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CAP. XX
questo è il famoso episodio del serpente, episodio strano e
sconcertante. Sulla via del ritorno a casa pinocchio incappa in un
grande serpente fantastico, enorme e con la coda fumante che gli
blocca la strada. Il serpente è una rappresentazione molto palese
della figura demoniaca che blocca la strada per la casa della fata
turchina, posto si redenzione, verso cui il burattino è diretto.
In questo romanzo è anche presente un’autocritica e il
proponimento di buoni propositi da parte del burattino. Tuttavia
questi durano poco in quanto, se pur per necessità di fame, ruba
dell’uva e viene punito cadendo in una trappola. L’autocritica nei
soggetti nell’età di Pinocchio è tipica, come lo è anche il ricadere in
tentazione.
CAP. XXVII
Questo capitolo segna il primo ingresso di pinocchio in una scuola. È
una scuola dove viene accolto dal bullismo: è infatti oggetto di
scherno in quanto diverso. Pinocchio inutilmente cerca di difendersi
con le parole e successivamente con la violenza. Questo da un’idea
di una scuola aggressiva dove vince il più forte, dove non è
presente alcun controllo da parte di una qualche figura di potere
(l’insegnante). I compagni di classe sono a loro modo un’altra fonte
di tentazione che lo distraggono dall’andare a scuola ad
apprendere.
Bisogna qui notare che si ha un cambiamento nel ruolo della fata
che ora viene definita “mamma”.
CAP. XXX
In questo capitolo è presente l’ultima tentazione di Pinocchio:
Lucignolo. Nonostante il burattino ha promesso di tornare presto, la
fata non ne è totalmente convinta conoscendo l’indole del
protagonista. In questo capitolo è molto interessante il dialogo tra
pinocchio e Lucignolo, in quanto presenta un chiaro riferimento alla
poesia provenzale.
Nel 1200 i trovatori provenzali hanno molti generi poetici tra cui la
tenzone, dialogo fitto dove il cavaliere vuole convincere la dama al
suo amore. Questa prima è fermamente contraria ma poi piano
piano cede alle lusinghe.
Stesa cosa capita a pinocchio che prima dice un no secco, ma poi
sempre più incuriosito si fa convincere.
CAP. XXXVI
Questo è il capitolo finale del romanzo di Collodi, dove Pinocchio
diventa, dopo molte peripezie, una persona rispettabile.
Questo capitolo fu oggetto di contestazione in quanto presenta un
finale che può essere considerato “buonista” e “borghese”.
Nell’ultima “apparizione del Gatto e della Volpe, abbiamo quasi una
sorta di contrappasso, in quanto il Gatto è diventato cieco a forza
di fingersi tale e la Volpe a forza di rubare e di vivere negli sfarzi ha
contratto così tanti debiti da dover vendere la coda.
Anche in quest’ultimo capitolo il periodo di redenzione che deve
percorrere il protagonista è piuttosto lungo ed è di cinque mesi. Ma
perché la lunghezza di questi blocchi temporali di dimensioni
“mensili”? collodi usò queste forme temporali mensili, né troppo
lunghe né troppo corte, per far sì che esse fossero state
comprensibili per l’immaginazione di un bambino e che per essa
comunque sembrasse un periodo lungo.
Ultimo fattore interessante di questo capitolo è la sfida finale
della lumaca. In questo capitolo infatti, mentre Pinocchio con i
suoi risparmi si dirige verso il mercato, la lumaca riferisce al
burattino che la Fata è in gravi condizioni di salute (per vedere se
ormai il burattino è diventato altruista) e alla notizia il burattino da
tutti i soldi alla lumaca e le promette che lavorerà di più in modo da
mantenere anche la Fata turchina. Con questo pensiero la prova è
superata e Pinocchio è degno di diventare un bambino vero.
IL GIORNALINO DI GIAN BURRASCA (Vamba)
Anche Vamba fu un autore fiorentino e come gli altri anche lui fu
giornalista. Egli scrisse un’opera di nome “Ciondiolino”, molto
simile a Pinocchio, nella quale il protagonista viene tramutato in
formica. Quest’opera, nonostante presentasse una metamorfoli, se
vogliamo, kafkiana, non è l’opera più importante dell’autore. Questa
Giornalino di Gian Burrasca
è rappresentata dal . Il punto di vista
del romanzo è quello di un bambino che trova, nel suo giornalino un
po’ come Anna Frank, un supporto e un amico. Il romanzo
storicamente si pone nei primi anni del 1900, nell’epoca pre-bellica.
Per quanto riguarda l’ambientazione, principalmente abbiamo
l’ambiente fiorentino, ma non mancano comunque “cambiamenti
di inquadratura” in quanto l’opera presenta dei momenti a Roma e
in un luogo non definito, ma sempre nella toscana.
Caratteristica importante del romanzo è l’incentrarsi sul
comportamento genitoriale: in questo romanzo i genitori,
soprattutto quelli di Gian Burrasca presentano una carenza
affettuale nei confronti dei bambini. Scopo del romanzo è
quello di far riflettere sul comportamento genitoriale qui
rappresentato in modo molto negativo e se vogliamo triste: i figli
spesso vengono abbandonati a loro stessi – rischiando anche la vita
– e subiscono molte punizioni molto severe.
