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E TAVOLE
Dopo la fine del regnum, il diritto ricominciò a formarsi solo coi mores rilevati dai pontefici. Dal
momento in cui si era accentuata la contrapposizione tra patrizi e plebei e i pontefici appartenevano
alla prima fazione, gli stranieri temevano che i mores fossero contrari ai loro interessi. Per questo
probabilmente a partire dal 462 a.C. ci fu un forte movimento dei plebei per ottenere la redazione di
un corpo di norme precisamente formulate, che eliminasse le volontà dei pontefici. Quello che è
certo è che nel 450 a.C. una magistratura straordinaria di dieci magistrati – decemviri – (o forse una
magistratura ordinaria non ancora consolidata) riuscì in uno o due anni a redigere una serie
strutturata di norme attinenti al diritto privato e penale e ai relativi processi - in parte anche al diritto
costituzionale - e a farle scrivere su dodici tavole, a noi non pervenute. Conosciamo quindi soltanto
dei frammenti di un testo ricostruito e linguisticamente ammodernato. Sappiamo comunque, che il
livello tecnico dei legislatori e l'importanza di questo primo e unico “codice” che i Romani abbiano
elaborato (almeno sino al III secolo d.C.) era molto elevato, relativamente ai tempi.
Nonostante ciò, le XII tavole regolarono soltanto alcuni campi fondamentali, lasciandone alcuni
dipendenti dai mores, che i pontefici potevano rilevare e interpretare. E l'interpretatio non laica
riguardava anche le stesse leggi delle XII tavole, almeno sino alla metà del III secolo a.C.: si stava
svolgendo infatti il processo di laicizzazione del diritto, e questo fu l'ultimo potere esercitato dai
pontefici.
L .
EGES E PLEBISCITA
Dopo le XII tavole il diritto cominciò a derivare anche da una fonte, la lex, un testo prescrittivo
proposto con rogatio da un alto magistrato (console, censore, pretore) all'assemblea popolare, che
poteva approvarlo o respingerlo, ma non modificarlo. Questa venne chiamata tecnicamente lex
rogata, mentre la legge emanata dal magistrato senza bisogno di voto comiziale si chiamava lex
8 Curiae: furono la più antica ripartizione politico-religiosa del popolo romano. Ogni curia (erano trenta) aveva un
proprio culto e un culto comune.
data. Principalmente le leggi trattavano di diritto pubblico – in modo particolare costituzionale e
penale – e raramente di diritto privato e processuale.
A partire dall'inizio del V secolo a.C, quando fu consentito alla plebe di avere dei propri magistrati
(i tribuni della plebe) e un'autonoma organizzazione, alle leges si contrapposero - poi si
affiancarono - i plebiscita. Erano delle deliberazioni dell'assemblea della plebe (concilia plebis
tributa), con cui si stabilivano norme valide all'interno della plebe stessa, che diventavano leggi con
l'approvazione del senato – espressione del patriziato. I plebei volevano che i plebisciti vincolassero
tutto il popolo, e ciò avvenne nel 286 a.C. con la lex Hortensia.
Leggi e plebisciti continuarono a essere emanati anche nel sottoperiodo preclassico e in parte di
quello classico. Nel linguaggio corrente anche i plebiscita venivano chiamati leges, per questo non è
semplice distinguerli quando vengono menzionati nelle fonti. La principale distinzione sta nella
figura del proponente: nei plebisciti erano uno o più tribuni, mentre nelle leggi i consoli, che
essendo dei magistrati “superiori” erano meno sensibili alle esigenze della gente comune. Per
questo i plebiscita si occuparono più delle leggi di diritto privato.
Sopravvissero anche dopo che Augusto ebbe instaurato il principato, poiché si voleva conservare
una componente repubblicana nel suo regime, nonostante in realtà avesse perso il suo significato
popolare, in quanto i partecipanti dell'assemblea erano divenuti una minoranza estrema rispetto
all'intero popolo.
L .
A CONSUETUDINE
Sia nelle Istituzioni di Gaio sia nelle Definitiones di Papiniano sono indicate le fonti del diritto
romano. Gaio, infatti, affermò che esso si componeva “di leggi, plebisciti, senatoconsulti,
costituzioni dei principi, editti dei magistrati che hanno il potere di emanarli, pareri dei giuristi”.
Papiniano distingue le fonti del ius civile da quelle del ius praetorium dicendo che “il ius civile è
quello che deriva da leggi, plebisciti, senatoconsulti, decreti dei principi, autorità dei giuristi; il ius
praetorium è quello che i pretori introdussero per rafforzare, supplire o correggere il ius civile”.
I due elenchi sono praticamente uguali e non menzionano nè i mores né la consuetudine, come se
entrambi avessero cessato di operare. Ma non fu esattamente così.
Anzitutto, tra mores-mos e consuetudo la differenza stava nel fatto che nei primi esisteva una
componente operante religiosa che negli altri mancava.
Nel sottoperiodo preclassico la consuetudine fu in pratica il supporto dell'efficacia generalizzata
dell'interpretatio - specie quando essa non fu più opera dei pontefici – e costituì la base di parte
dello ius gentium.
I .
SENATOCONSULTI
Durante la repubblica il senato guidava l'opera di governo dei magistrati in tutti i settori e i suoi
provvedimenti con dei pareri, chiamati senatoconsulti. Col principato le cose gradualmente
cambiarono: inizialmente i consigli venivano rivolti al pretore, il quale adattava le proprie
pronunzie processuali; ma a partire dalla seconda metà del I secolo, i senatoconsulti relativi al
diritto privato assunsero un contenuto nettamente normativo. Vennero quindi equiparati alle norme
di carattere legislativo e furono i principali atti normativi fino all'inizio del III secolo.
