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Basa tutto sui luoghi turistici, che sono rimasti tali.
Corrado Alvaro
Arriva dal sud, da un piccolo paesino della Calabria (San Luca), figlio di gente molto modesta e
vive nel contesto dell’Italia fascista. Si confronta con una Turchia molto diversa (non impero
ottomano). Siamo nella repubblica turca guidata da Ataturk, il fondatore della Turchia moderna.
Il suo libro attraversa l Turchia. Non gli interessa solo Costantinopoli, ma vuole conoscere
anche l’interno, a partire dalla nuova capitale: Ankara. Lo scrittore è costretto ad abbandonare
tutti gli stereotipi orientalisti. Descrive la Turchia in un momento di transizione, durante un
processo di modernizzazione che ha seguito varie tappe. “Viaggio in Turchia”:
Brano è molto lontano nel tempo, è preso da un testo di Corrado Alvaro dedicato alla Turchia
del 1932. Racconta il lungo viaggio che Alvaro compie per raggiungere Ankara, segnato dalla
monotonia del paesaggio essenzialmente desertico, dove sono già presenti segni di un
ammodernamento, che pare in alcuni casi ingiustificato. Si trova a percorrere strade appena
create quasi vuote, stazioni create nel bel mezzo del nulla. È un paesaggio privo di figure
umane, fino all’arrivo ad Ankara, città che desta stupore in Corrado Alvaro. L’atteggiamento è
piuttosto di stupore, non di critica, nei confronti di questa città che viene completamente
reinventata. Ha la funzione rappresentativa dell’intera nazione. Alvaro testimonia il fatto che
non sono più visibili gli elementi che i viaggiatori del passato hanno descritto di questa città: la
parte antica non esiste più, è stata cancellata dalla città pseudo occidentale che ha ridisegnato
l’assetto urbano, di stampo germanico. Dovrebbe rappresentare la cittadella del potere, con
una sua unità e dei confini ben segnati che la separano nettamente dal paesaggio anatolico
che è il luogo del selvaggio, invece vi è una certa continuità e rimane una città aperta. C’è
questa continua copresenza contradditoria di vecchio e nuovo, archeologia e modernità.
Gli italiani in Egitto
L’Egitto continua ad essere molto visitato dagli italiani proprio perché abitato dagli italiani. Sono
esuli politici o professionisti, come lo zio medico della Nizzoli, chiamati dal governo egiziano.
Essi vengono da vari ambiti di lavoro. Dal 1868 la colonia italiana conosce il massimo picco di
presenze perché abbiamo la costruzione del canale di Suez. Continuano a lavorarci dal 1870,
quando si ha la supremazia inglese e francese. Gli italiani appoggiano le posizioni
indipendentiste degli egiziani, perché risentono ancora delle lotte per liberarsi dello straniero e
perché la presenza inglese e francese è molto scomoda. 1914 protettorato inglese sull’Egitto:
inglese e arabo come lingue ufficiali. 1922 scoperta della tomba di Tutankhamon. Si creano
degli altri elementi di fascino: luogo in cui convivono vita e morte, temi di tipo superstizioso
legati alle maledizioni dei faraoni. Ciò da abito e creare per esempio il filone della mummia
(1932 film “La mummia”), che contribuisce ad un rilancio turistico dell’Egitto. Nel frattempo il
governo italiano cerca di porre un rimedio al fatto che i siti archeologici sono stati depredati per
oltre un secolo 1924 abolizione del diritto di sfruttamento degli scavi per i finanziatori stranieri.
Il processo di indipendenza dell’Egitto è molto travagliato; nonostante il trattato di Sevrès che
proclama il regno indipendente d’Egitto e nonostante la Conferenza del Cairo che stabilisce
quale debba essere l’equilibrio tra l’Egitto e le altre nazioni mediorientali, gli inglesi continuano
a controllare la politica egiziana. Saad Zaglhoul nel 1924 è primo ministro egiziano, fortemente
indipendentista, viene estromesso dopo l’uccisione del diplomatico inglese Lee Stark, in quanto
accusato di essere il mandante, anche se non c’erano prove. Ciò fa nascere in Europa un
sentimento antibritannico molto forte. Non è un caso che questa sensibilità venga portata
avanti innanzitutto dagli artisti e dai letterati. 1922-32 esposizioni coloniali di Vincennes e
Marsiglia, in cui le nazioni europee mostravano ricchezze provenienti dalle colonie e in queste
occasioni ci sono le critiche dei surrealisti, che sostengono che l’esotismo (costruzione
dell’immaginario sull’oriente)sia stato costruito per legittimare l’opera di colonizzazione. Esce
l’importante libro di Leiris “L’Afrique fantome”.