Anche questo romanzo come quello collodiano presenta
l’argomento di critica alla scuola: anche qui la scuola è molto
assente (Giannino, come Pinocchio, va molto poco a scuola). Il
personaggio frequenta poco la scuola e per quel poco che la
frequenta non apprende nessun insegnamento, anzi viene
“scacciato” persino da quest’ultima. L’unica scuola che è
“favorevole” a mantenerlo è il collegio, il quale tuttavia è gestito
da una coppia di truffatori.
Bisogna considerare un fatto importante di questo romanzo: tutte le
birbonate di Giannino nascono dal desiderio di fare del bene o
dalla verità. Questi sentimenti però non vengono compresi
dall’ipocrisia degli adulti che non vede l’intento positivo ma solo il
risultato negativo dell’azione.
Molto importante è il fatto che nel romanzo si presentino molte
rappresentazioni – più di cento – prodotte da Giannino, che colmano
la narrazione della storia.
TRAMA
Giannino Stoppani, soprannominato dai genitori “Gian Burrasca” è
l’ultimo arrivato in famiglia e l’unico figlio maschio di una famiglia
benestante della media borghesia. La famiglia del protagonista è
composta da lui, dalle tre sorelle Ida, Luisa e Virginia, dalla madre e
dal padre. Il giorno del suo ottavo compleanno il protagonista riceve
dalla madre un giornalino in dono, dove egli annota tutto ciò che gli
succede. Esempi di annotazione sono:
1) quando trova delle foto dei conoscenti delle sorelle
commentate in modo buffo che decide di restituire, rovinando
così una festa “di gala” da loro oganizzata;
2) quando cade nel fiume tentando di pescare con la canna
regalatagli dalle sorelle;
dopo questi ed altri incidenti, prima della solita punizione, Giannino
decide di scappare e così si dirige dalla zia Bettina, sorella zitella
del padre. Anche qui il ragazzino compie delle birbonate, come
colorare gli animali della fattoria per farli sembrare esotici o come
l’evento del dittamo:
La zia Bettina, da come capisce Giannino, era molto legata a questo
dittamo, in quanto se ne prendeva cura con grande dolcezza ogni
mattina. Il ragazzo, vedendo tale “amore” per la pianta, decide un
giorno di farla “crescere magicamente” mettendo un bastone sul
fondo del vaso. Quando attua questo scherzo, sulle prime esso va
bene e la zia, vedendo che l’albero cresceva a vista d’occhio prima
se ne prende il merito (ringraziando “L’acqua pura” che gli dà ogni
mattina), poi inizia ad invocare il nome del suo amato, Ferdinando.
Tuttavia ad un certo punto il legnetto che muoveva la piantina si
blocca e a forza di spingere, il vaso va in frantumi. La zia, scoperto
l’inganno va su tutte le furie, ma dopo contratta col nipote per non
far rivelare il segreto di Ferdinando: egli rimarrà ospite da lei se
terrà la bocca chiusa.
Tuttavia, per colpa di altre birbonate la zia alla fine chiama
comunque il padre del ragazzo che viene a riprenderlo e a riportarlo
a casa. Durante questo periodo a casa Giannino compie delle
ulteriori birbonate, fino a fare un incidente, insieme ad un ricco
compagno di classe, dove il primo – Giannino – si rompe un braccio,
mentre il secondo è più grave. Sia per curarsi, che per punizione il
ragazzo viene mandato a Roma da una delle sorelle, Luisa, che nel
frattempo si era spostata con il medico Collalto, ed anche qui egli
riesce a mettersi nei guai.
Anche dalla sorella Virginia, maritata con il politico e avvocato
Maralli, combina dei guai, soprattutto con il ricco zio di questo,
Venanzio, il quale si affeziona al bambino.
Il padre, venuto a conoscenza delle sue birbonate, porta il
protagonista al collegio Pierpaolo Pierpaoli, gestito da due
severissimi signori: Stanislao alto e magro e la moglie Geltrude
bassa e grassa. In questo nuovo ambiente (descritto dall’autore
come grigio e cupo) Gian Burrasca riesce a stringere amicizie vere
nonostante egli sia il più piccolo. Inoltre qui crea una società
uno per tutti e tutti per uno
segreta denominata “ ”. Qui come al
solito compie delle marachelle e tramite una punizione riesce a
“smascherare” uno degli imbrogli dei due direttori. Giannino riesce
a scoprire che ciò che il cuoco scambia per “deliziosa minestra di
magro” non è altro che l’acqua del risciacquo dei piatti della
settimana. Nonostante cerchino di minimizzare il fatto i due direttori
alla fine ammettono il loro sbaglio e tramite alcune birbonerie il
protagonista riesce anche a sostituire la minestra di riso con la
pappa al pomodoro. Inoltre Gian Burrasca scopre che i direttori del
collegio si dedicano a sedute spiritiche per comunicare con il loro
amato fondatore: Pierpaolo Pierpaoli.
Questo passaggio del romanzo è molto interessante ed è frequente
nelle opere di questo periodo. Anche nel Fu Mattia Pascal, infatti,
troviamo – anche se in forma ironica – la seduta spiritica. Il fatto di
queste grande passione è dovuto ad un accentuato amore per il
misticismo.
Quando il ragazzo scopre le sedute decide di far spaventare i due
tramite una marachella e dà voce al defunto per far credere che
esso sia stato veramente invocato. Tramite questo modo Giannino
decide anche di punire i due per il loro comportamento ed organizza
una sorta di “rivolta”. Succe