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LE CITTÀ INVISIBILI
Nel Castello dei destini incrociati il mazzo dei tarocchi è usato come un sistema disegni, come un linguaggio: ogni figura ha un senso polivalente così come lo hauna parola, il cui esatto significato dipende dal contesto in cui viene pronunciata.
Les contrintes oulipiennes, le virtù del numero e i loro limiti, sono stimoli per lacreatività, perché la contengono e così facendo le offrono uno slancio verso la veralibertà, non quella che nasce dall'automatismo o dal caso.
La vera libertà per Queneau, e per Calvino, consiste esattamente nel fatto dimuoversi nell'universo creato dalle proprie regole, che si conoscono e si possonodeterminare, volendo con un gusto per l'assurdo e l'ironia, con il distacco di chi sa chesono convenzioni allo stato puro, confini e punti di partenza per la creazione di mondiimmaginari.
L'esigenza di globalità e di visioni totalizzanti sembra stridere
con il senso del limite e la diffidenza verso ogni tipo di filosofia assoluta. Ma non stride, se pensiamo a quanto fosse forte in Queneau e in Calvino il culto per i giochi. Ogni gioco è un sistema di assiomi e regole, di un numero finito di elementi da combinare secondo un certo numero di combinazioni possibili, e altre non ammesse: una filosofia, un gioco di carte, persino una teoria scientifica non sono altro che un sistema chiuso all'interno del quale muoversi in maniera convenzionalmente accettata da tutti. Il compito della letteratura è aprire spazi congetturali dove filosofia e fantasia cospirano per suggerire divertentissimi mondi visionari e linguistici. Calvino rende visibili i meccanismi che stanno alla base di tutte le narrazioni, creando così un romanzo che riflette sulla propria natura e configurazione. Questo gioco combinatorio è centrale anche nelle Città invisibili (1972), nelle quali Marco Polo descrive a Kublai Khan le città delcompositivea riflettere sulla struttura del testo.
Il periodo di gestazione de Le città invisibili va dal 1970 al 1973. Così Calvino ne descrive la nascita, in una lettera a Claudio Varese del '73: "il libro è nato pezzo a pezzo, per successiva giustapposizione di pezzi isolati, e io stesso non sapevo dove andare a parare. [...]. Se ora il libro si presenta come una costruzione elaborata e conclusa, questa costruzione è venuta all'ultimo sulla base del materiale che avevo accumulato. Anche le classificazioni delle città, alcune (memoria, desiderio) erano già chiare all'inizio, perché mi erano venute così, altre sono state decise dopo, dopo molte oscillazioni, attorno a nuclei tematici dai contorni non ben definiti".
In una conferenza tenuta alla "Columbia University di New York", nel marzo del 1983, così Calvino ne descrive la nascita: In origine erano ricordi di viaggi, in gran parte memorie.
di città visitate, annotazioni spesso poetiche di impressioni ricevute in un dato momento e in un certo luogo, a seconda degli stati d'animo dello scrittore.
«Questo libro nasce un pezzetto per volta, a intervalli anche lunghi, come poesie che mettevo sulla carta, seguendo le più varie ispirazioni».
Ecco, dunque, materializzarsi su carta evocazioni di città tristi e di città contente, città dal cielo stellato e città piene di spazzatura, insomma spazi, sensazioni, genti diverse e loro passioni, fissate solo su cartelle, come un diario a fogli liberi.
«Ma tutte queste pagine insieme non facevano ancora un libro», confessa l'autore nella stessa conferenza.
La costruzione della struttura dell'opera, dell'indice, è stata impegnativa almeno quanto la composizione dei brani.
Nella loro versione definitiva Le città si articolano in 11 rubriche: «Le città e la memoria»,
«Le città e il desiderio», «Le città e i segni», «Le città sottili», «Le città egli scambi», « Le città e gli occhi», «Le città e il nome», «Le città e i morti», « Lecittà e il cielo», «Le città continue», « Le città nascoste».
Ogni rubrica dà il titolo a cinque città, alla rubrica si affiancano il nome dellasingola città (che è sempre un nome di donna) e un numero romano da uno a cinque.
Il libro contiene anche una suddivisione in capitoli, in totale nove, dei quali ilprimo e il nono contengono dieci città, e quelli dal secondo all'ottavo cinque cittàciascuno.
All'inizio e alla fine di ogni capitolo, troviamo un breve "apologo», "onigramma" o"poemetto in prosa".
I soli personaggi costanti in un libro fatto di
descrizioni sono sospesi nelladimensione indefinita di questi intermezzi che, se vogliamo, costituiscono una sortadi cornice: sono l'imperatore dei tartari, Kublai Kan, e Marco Polo, i quali sembranodialogare fuori dal tempo e dallo spazio.
