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LETTERATURA ITALIANA CONTEMPORANEA
Ugo Foscolo
Niccolò Foscolo nacque nel 1778 a Zante. L’essere nato in terra greca rivestì molta
importanza per il poeta, che si sentì per tali origini profondamente legato alla civiltà
classica. L’isola natia rimase sempre nella sua memoria come simbolo di serenità
luminosa e gioia vitale, e fu cantata più volte nella sua poesia. Trasferitasi la famiglia a
Spalato, in Dalmazia, frequentò i primi studi presso il locale seminario. Conoscendo poco
la lingua italiana, si gettò negli studi, creandosi rapidamente una notevole cultura, sia
classica che contemporanea.
Politicamente era entusiasta dei principi della Rivoluzione francese ed assunse posizioni
fortemente libertarie ed egualitarie.
Dopo che Napoleone aveva ceduto la Repubblica veneta all’Austria con il trattato di
Campoformio, lasciò Venezia e si rifugiò a Milano. Il “tradimento” di Napoleone fu un
trauma che segnò profondamente l’esperienza di Foscolo. A Milano conobbe Parini e
strinse amicizia con Monti. In questi anni Foscolo cercò anche una collocazione sociale
che gli consentisse di svolgere il suo lavoro intellettuale. Nel 1808, grazie
all’interessamento di Monti, ottenne la cattedra di Eloquenza all’Università di Pavia.
Sembrava la sistemazione tanto sperata, ma la cattedra fu presto soppressa dal Governo.
Si trasferì a Firenze. Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia tornò a Milano, dove si rifiutò
di collaborare con gli Austriaci. Fuggì da Milano e andò in esilio prima in Svizzera e poi a
Londra. Negli ultimi tempi, ammalato e in miseria, fu costretto a nascondersi dai creditori
andando a vivere nei sobborghi più poveri di Londra. Morì nel 1827.
Foscolo si forma nel solco del gusto arcadico, ma presto i suoi orizzonti culturali si fanno
più ampi, accogliendo suggestioni dai classici latini, greci, italiani e dai moderni Parini,
Alfieri, Rousseau e Goethe.
Per quanto riguarda le idee Rousseau gli suggerì concezioni democratiche ed egualitarie;
derivò da lui il culto della natura come fonte di tutto ciò che è autentico e positivo. Vi era
quindi il presupposto dell’originaria, naturale bontà dell’uomo, che era stata poi corrotta
dallo sviluppo della civiltà. Più tardi Foscolo si staccò da questi principi, avvicinandosi alle
concezioni più pessimistiche di Machiavelli e Hobbes, che lo indussero a credere
nell’originaria malvagità dell’uomo, in costante conflitto con gli altri per sopraffarli e imporre
il proprio dominio.
A questa visione pessimistica si affianca il materialismo, che induce Foscolo alla
negazione del trascendente e della sopravvivenza dell’anima dopo la morte. Tutto il reale
non è che un moto di aggregazione di elementi materiali, che poi si disgregano per
formare altri corpi. Il mondo quindi è retto da una forza meccanica. La morte segna
l’annullamento totale dell’individuo. Ma la visione attiva ed eroica della vita che è propria di
Foscolo, lo spinge a cercare alternative, a recuperare la dimensione ideale dell’esistenza.
Un fondamentale valore alternativo che propone è la bellezza, di cui sono depositarie la
letterature e le arti. Ad esse è assegnato il compito di depurare l’animo dell’uomo, di
consolarlo dalle sofferenze e dalle angosce del vivere e di insegnargli il rispetto per gli altri
uomini. Hanno quindi una funzione civilizzatrice.
Le ultime lettere di Jacopo Ortis
E’ la prima opera importante di Foscolo. Una prima redazione fu parzialmente stampata a
Bologna del 1798, ma restò interrotta per le vicende belliche. L’opera fu ripresa da Foscolo
e pubblicata, con profondi mutamenti, nel 1802.
Si tratta di un romanzo epistolare: il racconto di costruisce attraverso una serie di lettere
che il protagonista scrive all’amico Lorenzo Alderani. Il modello a cui l’autore guarda è
soprattutto I dolori del giovane Werther di Goethe. Il nodo fondamentale dell’intreccio è un
giovane che si suicida per amore di una donna già destinata come sposa ad un altro.
L’opera è ambientata nell’Italia napoleonica, con i suoi tumultuosi rivolgimenti ed il
delinearsi del nuovo regime oppressivo degli stranieri. Il dramma di Jacopo è politico,
piuttosto che sociale: egli avverte la mancanza di una patria entro cui inserirsi dopo il
fallimento storico dei sogni patriottici e rivoluzionari. L’amore viene visto come una forza
positiva, è l’estrema illusione che trattiene il protagonista dal suicidio dopo la delusione
storica: svanita anche questa illusione, egli si uccide.
L’Ortis non è solo un’opera nichilistica; al suo interno troviamo una ricerca di valori positivi,
che possano permettere di superare le sofferenze: la famiglia, gli affetti, l’eredità classica e
la poesia.
Con quest’opera Foscolo riesce a cogliere acutamente i problemi che si pongono alle
generazioni italiane post-moderne e a trasferire in Italia un modello di romanzo moderno.
Tuttavia in esso non vi è un interesse narrativo a costruire un intreccio di eventi, ad
evocare ambienti sociali, ma prevale la componente lirica. L’opera appare come un lungo
monologo, in cui l’eroe si confessa e si abbandona ad una lunga serie di meditazioni
filosofiche e politiche.
