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Estratto del documento

A questo punto Dante si sveglia. Virgilio spiega di averlo

chiamato ben tre volte, sgridandolo, prima che lui si fosse

alzato. 19

Le tre parole ventre:tre:entre formano una rima franta che

produce un effetto di spezzatura prosodica, caratterizzato

anche dalla presenza di un enjambement ai vv. 34-35. “Surgi

e vieni” stanno ad evidenziare come Dante si alzi verso l’alto

mentre gli avari, che incontreranno da lì a poco, stanno rivolti

verso il basso (cfr. movimento verso i cieli e stasi verso la

terra).

Quando Dante si alza la luce è già alta, in quanto stanno

procedendo col Sole alle spalle (cammino in senso Occidente

-> Oriente). Dante tiene la testa ricurva verso terra, in quanto

non ha ancora superato il suo stato di devianza. Incontrano

subito un angelo che dice che è permesso loro di passare. Nel

farlo indica la strada, dice una beatitudine e cancella una

delle P dalla fronte di Dante, simbolo della sua inclinazione ai

peccati in quanto ancora vivente. L’angelo parla in modo

soave, benevolo, come mai poteva accadere sulla terra. La

maggioranza delle similitudini del Purgatorio e del Paradiso

sono e contrari (nell’aldiquà non si vedono cose dell’aldilà).

La terra è definita “mortal marca” perché è regione di

passaggio. Le ali dell’angelo “parean di cigno” dove “parere”

non è mai “sembrare” ma piuttosto “apparire come”, “essere

identico”. Dante non utilizza mai similitudini esornative, ma

allegorie di tipo morale. Il cigno è simbolo della virtù, mentre

l’angelo del massimo candore.

Dante attraversa così una scala fatta “del duro macigno”, che

si presta ad una duplice interpretazione: può essere

complemento di specificazione o di materia, il significato non

cambia, ma è piuttosto un problema di grammatica storica.

Secondo gli usi dell’epoca Dante avrebbe dovuto scrivere “tra

le due pareti del duro macigno” se fosse stato complemento di

materia. “Ventilonne”, ci ventilò (inteso spazzo via la P del

peccato), è pluralis modestiae, in quanto sarebbe riferito solo a

Dante, perché Virgilio non porta peccato. L’angelo recita così

una beatitudine che ha a che vedere con il peccato della

cornice precedente, l’accidia. Nelle Beatitudini bibliche non

esisteva però un passo adatto, obbligando Dante a scegliere

quello maggiormente affine. L’interpretazione potrebbe essere

che piange (“qui lugent”) chi ha dolore per non essersi

adoperato per il bene, perché avranno le anime “donne”

(padrone) di essere consolate. “Consolar” è infinito con valore

sostantivato, “di essere consolate”. “Pur” non ha valore

20

avversativo (alla pari del nostro “pure” o “invece”), bensì

quello temporale (come “sempre”).

Alla domanda dell’anima, Dante risponde che una visione fatta

poco prima lo fa andare avanti con preoccupazione,

inducendolo ancora a pensarci su e facendolo patire. Virgilio lo

rincuora dicendo che la “donna balba” era una strega

ammaliatrice antica, che da sempre perseguita l’uomo. Ella

simboleggiava i peccati d’incontinenza che saranno propri delle

anime che incontreranno tra poco. Il v. 60 con la parola “uom”

ad uso impersonale, sottolinea come tutti abbian saputo

slegarsi dalla strega, per cui Virgilio esorta Dante a farsi

bastare questa spiegazione (“Bastiti”) ed a darsi da fare (“batti

a terra le calcagne”). Dante deve così indirizzare gli occhi alle

sfere celesti e non alla Terra.

Si arriva così alla metafora del logoro (vv. 62 e segg.). Il

logoro propriamente detto era un pezzo di legno, con dei

piccoli gancetti, cui venivano attaccati pezzetti di carne e

piume: esso serviva da richiamo per i falchi lanciati in volo dai

falconieri. In una sottile metafora i cieli (simboleggiati dal

logoro) girano grazie a Dio (il falconiere). La metafora si

dilunga poi anche nella terzina successiva. Allo stesso modo di

come il falco torna indietro attirato dal desiderio di mangiare

l’esca sul logoro, così Dante, sollecitato da Virgilio a girarsi

verso i cieli, viene riportato verso il bene tramite il richiamo (il

logoro) divino. Questa si può considerare una metafora

prolungata, anche se verranno ideate per la prima volta da

Emanuele Tesauro nel Seicento. La scelta dantesca di prendere

come paragone il falco non è affatto casuale: Dante si è

lasciato ammaliare dai beni terreni così come gli uccelli,

secondo una credenza medievale, si credeva fossero

facilmente influenzabili. Quando si parla di uccelli, tutti

connessi al cibo, si tratta di una metafora ornitologica, ripresa

poi ancora da Dante.

Dante e Virgilio incontrano così le anime degli avari, tra cui

scoprirà anche i prodighi. L’avarizia è intesa differentemente

dalla nostra concezione moderna: essa coincideva con l’avidità

latina. L’avarizia è il non voler spendere ma anche il

desiderio eccessivo di denaro. Altri interpreti della

Commedia la intendono, generalizzandola, come desiderio

eccessivo di tutti i beni terreni (anche le proprietà). I teologi

21

includevano anche il desiderio di gloria umana (cfr. Ugo da San

Vittore e San Paolo nella Prima lettera a Timoteo – 6,10).