Immagina allora che un grande viaggiatore, il più grande della letteratura, MarcoPolo, presenti a Kublai Kan, imperatore dei Tartari, una serie di relazioni sui suoiviaggi in Estremo Oriente, ognuna delle quali è introdotta da un dialogo in corsivo frai due. Prende così corpo l'intera struttura dell'opera che, infine, comprendecinquantacinque descrizioni di città, tutte con nome di donna.
Questa digressione sulla struttura dell'opera si rende necessaria, poiché è il frutto diuna riflessione metanarrativa che rifiuta radicalmente la progressione obbligatadel romanzo.
Una lettura che segua l'ordine delle pagine può essere sicuramente intrapresa, ma è lastessa logica
compositiva del libro che lascia perplessi, e allo stesso tempo la solavista dell'indice lascia subito intendere che altri percorsi alternativi sono possibili.Altre letture trasversali potrebbero seguire l'ordine tematico delle rubriche, o le città che hanno lo stesso numero nel titolo.Quel che conta è che il lettore sia implicitamente invitato a rompere l'ordine di stampa, a creare un percorso di lettura alternativo e personale.D'altronde l'operazione di montaggio e ricomposizione non pregiudica la comprensione della vicenda, in quanto le descrizioni del regno che l'esploratore Polo fornisce al suo sovrano non seguono un ordine cronologico; esse sono piuttosto autonome, hanno "una natura logica, tematica, allegorica, anziché strettamente temporale".La vera rivoluzione riguarda questo rapporto particolare con il lettore, invitato a giocare con il libro, a montarlo e smontarlo. Il "romanzo" non vuolecatturarlonell'intrigo svelando la fabula un poco alla volta, un po' come per incantarlo, incatenarlo al libro del quale vorrà seguire appassionatamente gli sviluppi e i personaggi.
Non ci sono personaggi.
Non c'è fabula.
Non si racconta un viaggio avventuroso.
Le città invisibili non sono un racconto, né un'autobiografia.
Ne Le città invisibili non c'è quasi traccia di realtà, tutto è mentale, perfino lo spazio ed il tempo sono rarefatti, astratti.
Le città invisibili nascono dalla tensione calviniana tra gioco combinatorio e ricerca sulla realtà.
Le città sono sospese fuori dal tempo, benché nel libro, e in misura crescente verso la fine, appaiano segni del presente con le sue inquietudini.
Ad un primo sguardo il libro ci appare come la descrizione di città ipotetiche, che non corrispondono in nessun modo a città reali: sono infatti ipotesi sui possibili.
Rapporti tra la città e l'uomo e i suoi desideri, i suoi ricordi, i rapporti collettivi e le relazioni con i segni e il linguaggio. Sono città che vivono dentro la scrittura, combinazioni fantastiche, figure mentali, aldilà dei concreti rapporti storici e sociali e anche temporali. Sono modelli di conoscenza, che molto ci dicono dell'idea della letteratura di Calvino. La riflessione metaletteraria si fonda su un proposito radicalmente nuovo: mira a esplicitare e descrivere come gli esseri umani percepiscono il mondo esteriore e loro stessi, sovrapponendo le immagini esterne con i sogni, la memoria, l'astrazione. La cornice limita in parte questa sospensione, sappiamo che è stata costruita tardi, quando già gran parte delle città esisteva, è un modo per guidare il lettore e per inserire un discorso metanarrativo, che riflette sulle città. Le descrizioni di città vengono presentate come resoconti di Marco Polo.
KublaiKan e si susseguono secondo un ordine tematico e matematico. Tra le descrizioni di città corre il filo della cornice, che fornisce indicazioni sul loro possibile significato. Diciotto sono i dialoghi tra Marco Polo e Kublai Kan, che incorniciano nove capitoli, per un totale di cinquantacinque descrizioni di altrettante città, distinte in undici tipi.LA CORNICE: È fatta di dialoghi tra Marco e Kublai Kan. Da un lato abbiamo un imperatore che possiede un atlante del proprio impero, sul quale sono segnate tutte le città del suo regno, che però egli non conosce. Un imperatore che non conosce il proprio impero e che a tratti dubita del senso dell'impero stesso proprio perché non lo conosce. Per conoscerlo e sapere cosa succede nei suoi territori, si affida agli ambasciatori, che viaggiano in lungo e in largo e riferiscono all'imperatore cosa succede nei suoi territori. Marco è il suo ambasciatore preferito, anche se all'inizio
del loro dialogo non conosce la sua lingua e il loro dialogo è