Giuseppe Ungaretti
Nasce in Egitto nel 1888. Ha una formazione cosmopolita, mandato in scuole francesi. Nel
1931 si trova a tornare in Egitto come giornalista, inviato speciale della “Gazzetta del Popolo”
di Torino. Deve scrivere dei reportage, poi pubblicati in una rubrica apposita. In seguito
vengono raccolti dallo stesso autore e pubblicati prima ne “Il povero della città”. c’è una chiave
evocativa, il viaggio in Egitto è riscoperta che passa attraverso l’evocazione, ovvero il narratore
richiama alcune cose che gli sono note e nei confronti delle quali ha un atteggiamento di tipo
affettivo. Siamo nell’Italia fascista e torna in Egitto, ma la prospettiva che propone è di tipo
poetico, ovvero il suo interesse è volto al paesaggio desertico, che lo affascina, al Nilo,
all’Egitto archeologico, mente rimane molto perplesso sull’Egitto che si sta modernizzando ed
esprime più volte un atteggiamento di rifiuto verso questo cambiamento. Si alternano a pagine
liriche e poetiche, a momenti in cui Ungaretti esalta l’Egitto moderno creato dai coloni italiani
(servizio postale, dei treni ecc). Insiste nel voler denunciare questo processo di
ammodernamento che è un abbruttimento, perché gli egiziani stanno compromettendo il
patrimonio artistico ereditato dagli antichi faraoni. Vi è anche una contaminazione delle
tradizioni, che si declinano nella quotidianità. Secondo Ungaretti non esiste più un Egitto
autentico, che sappia valorizzare il suo grande passato. È secondo lui un luogo che ha perso
autenticità e pertanto non è più un luogo vivo. Ciò esprime una cultura decadente nei confronti
della quale Ungaretti esprime sempre un sentimento quasi di sdegno. Stereotipi: popolazione
egiziana descritta sempre con analogie zoomorfe.
Il Giappone
Nella seconda metà del 900 c’è una sorta di tabù fino agli anni 90 nei confronti del Giappone.
Roberto è una parola formata da 3 sillabe che corrispondono alle iniziali delle tre capitali
dell’alleanza Italia-Germania-Giappone. Tabù anche perché mentre Italia e Germania sono
sconfitte tanto quanto il Giappone, il totalitarismo si questi due alleati europei scompare,
mentre in Giappone resta l’imperatore ancora circonfuso di un’aurea di divinità e quindi meno
comprensibile agli occhi degli europei. 1953 data della vera scoperta del Giapponearrivano le
prime navi americane. Siamo nell’epoca Meiji, il famoso disgelo giapponese: i porti si aprono il
mondo e vi è l’interesse a sottoporre il Paese ad un grande processo di modernizzazione
secondo il motto fokoku
kyohei=arricchire lo stato,
rafforzare l’esercito. Vuole
inserirsi nel contesto
internazionale come una vera
potenza temibile e rifondare il
mito antico del Giappone ricco.
Si diffonde questa idea del
Giappone come finalmente una
terra raggiungibile. Anche Melville in Moby Dick parla del Giappone, modello inaccessibile agli
europei. Subito dopo l’apertura nasce un interesse vivo per l’arte giapponese, conosciuta
soprattutto mediante la lettura dei manga. Hokusai è uno dei grandi maestri , opera all’inizio
dell’800. L scoperta dei manga avvia una vera e propria moda che prende il nome di
japonisme, nome francese in quanto moda esplosa in Francia. In questa fase interessano:
- La letteratura Parise cita scrittori a lui contemporanei di romanzi. Soprattutto interessa la
poesia perché la poesia europea si sta rinnovando, vuole uscire dalla tradizione e l’haiku è
una novità, e altra forme come il tanka e il renga. Si tratta di poesia quasi epigrammatica.
L’haiku si sviluppa soprattutto nel 700 ed interessa molto perché: l’haiku è soprattutto
espressione di illuminazione istantanea
e temporanea e ci mette a confronto
con l’oggetto, che viene visto in maniera
non riflessiva. Mostra in maniera
apparentemente oggettiva gli oggetti,
ma nello stesso tempo come appaiono
nella realtà e come risuonano nella
mente dell’osservatore. L’haiku infatti è certamente illuminazione che nasce dalla filosofia
zen.
Questi testi vengono letti sempre francesi, perché è della Francia che si diffondono e dagli
anni 70 vengono pubblicate le prime antologie. Quella più celebre è i “Poemi della Libellula”
di Gautier, la quale prende gli haiku della tradizione, li traduce in francese in modo molto
libero avvalendosi di Kinemochi come consulente linguistico. La lingua e la grafica si
adattano all’immaginario francese.
- L’arte figurativauna scoperta ancor più clamorosa, anche perché in Itali la letteratura
giapponese viene letta in francese e solo a partire dal 1915 circa gli italiani hanno il
coraggio di tradurre testi della letteratura giapponese. A diffondere l’arte per il gusto
giapponese in Francia sono soprattutto i fratelli de Goncourt, i quali registrano il
progressivo affermarsi del gusto nipponista. “L’arte non è una sola, o piuttosto non c’è una
sola l’arte, l’arte giapponese è grande quanto quella greca” =l’arte greca viene per la prima
volta affiancata ad un’arte non europea”. L’impatto che ha l’arte giapponese è rivoluzionario
e senza precedenti. L’interesse va soprattutto a questo genere artistico dell’ukiyo-
e=immagine del mondo fluttuante, ovvero incisioni che esprimono prevalentemente la vita
quotidiana giapponese, trattata con un gusto a volte quasi caricaturale. L’arte giapponese
risulta così interessante perché pare costruita su un modello estetico molto vicino a quello
che gli artisti dell’epoca stanno cercando. L’arte dei paesi mediterraneo è stata interessante
nella prima metà dell’800 è stata interessante in quanto arte figurativa, mentre ora si cerca
l’essenza dell’immagine, una semplificazione, che può essere ottenuta in diversi modi.
L’oggetto non è più parte di un’immagine complessa, ma è isolato dal suo contesto ed
esaltato nella sua bellezza unica. L’arte del dettaglio, circondato di vuoto, che