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Anna ad incarnare il vero Don Giovanni, quindi nuovamente una donna. Il moderno Don Giovanni
ha invece raggiunto la felicità borghese, è diventato un uomo comune, la sua felicità tuttavia non
interessa e cessa di essere un personaggio.
Stravinskij, compositore e Auden – famoso per la sua opera The Age of Anxiety – ripresero la
figura dell’eroe spagnolo, stravolgendola, modernizzandola e mischiandola ad un po’ di faustismo
nell’opera The Rake’s Progress – La carriera di un libertino. Il libertino di Stravinskij e Auden è
un borghese incline alla pace e ai piaceri domestici, che potrebbe solo che essere un buon padre e un
buon marito, attento ai soldi solo in quanto danno sicurezza sull’avvenire. Donna Anna è
rappresentata da Anna, fanciulla innamorata del libertino che cerca di riportarlo sulla buona strada.
Ma Tom Rakewell, viene scelto da Diavolo, rappresentato da Nick Shadow, e lo porta a diventare
schiavo di vizi che egli non ama, gli fa sposare una donna turca, gli fa sperperare tutto il denaro.
L’opera si conclude con la totale perdita della ragione da parte di Tom.
Nel 1787 Mozart cominciò la scrittura della sua opera del Don Giovanni, che fu una delle opere sul
Don Giovanni più originali e con maggiore successo. Nel momento in cui Mozart scrive il Don
Giovanni è una figura che appartiene ad una tradizione ormai ischeletrita, come dice Giovanni
Macchia. La figura di Don Giovanni era stata utilizzata e stravolta in decine e decine di opere in
versi, in prosa, in musica, commedie, tragedie, opere di alta e bassa qualità, in italiano, francese,
spagnolo, inglese, nei dialetti dal veneziano al napoletano, da uno stile aulico ad uno grossolano.
Perfino lo stesso Goldoni, che riteneva inspiegabile tanto successo legato alla leggenda di
quest’eroe spagnolo e la ritenevano indegna d’essere rappresentata, produsse un Don Giovanni
depurato da elementi inverosimili.
La fortuna del Don Giovanni musicale è sicuramente dovuta al fatto che nel Settecento la frenesia
del melodramma colpì tutt’Europa, spesso il melodramma riprendeva temi e schemi già passati,
spenti in letteratura e li faceva rivivere nel teatro d’opera. In particolare l’opera buffa era il prodotto
più brillante che il melodramma offrisse nel Settecento ed è proprio quella di cui si serve il Don
Giovanni di Mozart. Molti altri Don Giovanni furono rappresentati in musica, precedenti e
contemporanei a quelli Mozart, ci furono anche delle rappresentazioni di balletti, come ad esempio
quello di Gluck nel 1761, al quale probabilmente nell’impostazione un po’ Mozart si ispirò, ed
ancora abbiamo L’empio punito con musica di Melani e libretto di Acciaiuoli, che è il primo
dramma in musica che conosciamo, rappresentato la prima volta a Roma nel 1669, si dice che a
quella rappresentazione fosse presente anche Cristina di Svezia e che si annoiò moltissimo di fronte
a questo dramma barocco, pieno di un senso della morte, del sangue e carico di elementi grossolani.
Alla domanda del perché Mozart abbia scelto come soggetto ancora Don Giovanni dobbiamo
escludere la risposta di Wagner che sosteneva che Mozart accettasse qualsiasi libretto gli venisse
proposto, tutt’al contrario Mozart era estremamente critico ed esigente nel ricercare il libretto degno
della sua musica. La concezione di Mozart del melodramma viene definita anti-metastasiana in
quanto il primo mette la musica al centro del melodramma, mentre Metastasio pur dando molta
importanza alla musica, non riesce a concepire le parole come uno sfondo. Dunque Mozart scelse il
Don Giovanni perché fu attratto dalla sua modernità, una modernità che durava da un secolo e
mezzo: si trattava dunque di porre nuovamente questa leggenda ad alcune correzioni, ma quelle di
Mozart non furono le classiche correzioni, come quelle di un Goldoni che andavano nella direzione
della verosimiglianza, perché Mozart, conosciuto proprio per il suo cosiddetto conservatorismo, non
stravolgeva le basi, anzi prendeva moltissimo spunto dalla tradizione come punto di partenza. Come
librettista Mozart scelse Lorenzo Da Ponte, librettista dell’avversario Salieri. E’ impossibile
stabilire con esattezza di termini della collaborazione tra Mozart e Da Ponte perché nonostante
alcune testimonianze (spesso anche smentite, come quella di John Francis che sosteneva che Mozart
volesse fare del Don Giovanni un’opera seria, e la scelta dell’opera buffa fu un’idea di Da Ponte,
molto attento allo scopo del successo) mancano i documenti, le testimonianze.
Di qualche anno precedente al Don Giovanni di Mozart, è il Convitato di pietra di Gazzaniga,
compositore e Bertati, librettista. Rispetto a quest’opera si è parlato di plagio del da Ponte e
quest’accusa di plagio è stata estesa anche nei confronti del Convitato di pietra di Gardi.
