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IL FISCHIO
potrebbe fare a meno di richiedere la presenza di Dio. Ontologia negativa, invece nega provoca Dio, lo stuzzica. E’
inutile che io cerchi l’altro, l’altro non c’è, è un percorso che si richiude su se stesso.
(parla il guardacaccia) —> è Caproni in realtà.
la paura spinse, punse il nostro animo - Eschilo prometeo 183
Non credo che questo sia il fischio del bracconiere.
C’è troppa nebbia.
Comunque (qui son le carte)
Finite voi la partita.
Io (potete continuare a bere anche per me)
conosco, né posso esimermi,
quello ch’è il mio preciso dovere.
Qualsiasi richiamo nel bosco oda insolito,
uccello o altro agente che sia,
devo andare a vedere.
Porgetemi per cortesia,
è lì a quel chiodo,
il fucile ed il mio cartucciere.
Intanto (scusate: ci vuole, col freddo che m’aspetta)
Lasciate ch’io mi versi ancora
-ultimo- quest’altro bicchiere.
Nel vino, a saper ben vedere, c’è scienza – c’è illuminazione.
Ma voi, senza una ragione al mondo,
voi perché ora ch’io sono pronto,
e il cuore già ho fatto allegro,
ancora voi mi state a guardare a quel modo,
quasi con l’aria di chi sospetta qualcosa,
né si vuol pronunciare?
Vi vedo, o m’inganno, tremare,
agli angoli, la bocca?
Amici, posso anche sbagliare;
ma questo, comunque, vi dico,
e una volta per tutte:
Temere fuori il nemico
È cosa, prima ancora che vile,
a parer mio troppo sciocca.
Porgetemi anche le cartucce e rimettetevi a bere.
Dovreste almeno sapere
che quando s'è avuto una piuma sul cappello,
e in sorte stivali e gabbana verde,
per non dir altro si perde
il tempo, pensando alla morte.
Piuttosto ( ne parleremo insieme, qui, al mio rientro)
ficcatevi bene in testa quanto ancora vi dico;
che vale temere il nemico fuori,
quand'è già dentro?
Al diavolo perciò la paura,
giacché non serve, Tanto,
in tutti noi non resta -sola-
che la certezza già da tempo in me sorta:
chi fabbrica una fortezza intorno a sé,
s'illude quanto ogni notte chiude,
a doppia mandata la porta.
Lasciatemi perciò uscire.
Questo Io vi volevo dire.
Per quanto siano bui gli alberi,
non corre un rischio più grande di chi resta,
colui che va a rispondere
al fischio della foresta.
ANDANTINO
Così di rado l’ho visto
E, sempre, così di sfuggita.
Una volta, o m’è parso,
Fu in uno dei più bui
Cantoni d’un bar, al porto.
Ma ero io, era lui?
C’era un fumo. Una folla.
A stento, potei scorgerne il volto
Fisso sulla sua birra svogliata.
Teneva la mano posata
Sul tavolo, e piano
Piano batteva le dita
Sul marmo – quelle sue dita
Più lunghe, pareva, e più magre
di tutta la sua intera vita.
Provai a chiamarlo. Alzai
Anche un braccio.
Ma il chiasso.
La radio così alta
Cercai,
A urtoni, d’aprirmi un passo
Tra la calca, ma lui
(od ero io?) lui
già s’era alzato: sparito,
senza che io lo avessi incrociato.
Mi misi, muto, a sedere
Al suo posto, e – vuoto –
Guardai a lungo il bicchiere
Sporcato ancora di schiuma:
Le bollicine che ad una
Ad una (come nella mia mente
Le idee) esplodevano
Finendo – vuote – in niente.
Restai lì non so quanto.
Mi scosse la ragazza del banco,
E alzai il capo. Ordinai.
Poi, anch’io mi eclissai.
C’è un realismo nelle poesie di Caproni e invece viene meno però la possibilità di risposta, si pone
il problema della crisi dell’io, difficoltà di descrivere con parole le cose: però Caproni fa di più, c’è il
realismo dei luoghi (spesso pub-locande). Un nuovo realismo, abbiamo una concretezza, ma
appena arriviamo al congedo del viaggiatore cerimonioso, passiamo a qualcosa di diverso.
Puntare a qualcun altro non vuol dire per forza superare la solitudine. Nulla di più colloquiale del
Congedo del viaggiatore cerimonioso. Era pensato come una trasposizione teatrale o al cinema.
Lo spazio, con i suoi paesaggi scarni e paradigmatici (il bosco, il fiume, il vallone, la gola, la siepe,
il muro, i sassi, i viottoli etc.), con i suoi interni dalle linee precise e schematiche (la latteria,
l'osteria, la stanza dello scrittore), scandagliato e rovistato dal poeta, dalle sue controfigure e alter
ego, nonché dai suoi personaggi, ora si riempie di silenzi violenti ed esplosivi, o di parole, suoni,
segnali, gesti, rantolii, che cercano di rimettere in gioco il discorso sul niente, così come conclude
Un niente ("Un soffio... // (Non è paura.) // Di tutto l'avvenimento, in mente / appena // (a pena) //
un niente"). In Il vetrone il poeta ricorda il padre dalle parole e dai gesti, ma è il silenzio finale di
una parola, la sua cancellazione, o rimozione, che ci fa tornare indietro nel testo a ripescare tra le
possibili rime quelle mancanti. La parola cancellata pare essere "morire", che, non è casuale, rima
con "dire" ("Non c'è più tempo, / diceva, non c'è / più un interstizio - un buco / magari - per dire /
fuor di vergogna: "Babbo, / tutti non facciamo altro / - tutti - che "): il poeta, per restituire
l'impossibile conversazione con il padre con un'immagine, visualizza proprio il termine dell'assenza
definitiva, cioè la morte, cancellandone l'immagine tipografica, oggettivando la spaziatura. Così la
morte, ontologia negativa per eccellenza, già parola, oggetto, ora non potendo essere identificata,
né pronunciata, né visualizzata, diventa silenzio, silenzio dei tasti sul foglio: essa è quel Poco che
noi uomini, se non vogliamo parlarne, possiamo sottintendere, e non è il Nulla.
