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CONCEPITO COME QUOD IN UTERO EST

Albanese, a favore del fatto che la giurisprudenza romana abbia considerato il concepito non esister adduce un elemento di natura terminologica, l'impiego del genere neutro: quod in utero est. Questo termine viene utilizzato in quattro passi (i giuristi usano il neutro anche in marito al nato), mentre qui in utero est è utilizzato in venti testi. Si potrebbe pensare a una controversia tra giuristi, ma i giuristi che impiegano il neutro, utilizzano anche il termine qui in utero est. Nei passi quattro passi in cui viene utilizzata l'espressione quod in utero est, l'impiego del genere neutro può essere giustificato in base all'incertezza relativa al numero dei parti e al sesso dei nascituri.

ULPIANO: IL CONCEPITO COME NON PUPILLUS E MULIERIS PORTIO VEL VISCERUM

Un altro argomento addotto a sostegno del fatto che i giuristi non reputassero il concepito un'esistenza autonoma, si fonda su due affermazioni ulpianee.

concepito non può ottenere la qualifica di pupillus, perciò non può essere considerato un'individualità autonoma. Al concepito non viene nominato un tutore come al pupillo, ma un curatore e gli viene applicata la curatela. In un altro passo Ulpiano definisce il concepito come portio matris, ma non si tratta di un'affermazione di carattere generale, il termine è usato per giustificare l'applicabilità di un senatoconsulto su richiesta della sola donna, in quanto il figlio si trova nel suo corpo. IN REBUS HUMANIS NONDUM ESSE IL PENSIERO DI GIULIANO E DI CELSO: LA CONCETTUALIZZAZIONE DELL'ESISTENZA DEL CONCEPITO L'opinione dominante non coglie elementi di diversità tra la riflessione di Giuliano e di Celso, e quella di Paolo. Tutti e tre i giuristi avrebbero riferito il medesimo concetto: il nascituro è trattato come il nato quando venga in rilievo il suo commodum. Giuliano e Celso non rendono esplicita.

La regola del commodum e perciò ricorrono ai termini paene e quodammodo per delimitare l'ambito della parificazione del concepito al nato. In realtà nei testi di Giuliano e Celso è presente l'enunciazione del fatto che il concepito esistesse. Si tratta infatti del primo processo di concettualizzazione introno al nascituro: dall'osservazione della realtà giuridica, Giuliano e Celso teorizzano l'esistenza del concepito attraverso il termine in rerum natura esse.

PAOLO: IN REBUS HUMANIS ESSE QUALE ESPRESSIONE CHE RINVIA ALL'INDIVIDUO GIÀ NATO

Paolo nel passo D. 1, 5, 7 scrive che colui il quale è nell'utero è osservato perinde ac si in rebus humanis esset ogniqualvolta si tratti dei vantaggi dello stesso parto. In questo caso l'espressione in rebus humanis esse rimanda all'individuo già nato. Con questo termine il giurista ha voluto tracciare una relazione tra il concepito e il nato: che

Il nascituro ricevesse lo stesso trattamento del nato ogniqualvolta venisse in considerazione il suo commodum. Nel prospettare il vantaggio altri Paolo scrive che il concepito non può essere di qualche utilità a terzi antequam nascatur. L'elemento comune delle due ipotesi è dato dal fatto della nascita.

ALCUNE TESTIMONIANZE A SOSTEGNO DEL FATTO CHE L'ESPRESSIONE IN REBUS HUMANIS ESSE RINVIASSE ALL' INDIVIDUO GIÀ NATO: ULPIANO

Ulpiano, D. 37, 9, 1: il pretore distingue due categorie di individui, qui iam in rebus humanis sunt e qui nondum nati sint.

Ulpiano, D. 37, 9, 7: alla successione ab intestato è ammesso anche il concepito e, se fosse nato, avrebbe potuto domandare il possesso dei beni.

Ulpiano, D. 38, 16, 1, 8: per succedere come sui heredes occorre essere, al tempo della morte del ereditando, o nati o perlomeno concepiti. Giuliano (D. 38, 16, 6) dice la stessa cosa di Ulpiano, ma con termini diversi, si serve di un' unica

espressione – in rerum natura esse – perché è idonea a comprendere sia il nato che il concepito. Ulpiano, D. 50, 16, 164: materia di legati. Con il termine figlia si indica le figlie già nate, ma anche le figlie postume, mentre tra le postume non rientrano le figlie già nate. Ulpiano, D. 28, 6, 10, 1: sostituzione pupillare, eredi necessari. Ulpiano, D. 40, 5, 24, 4: il servo che non è ancora in rebus humanis (forma negativa), può essere manomesso per fedecommesso. Ulpiano, D. 44, 2, 7, 3: azione processuale di rivendica della proprietà di una schiava incinta. L’attore, dopo aver agito in rivendica per la schiava, può agire riguardo al suo figlio il quale, al momento della litis contestatio non era in rebus humanis? Se il parto non è stato dedotto nel primo giudizio, avente ad oggetto soltanto la schiava, il proprietario può chiedere un’altra azione di rivendica. Non potrà chiederla se ilparto sia stato oggetto di restituzione e di stima nel primo giudizio, perché in questo caso la res iudicata finisce per investire anche il figlio della schiava. I giuristi si servivano dell'espressione "in rebus humanis" per indicare il fatto dell'essere nato. IL SIGNIFICATO DELLA RIFLESSIONE DI PAOLO. IL PENSIERO DI PAOLO SULLO STESSO PIANO DEL PENSIERO DI GIULIANO E CELSO Secondo la maggior parte della dottrina, la regola del commodum, riferita da Paolo, sarebbe presente (implicitamente) anche nei passi di Giuliano e di Celso: sul presupposto che il concepito fosse reputato non esistere, essi lo avrebbero finto già nato per potergli attribuire determinate aspettative. Noi però non condividiamo il fondamento sul quale si regge la finzione, ovvero la circostanza che i giuristi non ritenessero il concepito esistere. Una parte della dottrina riteneva che le espressioni "perinde ac si" e "in rebus humanis"

Il testo fornito è il seguente:

esset di Paolo, rifletterebbero il linguaggio tipico dell'estensione per finzione. In questo caso però, l'impiego dei termini ac si non rimanda alla finzione, il giurista si limita a parificare il nascituro al nato. Si tratta di un processo di equiparazione.

