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V. LA PROSA
1. Da Carlyle ad Arnold: il ruolo critico dell’intellettuale
L’atteggiamento dell’intellettuale vittoriano sente la responsabilità di farsi interprete
autorevole dei tempi, soprattutto in chiave critica e spesso con un atteggiamento duplice
- di chi cerca di capire e analizzare il tempo presente - e di chi guarda con nostalgia al
passato rurale e artigianale, che l’industrializzazione del paese ha spazzato via. La
“questione dell’Inghilterra” è affrontata in termini problematici, come nell’introduzione a
Culture and Society (1958) di Raymond Williams, che indica nella trasformazione del
significato di cinque termini chiave (industria, democrazia, classe, arte e cultura) il senso
più profondo del cambiamento, il cui epicentro è nel periodo vittoriano. Proprio il periodo
vittoriano, infatti, vede emergere - con la crisi della formazione teologica, umanistica e
classicheggiante, fino ad allora fornita dai grandi centri universitari di Cambridge e di
Oxford - le specializzazioni intellettuali, che dividono il critico letterario dallo scienziato, lo
studioso di estetica dallo storico. Il dibattito innescato negli anni Settanta da Matthew
Arnold (1822-1888), difensore della letteratura e dell’arte in generale, come critica della
vita e da Thomas H. Huxley (1825-1895), il quale afferma la necessità di un rinnovamento
pedagogico che valorizzi l’istruzione scientifica, è il segno più evidente della
rivendicazione delle “due culture” in una società più complessa e quindi portata alla
specializzazione dei saperi. L’impegno critico dell’intellettuale vittoriano, però, abbraccia
anche la sfida lanciata nella prima metà del secolo da Thomas Carlyle (1795-1881) nella
sua polemica contro l’inaridimento spirituale prodotto dalle macchine che si evince in
Signs of the Times (1829), in Chartism (1839) e in Past and Present (1843), fino a sfociare
nei Latter-Days Pamphlets (1850), in cui il pensatore scozzese abbandona ogni speranza
di una democrazia effettiva, per l’imbarbarimento delle masse. Poeta e profeta, Carlyle si
affida a un linguaggio aspro, pieno di richiami biblici, contrario a ogni purismo dello stile.
John Stuart Mill (1806-1873) usa invece strategie più pacate e razionali quando rivendica i
diritti fondamentali dell’individuo nel trattato On Liberty (1959), scritto con la
collaborazione della moglie e poi On the Subjection of Women, pubblicato nel 1869. In
entrambi i casi, aspetti del rapporto tra gli individui e la società, fino ad allora trascurati o
sottovalutati, si impongono all’attenzione del pubblico, grazie al tono rigoroso del
saggista. Nell'Autobiography (1873), Mill affronta il problema della severa educazione
impartitagli dal padre James, a sua volta seguace del filosofo utilitarista Wordsworth. La
causa del progresso e i successi del buon governo inglese vengono esaltati dal maggior
storico Whig dell’epoca, Thomas Babington Macaulay (1800-1859) in The History of
England (1948 e 1855), che illustra il trionfo dell’epos liberale. Al di là delle diverse
interpretazioni, la storia dell’Inghilterra, ricostruita da Macaulay e da altri studiosi
vittoriani, viene vista come percorso di una nazione destinata, fin dai tempi di Elisabetta,
alla gloria. Meno ottimista è l’approccio al presente di Matthew Arnold che
nell’appassionato saggio Culture and Anarchy (1869), difende gli ideali di un’alta visione
educativa, capace di salvaguardare i più nobili principi della tradizione umanistica,
dall’aggressione dei “filistei” (la borghesia ottusa e materialistica), dei “barbari” (gli
aristocratici, eredi di una cultura esteriore) e della “plebe” (populace), il proletariato
indisciplinato. La prosa di Arnold già guarda a quella crisi di autorità della clerisy (il ceto
intellettuale) che, con l’avanzare degli ultimi decenni del secolo, finirà per sancire la
spaccatura tra l’artista decadente e la massa dei fruitori della produzione letteraria.
2. La prosa scientifica
Thomas Henry Huxley divulga le teorie darwiniane, propone ai suoi lettori la supremazia
delle scienze naturali, che prendono il posto della teologia e della filosofia. A lui dobbiamo
le conferenze degli anni Settanta raccolte in Science and Culture (1881), che sostengono
un nuovo modello di istruzione scientifica, senza trascurare i valori letterari, che però
Huxley identifica nelle tre più grandi letterature del mondo: l’inglese, la francese e la
tedesca, bollando come superfluo lo studio del greco e del latino. Nei suoi scritti Charles
Darwin (1809-1882) raggiunge un equilibrio tra il rigore dell’osservazione della natura e
dell’elaborazione teorica dei dati e la volontà di comunicare ai lettori una testimonianza
personale, un processo intellettuale appassionato e curioso.
Il linguaggio scientifico si diversifica, ma si carica anche di implicazioni ideologiche, come
risulta evidente in The Silurian System (1839) di Roderick Impey Murchison, che studia la
conformazione geologica della terra come prova dell'antichità dell'Inghilterra e quindi,
della sua supremazia sulle altre nazioni. Anche lo sviluppo degli studi antropologici è
inquinato dalla volontà di dimostrare con rigorose ricerche sul campo la superiorità
intellettuale della razza bianca. Proprio l'antropologia consente di arrivare a una
definizione di cultura e apre grandi spazi all'immaginazione, rifiutando una visione
puramente incentrata sulla civiltà occidentale dei costumi e delle tradizioni etnografiche.
