
Da Quarto a Torino, Luciano Bianciardi 1961
Luciano Bianciardi è un autore di tre romanzi storici, viene da Grosseto ed è uno scrittore che si
trasferisce a Milano dove porta avanti un&rsquo