IL PENSIERO DI PAOLO SU UN PIANO DIVERSO RISPETTO AL PENSIERO DI GIULIANO E DI CELSO

In verità il pensiero di Giuliano e Celso non coincide con quello di Paolo. Giuliano e Celso, dopo aver esaminato il corpo di norme in materia di concepito, concludono che il nascituro fosse in quasi tutto il diritto civile in rerum natura, esistesse. La regola di Paolo sarebbe stata suggerita dalla volontà di introdurre un argine, inserire una limitazione. Da qui il criterio del commodum, con cui la parificazione con il già nato viene circoscritta ai soli casi vantaggiosi per il concepito. La regola paolina è stata principalmente dettata dalla volontà di impedire ai terzi di usufruire delle conseguenze.

Derivate dalla concettualizzazione del concepito come esistenza autonoma.

PAOLO E IL DIRITTO DELLA MADRE DI SUCCEDERE AL FIGLIO

Il senatoconsulto Tertulliano disciplina la successione della madre ai propri figli a condizione di avere almeno tre figli. In questo caso alla madre non può giovare il figlio concepito e di conseguenza viene esclusa dai benefici introdotti dal senatoconsulto.

MODESTINO E GLI ONERI CIVILI DEL PADRE

Il concepito non può giovare al padre rispetto agli oneri civili. Il nascituro non può essere considerato come già nato per dispensare il padre da un onere civile.

PAPINIANO E I DIRITTI DEI LEGATARI

La lex Falcidia imponeva al testatore di non disporre legati per una quota superiore ai tre quarti dell'asse ereditario per consentire all'erede di ottenere almeno un quarto dell'asse. Il valore del patrimonio veniva accertato al momento della morte del testatore. Nel calcolo rientrano anche i frutti non ancora percepiti, ma la

regola non riguarda il concepito: trattandosi di un commodumaltrui, il concepito non avrebbe potuto essere assimilato al nato. CONCLUSIONI La contraddizione delle fonti in materia di concepito è soltanto apparente. La giurisprudenza ha infatti seguito una linea di pensiero unitaria, rifiutando l'idea dell'equivalenza semantica tra le espressioni "in rerum natura esse" e "in rebus humanis esse" e l'affermazione che il concepito non esistesse, e che fosse una semplice parte della madre. Infatti, con riguardo al nascituro, i due termini rinviano a differenti ambiti e hanno significati diversi. Giuliano affermava che il concepito in quasi tutto il diritto civile era reputato "in rerum natura esse". Di seguito richiamava quattro esempi. Il criterio unificante delle quattro fattispecie non può essere individuato nella parificazione del concepito al nato sulla base del "commodum" del nascituro: non vi rientra il caso della schiava sottratta. Fabro ha ritenuto il caso.

dell' ancella l' unica eccezione allaregola, ma è improbabile che il giurista potesse inserire una fattispecie che dell' asserzione iniziale rappresentasse un' eccezione. È più probabile che tutti i quattro esempi rispondessero alla medesima ratio => l' esistenza del concepito => l' idea dell' esistenza del nascituro è racchiusa nell'espressione in rerum natura esse.

In Giuliano e in Celso si ha la prima concettualizzazione sul nascituro. Proprio in questo contesto dev' essere letto il passo di Paolo, il quale informava che colui il quale era nell' utero fosse parificato al già nato laddove si trattasse dei commmoda dello stesso parto. L' espressione in rebushumanis esse rinvia dunque all' individuo già nato. Questa regola sarebbe stata suggerita dal bisogno di introdurre un limite alle conseguenze innescate dalla teorizzazione dell' esistenza del nascituro.

Giudicando inopportuno che il nascituro risultasse utile anche ai terzi, occorreva inserire un argine alla regola del commodum. Non c'è nessuna controversia: i giuristi furono concordi nel reputare il nascituro esistere e nel vincolare al commodum la sua parificazione all'individuo già nato. POSSESSIO E ANIMUS SAVIGNY: la nozione romana di possesso consta di due elementi: uno materiale, il corpus possidendi, e uno spirituale, l' animus domini => il possessore gode della disponibilità materiale del bene e nutre nei confronti di quest'ultimo l'intenzione di considerarlo come proprio. Questa concezione di possesso è però inadatta a ricomprendere tre figure possessorie: il precarista, il creditore pignoratizio e il sequestratario, i quali non hanno l'intenzione di considerare come proprio il bene di cui dispongono => non hanno l'animus domini, ma è loro trasmesso dall'originario titolare.disputa scientifica si scatena proprio in relazione all'animus. Alcuni studiosi sostengono che queste tre figure di p
Dettagli
Publisher
A.A. 2011-2012
17 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Moses di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trieste o del prof Fiorentini Mario.