Quest’ultimo rappresenta una versione lontana dalla tradizione, in cui è Donna Anna nutre
un’enorme gelosia nei confronti di Don Giovanni, consapevole che si tratti dell’assassino di suo
padre. Si trovano in quest’opera alcuni punti in comune con l’opera di Don Giovanni, questo
tuttavia non è prova sufficiente per accusare di nulla Mozart e Da Ponte. Tornando al Gazzaniga è
più evidente vedere che le due opere, soprattutto in alcuni tratti (scena iniziale che segue l’uccisione
del Commendatore, dialogo iniziale tra Donna Anna e Don Ottavio, seduzione contadina) sono
decisamente parallele: del resto Da Ponte non parla di quest’opera nelle sue Memorie ed ha un
parere molto negativo di Bertati, del quale fa un oggetto di derisione, citando anche altri che lo
avevano deriso. Per quanto riguarda Mozart è praticamente certo che questo conoscesse l’opera del
Gazzaniga, tuttavia tutto ciò che nel Gazzaniga è frammento, accenno e felice intuizioni con
Mozart-Da Ponte diventa un pieno sviluppo dell’opera e dei personaggi, la svolta è enorme. E’ vero
che ci sono delle riprese, ad esempio la scena del catalogo, ma se da una parte l’idea del catalogo
non è comunque un’invenzione di Bertati, perché esisteva già nella tradizione antica, l’opera di
Mozart potrebbe aver ripreso delle opere precedenti così come aveva fatto Molière: questo non fa
dell’opera un plagio, al contrario ne mostra maggiormente lo scarto, il superamento. Mentre i Don
Giovanni musicali precedenti a Mozart erano opere più dinamiche, incentrate sullo spostamento di
Don Giovanni che corre sulla scena, dove l’esagerazione è un elemento sporadico, la situazione si
ribalta nell’opera di Mozart: il Don Giovanni di Mozart è molto più statico e l’esagerazione, al
contrario, è al centro di tutto, tutto sembra ingrandito e deformato, la misura, il garbo e i falsi
schemi settecenteschi – che un tempo venivano attribuiti all’arte di Mozart – qui saltano. In
conclusione possiamo dire che l’opera di Mozart è non una varietà, un insieme di elementi, ma è
opposizione, stridore di contrasti, beffa, riso crudele contro la sofferenza, e in tutto ciò la figura del
Don Giovanni secondo un principio moralista sarebbe dovuta essere orribile, invece Mozart lo fa
affascinante, il Don Giovanni rappresenta il demoniaco nella musica di Mozart. Parliamo di
demoniaco del senso perché nell’opera la musica è espressione dei sensi, mentre la parola diventa
espressione dello spirito.
Fedra di Racine
La tragedia di Racine è il punto d’incontro tra un genere letterario tradizionalmente nutrito di
sublime ed un nuovo spirito naturalista ostile all’idea di sublime.
Con il teatro di Racine ci scontriamo con il rifiuto dell’eroismo nel nome della natura, quindi questo
spostamento determina uno stravolgimento della psicologia tragica che soltanto a partire dalla
tragedia Andromaca si manifesta in Racine. La psicologia dell’istinto, che porterà a compimento in
Fedra.
La tragedia in Francia, come era all’epoca di Racine, cercava di suscitare nel pubblico lo slancio
verso la morale, attraverso le grandi azioni, la nobiltà del cuore, la ricerca della gloria, anche se
aveva già iniziato a prender piede la tendenza verso un tipo di amore nuovo rispetto a quello
cortese. Infatti con Racine abbiamo una concezione dell’amore rivoluzionaria, viene introdotto un
amore violento, omicida, opposto all’amore cortese e alla sottomissione dell’innamorato alla donna
amata. Qui né ragione, né volontà sono all’origine di un amore che nasce in modo subitaneo e
inspiegabile, come un colpo di fulmine, un solo sguardo e vedere già significa amare. L’amore si
manifesta con disordine fisiologico, il rossore, la perdita della vista e della parola, in cui troviamo
parole chiave come fiamma, fuoco, ardore, smarrimento. Un sentimento di gelosia trasforma
l’essere amato in una sorta di bestia. Un amore che si mescola al sentimento dell’odio, un odio
latente, che porta a conseguenze mortali. Fedra si trova in uno stato di tortura passivo, ma attende
l’occasione giusta per tramutarsi in violenza (ad esempio quando scopre che Ippolito ama un’altra
donna), desidera piuttosto la morte dell’amato che vederlo tra le braccia di un’altra donna. La
gelosia libera l’odio latente di Fedra e la spinge a denunciare a Teseo il comportamento di Ippolito,
lo denuncia di una colpa che in realtà è solo la sua. In realtà Racine fa inventare questa menzogna
alla nutrice, ritenendo Fedra troppo nobile per essere responsabile di questa azione, tuttavia ella vi
sia adegua in quanto sconvolta. Questa passione porta l’amante a privarsi di libertà e orgoglio e
spinge a comportamenti infamanti e alla menzogna. La grandezza che c’è nel desiderio degli eroi di
Racine è diversa dal desiderio di grandezza degli eroi di Corneille, l’orgoglio non è più grande
ambizione, elevazione, ma ferita. Come dice Bénichou: Si può dire che l’orgoglio in Racine non sia
più il pungolo dell’amore, ma la misura del disonore.
Questo amore fatale e possessivo reca un germe di morte e conduce al suicidio di colui che ama, ma
è un germe di morte che riguarda anche l’amato. L’amore di Racine è un amore che ha bisogno
dell’oscurità per agire, è un amore che porta angoscia, rimorso e disprezzo verso se stessi. Questa
passione e quest’istinto hanno qualcosa di mostruoso in sé, mostro è proprio un termine chiave
dell’opera, dove la lotta tra natura e morale è senza fine.
Racine si avvicina a Pascal (giansenismo*) nell’intento di sminuire l’uomo, abbassandolo al livello
della natura, confondendo ragione e coscienza, Racine – come Pascal