LE PAROLE
Le parole. Già
Dissolvono l’oggetto.
Come la nebbia gli alberi,
il fiume: il traghetto.
Lettura di “Litanìa” di Caproni, poesia che chiude il passaggio di Enea
Il passaggio di Enea: sentimento di esilio, come dal punto di vista di chi guarda da lontano la città
amata. Visivamente è particolare come poesia, poiché abbiamo in ogni strofa 4 versi una in tondo
e l’altra in corsivo una in tondo e l’altra in corsivo. Poi in due versi diversi troviamo un’espressione
altamente emotiva e l’altra completamente descrittiva. Cita lungo il testo il suo sentimento di
essere turbato per esempio. E’ come se non osasse raccontarla a parola aperta e la mettesse lì
con i versi. Rima baciata. Chiude appunto il passaggio di Enea, raccolta che comprende le poesie
dal 1943-1955 raccolta più tragica perché racchiude la seconda guerra mondiale, si apre con Alba,
perdita della situazione presente, personaggio che non sa dove si trova, luoghi annebbiati sfumati,
non riconosce se stesso, deve inseguirsi, gli anni tedeschi.
LE STANZE DELLA FUNICOLARE è una sezione compatta, esperienza personale che diventa
allegoria della vita di tutti. Cosa è la vita? qualcosa che poi porta alla morte.
3. Epilogo Era una piccola porta (verde) —> nostalgia del luogo che rimane luogo dell’anima.
Lamenti senza nessuna enfasi. Le rime in ARE sono quelle più facili in poesia e sono proprio
quelle che Caproni preferisce (e ce lo dice Ne il seme del pianto). Il monumento di Enea ha ispirato
il poeta a scrivere il poemetto.
e qui si arriva a IL PASSAGGIO D’ENEA
sonorità aspre, sonorità che distruggono
1. Didascalia
3. Epilogo
Sentivo lo scricchiolio, —> utilizzo dell’ “io” in parole come scricchiolio
nel buio, delle mie scarpe:
sentivo quasi di talpe
seppellite un rodio
sul volto, ma sentivo
già prossimo ventilare
anche il respiro del mare.
In questa prima strofa lui ricorda e ci porta a delle sensazioni come il buio, il silenzio e il piccolo
suono, poi ci dice che è a Genova perché è la città del mare.
Era una sera di tenebra,
mi pare a Pegli, o a Sestri.
Avevo lasciato Genova
a piedi, e freschi
nel sangue i miei rancori
bruciavano, come amori.
Ricordo sfocato segnato con il “mi pare” che indica l’impossibilità di radicarsi in un luogo fisso,
preciso ed è la vita che gli rende tutto sfocato.
M' approssimavo al mare sentendomi annientare
dal pigolio delle scarpe:
sentendo già di barche
al largo un odore
di catrame e di notte
sciacquante, ma anche
sentendo già al sol, rotte,
le mie costole, bianche.
Avevo raggiunto la rena,
ma senza avere più lena.
Forse era il peso nei panni,
dell' acqua dei miei anni.
Italo Calvino commenta: Due aspetti accattivanti del poeta Caproni sono: l’elegia della vita
quotidiana e la cantabilità facile si muovono l’una e l’altra accanto al buio. Non sono poesie, sono
Elegie funebri della vita! rarefazione dell’atmosfera e del ritmo. Il segreto che Caproni ci comunica
non è il segreto del nulla, ci dimostra che ciò che il nulla si contrappone, non è il tutto ma il poco.
Ha tolto da sé la dimensione Metafisica, il tutto del Piacere per esempio dietro ha il vuoto
(D’Annunzio è Nichilista). Il nulla a cui si contrappone c’è il poco ovvero il poco senso della vita,
che anche se è poco ha delle radici salde alla quale aggrapparsi.
Pasolini invece lo legge troppo legato alla capacità di trasferire la realtà alla pagina. Certo Caproni
fa questo ma non solo questo.
Nuclei tematici: la madre, il viaggio, la città. Tema del viaggio allegorico perché arriva alla
disperazione calma, senza sgomento.
Enrico Testa - Dopo la Lirica - Enaudi
Caproni preferisce su una pronuncia oracolare, una poesia che comunica, ricerca ed interroga la
contraddittorietà dell’esistenza. Poesia di ricerca perché si pone delle domande di continuo. Versi
precisi di dettagli, di esperienza del mondo e di coscienza del nulla. Nel 1956 Caproni raccoglie ne
Il passaggio di Enea, la sua produzione giovanile. Trattamento tra realistico e onirico degli spazi
urbani di Livorno, nel Seme del Piangere (la città della nascita) e di Genova (la città più amata).
Quando si accenna a Genova (in Litania) è la protagonista del Passaggio di Enea per la sua
natura dolente tortuosa e verticale. Già la Litania riassume quest’immagine spaziale e del tempo
storico in cui viene collocata la città già quando era stata lasciata dallo scrittore. Da ogni verso di
questa poesia (in morte) si possono ricav