E’ scritta in una prosa aulica, con una sintassi complessa ed una linea di pensiero
caratterizzata da antitesi, simmetrie e continue ellissi.
Le Odi e i Sonetti
Foscolo cominciò a scrivere sin da ragazzo odi, sonetti, canzoni e altre composizioni di
vario metro. Il poeta stesso fece una scelta rigorosa di tutta questa produzione,
pubblicando nel 1803 le Poesie, che comprendevano solo due odi e dodici sonetti.
Le due Odi sono A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All’amica risanata, entrambe con
tendenze neoclassiche. Il tema centrale è il vagheggiamento della bellezza femminile,
trasfigurata attraverso la sovrapposizione delle immagini di divinità greche; ricorrono
continui rimandi mitologici; il lessico è aulico e sublime. A Luigia Pallavicini conserva un
carattere di omaggio settecentesco alla bella donna, mentre All’amica risanata vuole
proporsi come discorso filosofico sulla bellezza ideale, sul suo effetto di purificare le
passioni e rasserenare l’animo degli uomini.
I Sonetti sono più vicini alla materia autobiografica. La maggior parte è infatti caratterizzata
da un forte impulso oggettivo. Tra i dodici ne spiccano tre: A Zacinto, Alla sera e In morte
del fratello Giovanni. In essi la classica forma del sonetto è reinventata in modi originali,
sia nella struttura sintattica che metrica; vengono ripresi i temi centrali dell’Ortis.
Dei Sepolcri
I Sepolcri sono un poemetto (chiamato “carme”) in endecasillabi sciolti, sotto forma di
epistola poetica indirizzata all’amico Ippolito Pindemonte. L’opera riprende una
discussione avuta con il destinatario a proposito dell’editto di Saint-Cloud, con cui si
imponevano le sepolture al di fuori delle mura cittadine e si regolamentavano le iscrizioni
sulle lapidi. Pindemonte sosteneva il valore della sepoltura, mentre Foscolo aveva negato
l’importanza delle tombe, poiché la morte produce la totale dissoluzione dell’essere.
Anche il carme ha al centro il tema della morte, ma viene superata l’idea che essa sia
semplicemente un “nulla eterno” e le si contrappone l’illusione di una sopravvivenza dopo
di essa.
Questa sopravvivenza è garantita dalla tomba, che conserva il ricordo del defunto presso i
vivi. Assume quindi un valore fondamentale nella civiltà umana: è il centro degli affetti
familiari e dei valori civili.
Data la presenza di queste tematiche l’opera potrebbe essere paragonata all’antecedente
poesia cimiteriale, ma non viene collocata in tale ambito in quanto è essenzialmente
poesia civile. Il carme si presenta come una meditazione filosofica e politica, non esposta
in forma argomentativa, ma mediante una serie di figurazioni e miti. Il discorso ha una
struttura rigorosa ed armonica: poiché il poeta non vuole parlare al sillogismo del lettore
ma alla fantasia ed al cuore, i passaggi da un concetto all’altro, da una figurazione all’altra,
avvengono in forma ellittica, lasciando nell’implicito molti passaggi intermedi.
La prospettiva spazio-temporale è mossa: si succedono spazi aperti e spazi chiusi, si
passa dal mondo terrestre all’aldilà, dall’età contemporanea al Medioevo. Il linguaggio è
estremamente elevato ed aulico; il lessico rimanda alla tradizione classica; la parola è
sempre piena di echi e suggestioni.
Le Grazie
Al progetto poetico delle Grazie Foscolo lavorò a più riprese, per un lungo arco di anni,
senza mai portarlo a compimento. Il progetto cominciò a prender forma durante il
soggiorno a Firenze nel 1812-13. Il progetto originario di un inno unico, si è poi articolato
in tre inni, dedicati rispettivamente a Venere, dea della bella natura, a Vesta, custode del
fuoco eterno che anima i cuori gentili, e a Pallade, dea delle arti consolatrici della vita e
maestra degli ingegni. Le Grazie sono dee intermedie tra il cielo e la terra, che hanno
avuto il compito di suscitare negli uomini i sentimenti più puri ed elevati attraverso il senso
della bellezza.
Il primo inno narra la nascita di Venere e delle Grazie dal mar Ionio. Gli uomini subiscono
l’incanto della bellezza e percepiscono per la prima volta l’armonia dell’universo,
disponendosi a coltivare le arti civili.
Nel secondo inno la scena è collocata sui colli di Bellosguardo, in cui il poeta immagina un
rito in onore delle Grazie celebrato da tre donne gentili che rappresentano la musica, la
poesia e la danza.
Il terzo è collocato nell’isola di Atlantide, inaccessibile agli uomini, dove Pallade si rifugia
quando le loro passioni ferine scatenano la guerra. Atlantide rappresenta un mondo ideale
di suprema armonia, lontano dai conflitti della storia umana. Qui Pallade fa tessere ad una
schiera di dee minori un velo che difenda le Grazie dalle passioni degli uomini.
I mutamenti di scena fra i tre inni rappresentano lo spostamento delle Grazie dalla Grecia
all’Italia.
Il poema è incentrato attorno all’idea della bellezza serena e dell’armonia.
Dal punto di vista stilistico e figurativo le Grazie si collegano ai presupposti delle odi. Vi è
infatti la ricerca di un’estrema armoniosità musicale del verso, a cui si aggiunge una
grande forza di suggestione visiva: la poesia tende ad evocare immagini vivide. Con
queste figurazioni prendono corpo i concetti; Foscolo mirava ad una poesia allegorica