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VI. LE FIGURE FEMMINILI NELLA LETTERATURA
‘800 ‘900.
ITALIANA TRA E
Premessa.
Nel presente capitolo si cercherà di individuare alcune delle tipologie
femminili proposte dalla letteratura italiana, limitatamente al periodo tra l’Ottocento
e il Novecento, sulla base delle categorie che, secondo il mio parere, risultano
maggiormente diffuse nella letteratura del periodo in esame: la donna idealizzata, la
donna desiderata, la donna che desidera e la donna vittima della società.
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VI. 1. La donna idealizzata.
Caratteristica della letteratura romantica, questa tipologia femminile la si può
certamente scorgere nel personaggio di Lucia dei Promessi Sposi manzoniani.
Il personaggio di Lucia viene introdotto da Alessandro Manzoni nel II capitolo
dell’opera. La sua presentazione è quasi tutta in termini spirituali; la sua età non
viene rivelata, ma si intuisce che Lucia è nel fiore degli anni (i neri e giovanili
capelli). La sua modesta bellezza, che trae il proprio fascino dal suo volersi
nascondere, pur non avendo nulla di eccezionale, trasmette al lettore un effetto di
singolare freschezza («...lunghi e neri sopraccigli... Lucia aveva quello
[l’ornamento] quotidiano di una modesta bellezza... rilevata allora e accresciuta
dalle varie affezioni che le si dipingevan sul viso: una gioia temperata da un
turbamento leggiero, quel placido accoramento che si mostra di quand’in quando
sul volto delle spose, e, senza scompor la bellezza, le dà un carattere particolare...»)
e nello stesso tempo la concretezza fisica di una sana e ritrosa robustezza («...la
modestia un po’ genuina delle contadine...»).
Lucia è orfana del padre e vive con la madre Agnese. Lavora in casa o alla
filanda. Appartiene, come Renzo, al popolo e la sua condizione economica è
modesta, ma decorosa («...aveva quella casetta un piccolo cortile... ed era cinto da
un murettino...»).
La nota distintiva di Lucia è la purezza, una castità delicata che cela nel
profondo i sentimenti più puri. Il suo pianto («...asciugandosi gli occhi col
grembiule... con voce rotta dal pianto... violento scoppio di pianto...») rivela una
profonda ricchezza di sentimenti, quelli che Lucia, per sua scelta, è abituata a
controllare.
Il suo personaggio incarna un ideale femminile particolarmente caro alla
borghesia sette-ottocentesca: la vergine che con la sua assoluta purezza redime dal
peccato le anime corrotte e offre loro l’occasione della salvezza. Lucia esercita il suo
potere purificatore e redentore soprattutto su Renzo, vigilando su di lui, presente o
assente, come un angelo custode e liberandolo da quanto di ribelle e violento egli
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cova nel fondo della sua anima, nonostante la sua natura di campagnolo, che è buona
per essenza. In secondo luogo Lucia esercita il suo potere su Gertrude, la monaca
corrotta e lussuriosa, che vicino a lei sente nostalgia dell’innocenza perduta, ma per
debolezza non riesce a cogliere l’occasione di salvezza che il cielo le manda. Infine,
Lucia offre un’occasione di salvezza, sfruttata in questo caso, all’Innominato.
Nell’incontro con Gertrude vengano esaltate dal Manzoni la santità e
l’innocenza che caratterizzano l’animo di Lucia. Ella, a differenza della monaca di
Monza, mantiene il voto con forza e costanza e la sua fede e la sua modestia si
oppongono all’orgoglio inculcato nella figlia del principe perfino attraverso
un’educazione religiosa stravolta. Lucia è abitata dalla Grazia mentre Gertrude
rappresenta il Male, non solo perché le sue colpe sono gravissime, ma anche perché
rifiuta la via di scampo offertale dalla religione. Gertrude rappresenta l’altra faccia di
Lucia, è l’esempio di ciò che Lucia sarebbe potuta diventare se avesse ceduto alle
profferte di don Rodrigo: questo suo ruolo specifico nel romanzo giustifica
l’ampiezza e l’accuratezza dell’analisi che le è dedicata.
Al termine di queste considerazioni, si può affermare che per queste qualità è
Lucia il personaggio nel quale il Manzoni si identifica maggiormente. Lucia è
portatrice di una delle tesi fondamentali del romanzo: l’agire umano è vano, se non
addirittura dannoso, senza l’intervento della Provvidenza divina.
Idealizzata è anche la figura di Augusta nel romanzo La Coscienza di Zeno di
Italo Svevo. L’auto-racconto di Zeno percorre le tappe di una vita malata, attraverso
la lotta contro il fumo, la morte di un padre colpevolizzante, la storia di un
matrimonio senza amore, di un adulterio appassionante ed infelice, di un’ iniziativa
commerciale disastrosa.
Augusta viene presentata strabica, un po’grassa, dai capelli opachi, in seguito
diventa «meno brutta» di quanto Zeno avesse creduto; nella moglie tutto è sempre
gradevole: la intraprendenza, la solidarietà ilare e affettuosa. Augusta si rivela la
moglie ideale: innamorata, dolce e allegra, ottima padrona di casa, è la
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personificazione della salute. Zeno scopre di amare sua moglie e trova piacevole il
ruolo del marito capo-famiglia.