I prodighi e gli avari stanno recitando una preghiera. Non

appena giunto, Dante vede delle anime che stanno

piangendo in posizione supina. Dopo l’episodio del “qui

lugent”, Dante insiste ancora col pianto, evidenziando la

condizione degli avari. Gli spiriti purganti stanno recitando il

salmo 119 (v. 125) secondo il quale le loro anime si sono

attaccate al terreno. Tuttavia questo salmo sta a significare

altro, in quanto, oltre all’allegoria dantesca, questa posizione

indicherebbe l’uomo che si umilia dinnanzi a Dio,

guadagnandosi la salvezza eterna. Non sarebbe così una

punizione ma un’azione virtuosa. Dante conosceva un

esegesi sui salmi di Sant’Agostino (cfr. Enarrationes in

psalmos), in cui si sosteneva che il prostrarsi in questo modo

riduceva il desiderio di concupiscenza. Dante si pone così come

una via intermedia tra le due posizioni.

Le anime piangevano così forte che a stento Dante capiva cosa

dicevano. Allora il poeta si rivolge a queste e dice che loro sono

anime scelte (ovvero destinate alla salvezza eterna), le cui

sofferenze possono essere addolcite dalla giustizia e dalla

speranza. Chiede loro così di indicargli la strada verso l’alto per

cui procedere. La parola giustizia fa riferimento al fatto che le

anime sono contente di essere punite, perché la parola di

Dio è giusta. La speranza è altresì pentimento e salvezza. Le

due parole reggono però un verbo al singolare e questo perché

il costrutto è di derivazione latina, per sottolineare che i due

termini combaciano in Dio. La speranza e la fede sono limitate

alla Terra ed al Purgatorio, solo la carità è virtù teologale

eterna. Tuttavia non si raggiunge la salvezza senza tutte e

tre le virtù teologali. I plurali dei verbi “saliri” e “soffriri”

erano figure frequenti.

Una delle anime risponde che devono procedere con la destra

rivolta in fuori dalla cornice. “Sicuri” deriva dal sine cura latino,

“senza preoccupazione”. Una interpretazione antica del v. 81

svela che la destra potrebbe essere il braccio disteso, simbolo

di generosità e non di avarizia.

Dante prega Virgilio affinché possa parlare ancora ed un’anima

lì vicina risponde. A Dante, in quell’anima parlante, pare di

riconoscere qualcuno. “Avvisai l’altro nascosto” si presta a tre

spiegazioni: potrebbe essere un riferimento allegorico al v. 81,

22

ovvero nel senso che Dante intuì il significato nascosto nelle

parole dell’anima (interpretazione improbabile in quanto

“nascosto” si riferisce piuttosto alle parole che l’anima ha

ancora da dire, incuriosendo Dante); oppure Dante intuì le altre

cose rimaste celate nelle parole dell’anima, ovvero il desiderio

di sapere perché Dante può procedere e non deve patire la

pena della cornice (interpretazione possibile le anime sono

curiose della condizione privilegiata di Dante); l’ultima

spiegazione è quella per cui Dante, nel sentire quelle parole,

riconobbe la parte nascosta dell’anima, ovvero tramite cosa

dice l’anima conobbe chi fu stata in vita.

Ottenuto il permesso da Virgilio, Dante s’avvicina all’anima,

“trassimi sovra” perché l’anima è stesa a terra. Al ché Dante

invoca l’anima “O Spirito in cui il pianto fa maturare ciò che

serve per tornar a Dio, interrompi la tua preoccupazione più

grande per un attimo”. Secondo questa frase si capisce che il

pianto fa maturare l’espiazione, in quanto la sofferenza è

necessaria per salvarsi. In questo senso le anime ritornano a

Dio, giacché egli le ha create una per una, ma senza il corpo.

Nei vv. 77-81 c’è una rima duri:sicuri, che oltretutto rimano con

“fori”. Nelle edizioni antiche della Commedia è riportato invece

“furi”. Giorgio Petrocchi fu il primo a correggere “furi” con

“fori” dal momento che non era parola toscana. Questo è un

tipo particolare di rima detta guittoniana (od aretina). Le

rime siciliane (Inferno v. 44 e segg., Inferno v. 26 e segg.)

1 x1

sono altre particolari rime. I siciliani usavano solo rime perfette

ma i loro testi sono arrivati a noi solo mediati dalla poesia

toscana, che mal traduceva alcune parole (e dunque anche

alcune rime). Un’umanista ha casualmente svelato come

toscano e siciliano erano davvero due lingue differenti. Ad

esempio tiniri:veniri è una rima perfetta in siciliano, mentre

tenere:venire, in toscano, non presenta un vocalismo perfetto.

Le “i” (aperte e chiuse) e la “e” (aperta) danno luogo in

siciliano alla “i”. Le “u” (aperte e chiuse) e la “o” (aperta)

danno luogo alla “u”. Ad esempio cruci:luci -> croce:luce. La

“o” in “fori” è aperta.

Dante chiede allora all’anima chi fu in vita, il motivo per cui

hanno i dorsi in su e se deve incaricarsi di portare qualche

messaggio sulla Terra, sicché è ancora vivo. Quest’ultima

richiesta è un leitmotiv della Commedia. Il tema

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A.A. 2013-2014
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Giacometallo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura Italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Boggione Valter.