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Nel 1967 Calvino si trasferisce a Parigi dove conosce Raymond Queneau, letterato francese appassionato di matematica. L'incontro tra i due è determinante per lo scrittore italiano, il quale sperimenta nuove tecniche letterarie, in particolare l'attività combinatoria, criterio con il quale costruisce le sue ultime fatiche. Tra queste, anche Le città invisibili. Pubblicata nel 1972, l'opera risente delle influenze francesi dell'Oulipo e della traduzione italiana di Calvino de I fiori blu, in particolare per quanto riguarda la messa in discussione della realtà. Da notare anche altri elementi determinanti, come il gusto per la precisione e l'ordine matematico.
Per ora mi limiterò a illustrare gli aspetti che accomunano la cornice del capitolo VII de Le città invisibili ai capitoli finali de I fiori blu.
Le città invisibili e la realtà
Ho accennato in precedenza alla messa in discussione della realtà. Illustrò
ora il procedimento seguito da Calvino ne Le città invisibili. Lo scrittore ligure, nella cornice del capitolo VII, presenta un dialogo quasi teatrale, privo di narratore esterno, tra Kublai Kan, imperatore dei Tartari, e Marco Polo, esploratore. I due si interrogano sulla concretezza del momento che stanno vivendo: Marco Polo descrive al Kan tutte le città che ha visitato, usando il linguaggio per descrivere la realtà, ma al Kan sembra che l'esploratore non si sia mai mosso dal giardino, arrivando così a mettere in dubbio l'esperienza stessa di Polo. Polo risponde quindi introducendo la questione fondamentale con questa frase: "Nel momento in cui mi"Concentro a riflettere, mi ritrovo sempre in questo giardino, a quest'ora della sera, al tuo augusto cospetto, pur seguitando senza un attimo di sosta a risalire un fiume verde di coccodrilli o a contare i barili di pesce salato che calano nella stiva.
La sicurezza dimostrata fino ad allora nel racconto di Polo, in un attimo si sgretola – quasi come il regno del Kan – per lasciare posto al dubbio: il giardino è un luogo reale o è una proiezione della mente? Polo sa di trovarsi al cospetto del Kan ma è consapevole al contempo di proseguire le sue normali attività esplorative e commerciali.
Ad accrescere il dubbio, giunge la risposta di Kublai: "Neanch'io sono sicuro d'esser qui, a passeggiare tra le fontane di porfido, ascoltando l'eco degli zampilli, e non a cavalcare incrostato di sudore e di sangue alla testa del mio esercito, conquistando i paesi che tu dovrai descrivere, o a mozzare le dita agli assalitori che scalano le mura."
d'una fortezza assediata. Anche Kublai è dubbioso e si nota soprattutto nell'uso di alcune espressioni, come "neanch'io sono sicuro" e "non a cavalcare". Forse, conoscendo gli orrori del mondo che sta al di fuori del suo palazzo – parla di esercito e assalitori, quindi la guerra di conquista è ancora attiva – gli sembra incredibile potersi fermare ad ascoltare i racconti di uno straniero mentre l'impero è dilaniato. Ma può anche darsi che il giardino costituisca semplicemente un rifugio, generato dalla sua mente.
La battuta successiva di Marco Polo a tal proposito è determinante: "Forse questo giardino esiste solo all'ombra delle nostre palpebre abbassate..."
Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano 2010, p. 103.
Un luogo nascosto, separato dal
mondo reale. Un luogo che permette ai due protagonisti di discutere, appartati, di riconsiderare la realtà da un'altra prospettiva. O più semplicemente, è una sorta di fuga da quel mondo esterno – l'impero del Kan – che sta andando via via disfacendosi, come spiega il narratore nel capitolo I: "uno sfacelo senza fine né forma". La palpebra isola l'interno dall'esterno, è un confine labile tra ciò che c'è e ciò che si pensa ci sia. Divide ma non distingue le due realtà. Tuttavia l'idea delle palpebre abbassate rimanda chiaramente al sogno, a una dimensione onirica e quindi irreale, o quanto meno utopica, desiderata e non-reale. Come se Marco Polo e Kublai Kan, tra un viaggio e una battaglia, chiudessero gli occhi e si ritrovassero insieme in una dimensione di sogno, "vestiti di chimoni di seta", a scambiarsi racconti e idee in un giardino sospeso nel tempo. Dopoquesta considerazione in qualche modo “romantica”, Kublai abbassa bruscamente il tono e, dai due protagonisti in chimono sospesi nella loro dimensione onirica, passa a un ambiente concreto, quasi sgradevole, paragonando lui e Polo a due straccioni che stanno rovistando in uno scarico di spazzatura, ammucchiando rottami arrugginiti, brandelli di stoffa, cartaccia [...]
Polo comunque rimane ottimista e contrasta il cinismo di Kublai: sì, l'immondezzaio esiste, il disfacimento dell'impero ne è una prova, ma altrettanto forte è l'idea del giardino del Gran Kan, oasi di salvezza, che sembra sovrastare su tutto.
L'unico dubbio che ancora persiste riguarda il confine tra il dentro e il fuori: Sono le nostre palpebre che li separano [immondezzaio e giardino], ma non si sa quale è dentro e quale è fuori.