Venivano deliberati dall'assemblea del senato su proposta di un magistrato, di solito dei consoli. Ma
talvolta potevano essere fatti dal principe con un discorso in senato (oratio). Inizialmente il
senatoconsulti dell'imperatore equivaleva formalmente a quella di un magistrato, ma durante il II
secolo finì col diventare esclusiva. Dal momento in cui l'approvazione del senato era scontata,
veniva menzionata dai giuristi come un mero e proprio atto normativo.
L .
E COSTITUZIONI IMPERIALI
Augusto, che si definì come il restauratore della repubblica, potè emanare atti con contenuto
normativo e pronunziare delle sentenze particolarmente rilevanti poiché da lui stesso menzionate,
capaci di influire sui successivi giudici.
I diversi provvedimenti, chiamati di solito complessivamente constitutiones, vennero indicati nelle
loro singole specie come:
- edicta: atti con contenuto normativo, quindi generali e astratti. Venivano indirizzati per lo più alle
provincie non per un limite giuridico, ma per correttezza politica;
- decreta: sentenze pronunziate dal principe in materia di diritto privato e penale, in grado di
condizionare gli altri organi giurisdizionali e di costituire la base per la formulazione di regole o
norme da parte dei giuristi;
- rescripta (o subscriptiones) ed epistulae: pronunzie emesse dal principe su specifiche questioni
giuridiche, sottopostegli da privati (rescripta) o da magistrati o funzionari imperiali (epistulae).
Vincolavano giuridicamente il soggetto chiamato a decidere su quel singolo caso, dopo che veniva
accertata la corrispondenza dei fatti reali a quelli esposti. Tali pronunzie furono poi gradualmente
applicabili negli altri casi uguali o analoghi;
- mandata: ordini e direttive di carattere generale che i principi indirizzavano ai governatori delle
provincie per guidare le loro attività amministrative e di polizia, e per stabilire regole e criteri con
cui essi o i loro delegati dovevano provvedere e giudicare in materia di diritto privato o penale.
L .
A GIURISPRUDENZA
La giurisprudenza prese origine da quei giuristi laici, che nel III secolo a.C. si affiancarono ai
pontefici e man mano li sostituirono nell'interpretatio delle XII tavole.
I giuristi, tuttavia, non avevano formalmente il potere di produrre diritto. Finché la giurisprudenza
era monopolio del collegio dei pontefici, il valore giuridico era dato dall'interpretazione da loro
fatta. Ma quando iniziarono ad esservi giuristi laici se le loro interpretatio erano concordi, la società
e i giudici le accettavano con facilità; ma se erano discordi, venivano accettate
consuetudinariamente in diritto vigente soltanto quelle sostenute dal o dai giuristi più prestigiosi.
I giuristi venivano consultati da un privato principalmente per la redazione di un atto privato
(cavere), per formulare esattamente i suoi atti giudiziari (agere), per avere un parere su una
questione oggetto di una controversia (respondere). Quest'ultima azione metteva immediatamente in
gioco l'autorità del giurista, poiché il parere era rilevante per la decisione di una controversia. Il
giudice, chiaramente, non aveva alcun vincolo giuridico rispetto al parere.
Ma in seguito anche alla divisione dei giuristi tra proculiani e sabiniani, fu necessario porre dei
limiti alla libertà del giudice. Egli infatti avrebbe dovuto osservare il responsum del giurista, se a
esso non si contrapponesse il parere di un altro giurista.
G .
LI EDITTI DEI PRETORI E DEGLI ALTRI MAGISTRATI
Gli editti furono la fonte più importante, poiché il diritto da essa derivato (ius honorarium o ius
praetorium) fu ritenuto dai giuristi un diritto distinto da quello prodotto dalle altre fonti (ius civile).
Nel 242 a.C. venne istituito il praetor peregrinus per amministrare giustizia sul territorio romano in
controversie di cui almeno un peregrino fosse parte. In queste controversie, infatti, non si poteva
ricorrere alla procedure per legis actiones (da cui i peregrini erano esclusi) e non potevano essere
applicate le norme delle XII tavole o della loro interpretatio, sia perché non riguardavano gli
stranieri, sia perché non avrebbero soddisfatto le esigenze dei rapporti economici degli interessati.
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Così, il pretore peregrino, valendosi del suo imperium e senza trovare opposizione da parte del
senato o da altri conservatori, istituì una nuova procedura - che sfociò in quella classica per
formulas – e nuovi criteri di giudizio – tra cui quelli ispirati alla buona fede- in base ai quali
l'organo giudicante potè pronunziare condanne o assoluzioni in situazioni diverse da quelle previste
nelle XII tavole e relativa interpretatio.
Anche il pretore urbano, fu indotto a cercare di soddisfare quelle esigenze con l'introduzione di una
nuova procedura simile alla precedente, in quanto le norme delle tavole erano insufficienti o
superate anche per le liti che si verificavano tra cittadini romani.
I provvedimenti dei pretori, riguardavano un singolo caso e una singola controversia e formalmente
non avrebbero loro autoimpedito a procedere diversamente in un caso successivo della medesima
specie, ma furono chiaramente indotti – per ragioni etico-politiche - a