3. Viaggiatori e viaggiatrici imperiali
La figura più emblematica del viaggiatore vittoriano è certamente quella di Richard
Burton (1821-1890), in cui convivono almeno due nature: quella dello studioso e
poliglotta orientalista e quella dello spregiudicato esploratore, che visita ogni angolo della
terra, arriva fino alla Mecca, in Arabia, travestito da fedele musulmano e penetra fino al
cuore dell’Africa alla ricerca delle sorgenti del Nilo. I suoi resoconti combinano erudizione
e vivacità dell’esperienza diretta. Traduttore delle Mille e una notte negli anni Ottanta,
Burton è personaggio esuberante, guardato con ammirazione e sospetto dalla cultura
dell’epoca. Più vicino all’ideologia dell’Impero è Henry Morton Stanley (1802-1904), che
acquista fama rintracciando all’interno dell’Africa il missionario scozzese Livingstone. Egli
si rappresenta nelle sue opere (How I Found Livingstone, 1872; Through the Dark
Continent, 1890) come un narratore capace e un leader valoroso, coniugando
sensazionalismo avventuroso e retorica dell’avventura. Sempre attento al suo pubblico,
alla fine di How I Found Livingstone, egli si rivolge al caro lettore e si congeda
affettuosamente da lui, con cui ha condiviso sofferenze e successi.
Assai più problematica e ironica è la versione dei loro viaggi in terre lontane che danno un
folto gruppo di scrittrici, le quali inseriscono nella loro narrazione il discorso della propria
singolare alterità, accentuata quando l’impresa non è compiuta al fianco di un marito,
nella solitudine della propria condizione di “donna mancata”, com'era secondo i canoni
dell’epoca la zitella, che osa competere con il mondo mascolino degli esploratori della
wilderness. Accanto a Isabella Bird (1831-1904), che viaggia dall’Asia alle Americhe,
raffigurandosi come un’amazzone in groppa al suo destriero, o ad Amelia Edwards
(1831-1892), affascinata dalla mescolanza tra la moderna civiltà musulmana e le
meraviglie dell’antichità che caratterizzano l’Egitto, dove i trionfi della tecnica occidentale
sono stati celebrati con l’apertura del canale di Suez nel 1869, occorre ricordare la
testimonianza di Mary Kingsley (1862-1900) perchè alla sua prosa si deve il resoconto,
animato da un sottile umorismo, dei viaggi compiuti nella zona centrale dell’Africa
occidentale, pubblicato come Travels in West Africa (1897). In parte motivato dalla serietà
delle intenzioni scientifiche dell’autrice, il libro si configura come una sorta di prova
interiore, durante la quale l’osservazione spesso divertita dei costumi dei cannibali Fan o
della grandiosità della foresta tropicale, si volge a indagare sulle proprie reazioni
psicologiche o sulle proprie debolezze umane. Travels in West Africa ricostruisce dunque
un viaggio introspettivo che è anche rivendicazione del diritto delle donne a intromettersi
nell’indagine naturalistica e nel dibattito coloniale.
4. L’autobiografia
Le autobiografie vittoriane rispondono a uno schema ricorrente: si parte dal momento
della formazione giovanile e si segue il percorso che culmina nell’impegno e nel successo
nell’ambito della comunità, a condizione di superare prove più o meno terribili e dolorose.
Talvolta l’autobiografia può rispondere a un preciso intento di autodifesa, che è la
confessione pubblica delle proprie scelte, come nel caso di Apologia pro vita sua (1864) di
John Henry Newman (1801-1890), il futuro cardinale, la cui conversione al cattolicesimo
nel 1845 aveva destato grande scalpore. Spesso nell’autobiografia si insinua la presenza
della morte, ed è appunto nella convinzione di essere vicina alla fine per una grave
infermità che Harriet Martineau (1802-1876), impegnata nella lotta per l’emancipazione
femminile, scrive nel 1855 la sua Autobiography. Più sobrio e antieroico è Charles Darwin
nell'Autobiography, scritta nel 1876 e rielaborata in seguito per essere pubblicata
postuma. Gli eventi privati e pubblici sono riepilogati concisamente con distacco, senso
della misura e con una rassegnata e quasi ironica accettazione del proprio decadimento
intellettuale.
Movimentate, a tratti polemiche e a volte creative, sono le autobiografie di artisti, tra cui
possiamo annoverare anche Praeterita di John Ruskin (1819-1900) comparsa nel 1886,
dove prevale la storia dell’educazione artistica e della formazione critica, ma non manca
la presenza di sensuali figure femminili o la cronaca di viaggi memorabili, che portano
Ruskin a contatto con la natura delle Alpi e, nello stesso tempo, con lo splendore di opere
pittoriche e architettoniche. Ancora del 1886 sono le Confessions of a Young Man
dell’irlandese George Moore, in origine scritte in francese e in seguito arricchite e
modificate, in cui Moore mescola spregiudicati giudizi letterari e la ricostruzione del
proprio percorso di artista anticonformista, fino a relizzare un vero e proprio documento
della moda decadente che si esalta nell’autoritratto compiaciuto e un pò ridicolo
dell’autore.
5. La riflessione estetica
La riflessione sull’arte si accentua i