Qualche pagina dopo, la cornice prosegue e i dubbi di Kubali e Polo acquistano un6 Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori,
Milano 2010, p. 5.7 Il tema della contrapposizione tra interno ed esterno era già stato affrontato da Calvino nella raccolta Ti con zero, in particolare nel racconto Il sangue, il mare e nelle Cosmicomiche con La spirale.8
Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano 2010, p. 103.9
Id., Le città invisibili, Mondadori, Milano 2010, p. 104.10
4accento marcatamente filosofico.Polo accenna alla possibilità che il giardino sia in realtà solo frutto della loro mente mapoi, ampliando la riflessione, arriva a formulare un'ipotesi più complessa:[...] quelli che s'arrabattano negli accampamenti e nei porti esistano solo perché li pensiamo noi11due, chiusi tra queste siepi di bambù, immobili da sempre .Il Kan però fa notare a Polo la bilateralità di questa considerazione: il resto del mondo non esisterebbe se loro non lo pensassero e, viceversa,
loro non esisterebbero se il restodel mondo non li pensasse: 12Senza di loro mai potremmo restare a dondolarci imbozzoliti nelle nostre amache. Qua Calvino cade pienamente nella filosofia del sogno: riprende probabilmente13Schopenhauer, ma non sono da escludere altri tipi di influenze. Una certarassomiglianza ad esempio si nota con il racconto di Alberto Moravia La vita è un sogno, contenuto nella raccolta L'epidemia. Qua, un mostruoso re talpa domina il suo popolo attraverso il sonno. Gli abitanti dell'isola quindi agiscono, ed esistono, solamente in base ai sogni del sovrano. Plausibile anche il contatto con le filosofie orientali, se si considera che Calvino si era occupato della traduzione de I fiori blu, il cui tema fondamentale è proprio la difficoltà di discernere il reale dal sogno.
I fiori blu e il sogno 14Nella prière d'insérer, per presentare la sua opera, Queneau esordiva così: 11 Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori,
Milano 2010, p. 117.12
Id., Le città invisibili, Mondadori, Milano 2010, p. 117.13
Le teorie sul sogno sono contenute ne Il mondo come volontà e rappresentazione.14
Quarta di copertina. 515
Secondo un celebre apologo cinese, Chuang-tzé sogna d'essere una farfalla; ma chi dice che non sia la farfalla a sognare d'essere Chuang-tzé? E in questo romanzo, è il Duca d'Auge che sogna16 d'essere Cidronlin o è Cidrolin che sogna d'essere il Duca d'Auge? Ottima questione sulla quale interrogarsi e che, come accennato nel paragrafo precedente, sostiene l'intera trama de I fiori blu.
La dimensione onirica nel romanzo di Queneau è assolutamente dominante. Ogni capitolo racchiude i sogni di Cidrolin o del Duca d'Auge. Con cadenza perfetta sogno e realtà si alternano, senza mai lasciare spazio al lettore di distinguere l'uno dall'altro. I due protagonisti non sono completamente ignari di questo.
passaggio; anzi, ogni volta che si svegliano, sono attoniti e dubbiosi riguardo al sogno che hanno fatto e le interrogazioni del Duca aumentano quando in sogno vede cose che non conosce. Il Duca d'Auge ad esempio, nel capitolo III, interroga Don Biroton sul significato dei sogni: - [...] E le màkkine? Vengono da Dio o dal Diavolo? - Le ma...? Cos'è? Non ne so guari. [...] - Io le scorgo nei sogni. A migliaia, a miriadi, a legioni [...] Quenenau conduce il Duca d'Auge in un viaggio nel tempo che dura settecento anni, dal 1264 al 1964. Mentre il Duca si sposta a intervalli di 175 anni ognuno, Cidrolin vive stabilmente nel 1964. Nel dialogo riportato sopra, il Duca si trova nel 1264: sogna Cidrolin, o meglio, sogna di essere Cidrolin, vede le "màkkine" - le automobili - che definisce "bestiole vive e quackueggianti" e chiede un parere religioso a Don Biroton, il quale preferisce addormentarsi piuttosto cherispondere.Fondamentali per capire il legame con Le città invisibili sono gli ultimi capitoli de Ifiori blu, a partire dal capitolo XVII.Se per tutto il romanzo sogno e realtà si intrecciano, nel capitolo XVII avviene l'incontro: il Duca raggiunge il 1964 e incontra personalmente Cidrolin.15 Più frequenti: Chuang tzu o Zhuang-zi.16 Raymond Queneau, I fiori blu, Giulio Einaudi editore, Torino 1967, trad. it. di Italo Calvino.17 Id., I fiori blu, Giulio Einaudi editore, Torino 1967, p. 33. 6L'abilità di Queneau sta nel proporre l'avvenimento in maniera del tutto naturale e lineare, senza alcun accenno ai viaggi nel tempo o ai sogni reciproci. L'unico indizio che, a parer mio, potrebbe lasciare il lettore perplesso è uno scambio di battute tra i due protagonisti:Cidrolin non risponde.L'altro dice:- Non vi pare?Cidrolin dice: 18- Non siamo stati presentati.Ritengo che il silenzio i