Egli comprende finalmente, attraverso Augusta, che cosa sia la perfetta salute,
cioè il segreto dell’attivismo e dell’equilibrio interiore: la salute è a sua volta una
convinzione. La forza serena di Augusta deriva dalla persuasione che tutte le
convinzioni sociali, le abitudini, le apparenze della realtà siano verità assolute e
coerenti («...il presente era per lei una verità tangibile in cui poteva segregarsi e
starci caldi...»). Tuttavia, mentre l’analizza, Zeno distrugge esplicitamente quella
salute che prima sembrava ammirare e desiderare: rivela l’ingenuità di questa
autoconvinzione, basata sull’inesperienza, sull’inconsapevolezza della vita.
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VI. 2. La donna desiderata.
Il personaggio che meglio ricalca la tipologia della donna desiderata, secondo
il mio parere, è Silvia dell’omonima poesia di Leopardi.
Silvia, nella poesia, è una delicata fanciulla che diventa simbolo della
giovinezza, della speranza e dei sogni del poeta traditi, però, dalla natura che,
secondo l’autore, è matrigna perché inganna i propri figli lasciando che essi si
costruiscano illusioni che in futuro produrranno solo delusioni e dolore.
“utilizza”
Questo personaggio è la figura che Leopardi per cantare la gioiosa
speranza e l’ignara giovinezza destinata sempre a finire.
L’identità della ragazza è stata accertata per quella di Teresa Fattorini, figlia
del cocchiere di casa Leopardi, morta di tubercolosi in giovane età.
Ma non è senza significato che l’autore abbia scelto un nome letterario.
Diventa un simbolo delle illusioni giovanili, così come la sua morte prematura lo è
del destino di quelle illusioni.
Silvia continua a vivere nel ricordo del poeta ed è l’interlocutrice di un
dialogo interiore che mette a confronto due momenti della vita: l’età delle speranze e
l’età del vero.
Donna desiderata è anche Angiolina del romanzo Senilità di Italo Svevo.
“per ma
Angiolina, una popolana che non si potrebbe dire bene”, vivace e
intelligente «è una bionda dagli occhi azzurri grandi, alta e forte, ma snella e
flessuosa, il volto illuminato dalla vita, un color giallo di ambra soffuso di rosa da
una bella salute, camminava accanto a lui, la testa china da un lato come piegata
dal peso del tanto oro che la fasciava, guardando il suolo ch’ella ad ogni passo
toccava con l’elegante ombrellino come se avesse voluto farne scaturire un
commento alle parole che udiva. (...) Raggiante di gioventù e bellezza».
La critica ha spesso visto Angiolina come una creatura solare, piena di vita, in
“salute”
contrapposizione con la povertà vitale del protagonista, la contro la
“malattia”, “gioventù” “senilità”.
la contro la Ma questa immagine positiva di
Angiolina è solo una costruzione mentale di Emilio: è sempre solo attraverso la sua
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prospettiva soggettiva che Angiolina appare come un simbolo di salute, forza,
giovinezza e gioia. Si può dire, dunque, che nel romanzo vi sono due Angioline: una
è l’Angiolina fittizia, il simulacro costruito dai sogni e dalle ossessioni di Emilio,
l’angelo puro e idealizzato, l’altra è quella reale. Ma questa seconda Angiolina non
ha praticamente modo di esprimersi. La sua fisionomia si delinea solo attraverso i
suoi comportamenti, perché il personaggio non è mai visto dall’interno. Infatti si è
sostenuto che Angiolina è una creatura enigmatica e sfuggente poiché, data
l’impostazione narrativa, non siamo in grado di attingere direttamente ai suoi
pensieri. 32
VI. 3. La donna che desidera.
Nella letteratura italiana troviamo numerose donne che desiderano ma non
sempre ottengono ciò che vogliono, forse per fragilità caratteriale o per una società
avversa; donne perennemente in conflitto con se stesse a causa di un amore
impossibile o magari donne che sono sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo e di
entusiasmante che vivacizzi la loro vita monotona e senza speranza.
È il caso della Lupa, personaggio dell’omonima novella di Giovanni Verga,
contenuta nella raccolta Vita dei campi (1880). Raccolta in cui meglio si precisò il
verismo verghiano, con l’attenzione puntata sul documento umano in cui, secondo la
formulazione di Flaubert «l’autore doveva essere nell’opera presente dappertutto e
ovunque invisibile».
La Lupa era alta e magra, ma non era solo per «quei due occhi grandi così» o
per «quelle labbra rosse che vi mangiavano» che tutti gli uomini del villaggio le
correvano dietro; in lei c’era qualcos’altro: una passione violenta e quasi demoniaca,
una fame brutale, un’anima che «non era sazia giammai di nulla».
«Una volta la Lupa s’innamorò di un bel ragazzo, Nanni, ma proprio quello
che si dice innamorarsi, sentirsene ardere le carni sotto il fustagno del corpetto e
provare, fissandolo negli occhi, la sete che si ha nelle ore calde di giugno in fondo
alla pianura», ma egli rise della sua passione e, con ingenuità, le propose di
prendere al suo posto, la figlia. Mariccha era una brava giovane, vergognosa del
comportamento della madre, Nanni però le pareva solo unto e sudicio e non lo
voleva.
«Ma sua madre l’afferrò per i capelli davanti al focolare e le disse con i denti
stretti: se non lo pigli t’ammazzo