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Berger è uno dei massimi esponenti di questa teoria e propone il
concetto dello smascheramento. Per Berger, gli strutturalisti (e i
sociologi in generale) devono smascherare le strutture sociali, cioè
devono andare al di là della loro facciata, per guardare cosa vi è
oltre.
Oltre agli orientamenti struttural-funzionalisti, abbiamo le teorie del
conflitto, termine con cui si indicano tutte le posizioni critiche che
sottolineano le tensioni e i conflitti nella società.
La più nota è la teoria del conflitto di Marx. Essa si trova agli
antipodi della teoria struttural-funzionalista. Infatti, se questa
enfatizza gli aspetti positivi della società, quella marxista fa
l’opposto. La società non è tenuta insieme dal consenso (almeno per
Marx), ma dalla coercizione. I teorici del conflitto vedono solo i
contrasti e disordini della società. La società non è statica, ma come
sottolinea Dahrendorf, è in costante cambiamento. Dahrendorf si
interessa al conflitto tra coloro che occupano posizioni di autorità e
coloro che sono subordinati ad essi. I due gruppi sociali hanno
interessi molto diversi e possono originare gruppi di conflitto, cioè
coalizioni che si oppongono alle volontà del gruppo a loro avverso.
Le azioni degli stessi possono cambiare, talvolta radicalmente, la
società.
Tra le teorie del conflitto, di particolare rilevanza è la teoria critica,
che, al contrario di Marx, non si concentra sull’economia
capitalistica, ma sul concetto di cultura, ritenuta più importante del
sistema finanziario. T. Adorno (e gli altri esponenti della Scuola di
Francoforte) parte dal presupposto che le persone sono sempre più
controllate dalla cultura e dall’industria culturale, cioè l’insieme
delle strutture burocratizzate che controllano la cultura. Negli anni
Venti e Trenta, i teorici critici si sono interessati a giornali e radio,
accusati di aver dato vita ad una cultura di massa. Essa si
caratterizza per due fattori:
1. La falsità, perché organizza organicamente idee
preconfezionate che falsificano la realtà (come i reality show,
programmi televisivi stereotipati).
2. La repressività, perché l’industria culturale trasmette solo gli
aspetti falsi della cultura, dimodoché la massa sia repressa, nel
senso che sia molto meno propensa ad attuare (o addirittura
avere) idee rivoluzionarie.
Anche la teoria postmoderna può essere considerata una teoria
critica. Essa, come è intuibile, si concentra sulla postmodernità,
quello stadio della società che segue l’era moderna. È con il
postmodernismo che emergono forme culturali innovative in
campo musicale, architettonico e artistico. La teoria
postmoderna si oppone alle grandi narrazioni o ai grandi studi
schematici della realtà, ma offrono istantanee descrizioni del
mondo sociale. Il capostipite della teoria postmoderna è senza
dubbio J. Baudrillar, secondo cui, il mondo contemporaneo non è
dominato dal consumismo, ma dall’iperconsumismo, che ci
spinge a consumare più di quello di cui abbiamo bisogno