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Fonti Autonome
Le fonti autonome sono quelle non poste da soggetti terzi, come ad esempio lo stato, ma sono autoprodotte. Sono create dai protagonisti dei rapporti di lavoro e includono i contratti individuali e collettivi e gli usi.
Contratti individuali e collettivi:
In un sistema non lavoristico potremmo pensare che i rapporti tra fonti siano gerarchici. In realtà, questo non è vero nel diritto del lavoro, poiché qui opera il principio di favore. Questo principio stabilisce che, tra diverse fonti che concorrono a regolare il rapporto di lavoro, sia su piano di eteronomia o autonomia, e che interferiscono l'una con l'altra, non prevale la fonte più in alto, ma prevale quella che ha un contenuto più vantaggioso per il lavoratore. Non c'è una giustificazione giuridica per questo, è solo una scelta del legislatore basata su una valutazione valoriale. Il legislatore, infatti, non vuole che le persone siano costrette ad accettare lavori che non siano vantaggiosi per loro.
sottopagatie sfruttanti. Ma, stabilito un minimo salariale per tutti (es. 1000 euro al mese), lofavorstrumento del introduce l'inderogabilità unilaterale consente di valorizzarele differenze di competenze/specializzazione del lavoratore a favore del solo lavoratore(es. lavoratori altamente specializzati possono avere maggiore forza contrattuale echiedere salari più alti).Ciò altera la gerarchia delle fonti poiché è possibile che il c. individuale prevalga sulla legge, ad esempio, o su quello collettivo. Questo principio fa prevalere nonla fonte collocata gerarchicamente più in alto, ma fa prevalere la fonte chedetta il regime più protettivo per il lavoratore. 6Discussioni sulla fonte di questo principio di favore: l'art. 2077 c.c. lo introduceva, maquesta norma è stata superata con la caduta del sistema corporativo (che avevacondizionato a quel tempo il sistema di legislazione lavorativa, peraltro in manieramolto vincolante,
Il modello estremamente illiberale risale alla fine della guerra, 1944).
Oggi l'art. a cui fare riferimento è il 2113 c.c. Ha un riferimento alla disciplina lavoristica, confermando il principio di favore.
Ma è difficile che il lavoratore ottenga solo compensazioni in proprio favore senza che il datore ottenga nulla in cambio. Ad esempio, un c. individuale in cui il lavoratore ottiene una retribuzione più alta, con un minimo individuale non previsto dai c. collettivi, a fronte di una sua disponibilità a una particolare flessibilità oraria, anche in deroga a quello che prevede la legge. Se un lavoratore è tenuto a fare qualcosa di diverso rispetto alla sua mansione, quel trattamento è più o meno favorevole a lui?
Sono domande complesse, poiché il diritto del lavoro si presta a essere oggetto di costanti ripensamenti, rivalutazioni. I criteri elaborati dogmaticamente per sapere quale disciplina applicare al rapporto di lavoro sono 3:
Criterio del conglobamento (fra intere discipline) = per confrontare due discipline si prende il 'tutto'. Si conglobano ad es TUTTA la disciplina del c. individuale, TUTTA quella del c. collettivo-> se ci si rende conto che quella individuale è più favorevole perché ci sono voci a favore ma anche a sfavore del lavoratore, e alla fine prevale l'elemento favorevole, allora il c. individuale prevale nella sua interezza= prevale sulla disciplina del c. collettivo sia per le parti in cui si dispone più favorevole al lavoratore, sia in cui si dispone meno favorevole = si fa una sorta di media-> NEL COMPLESSO c'è un favor? Se sì, prevale l'intero contr.
2. DIAMETRALMENTE OPPOSTO è il Criterio del cumulo (fra singole clausole) = si fa una sorta di spezzettamento della singola fonte: es. si spezzettano tutte le clausole del 6 Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto
collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro.
Riguarda il tema delle rinunzie e transazioni: dice che se esse hanno per oggetto diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti collettivi, non sono valide.
Individuale, le si contrappongono rispetto a ogni singola clausola del contratto collettivo. Facendo prevalere solo le clausole più favorevoli.
3. VIA DI MEZZO Criterio del raffronto tra istituti (diverse disposizioni unificate sotto un' unica materia) = all'interno del contratto individuale, e a quello collettivo ma nella stessa legge si possono individuare gli istituti = specifica materia formata da più disposizioni che ha lo scopo di definire un ambito omogeneo dove c'è una particolare regolamentazione (es. l'orario di lavoro, la retribuzione, la mobilità professionale, la mobilità territoriale.
La sospensione del rapporto di lavoro…). È come il conglobamento ma applicato non all’intera fonte (non TUTTO il c individuale) ma riguardo ai singoli istituti.→ Quale prevale in concreto? Di solito il nostro ordinamento oscilla tra il criterio del cumulo e raffronto tra istituti.
Esistono due norme (art 1419 e 1339) che hanno particolare rilevanza in questa materia. Il tema si lega ancora alla contrarietà a legge da parte del contratto. Un c. contra legem contra legem secondo il diritto privato è nullo. Un c. parzialmente (con una o più clausole solo parzialmente nulle) è un c. che, secondo l’art 1419 c.c., può NON essere nullo= principio della conservazione del contr. Il legislatore fa una valutazione retrospettiva: chiede al giudice di mettersi nei panni dei contraenti, si torna indietro al momento della stipula del contr. Se i contraenti avessero saputo allora che quella clausola era nulla, il c lo avrebbero concluso lo stesso.
O no? Si valuta nella prospettiva dei contraenti se quella clausola è decisiva o no. Se quella clausola non ci fosse stata, avrebbero concluso il contratto comunque o no? Se la risposta è sì, allora il contratto si salva, se la risposta è no, l'intero contratto viene meno. "Trionfo dell'autonomia privata". Il legislatore, infatti, non dà una risposta certa sulla nullità o no, ciò va giudicato volta per volta a seconda delle intenzioni delle parti.
Questa norma si applica al contratto di lavoro? Ad esempio, in un contratto c'è una clausola a sfavore del lavoratore (ad esempio, dice che il lavoratore può essere licenziato sempre anche senza giusta causa). Questo contratto vale? Devo applicare l'articolo 1419 comma 1? Se il giudice lo facesse, dovrebbe tornare a ritroso al momento della stipula mettendosi nei panni dei contraenti. È probabile che se avessero saputo di questa clausola, il datore non avrebbe contrattato, poiché essa dava a quella.
clausola un valore molto centrale. Dunque, prevale la volontà del datore (questa clausola è una liberatoria rispetto allanorma che vieta il licenziamento ingiustificato). Quindi di fatto il lavoratore è come se non fosse mai stato assunto, il vincolo contrattuale non è mai stato assunto, il rapporto di lavoro non c'è mai stato. Allora interviene l'art 1419 comma 2. È il "trionfo della volontà della legge". Ciò succede quando c'è una contrarietà della singola disposizione alla legge, quando c'è una contrarietà rispetto alla contrattazione collettiva, tutte le volte in cui c'è una nullità che comporta la sostituzione del frammento nullo per contrarietà a legge, il crimane in essere. Es. in quel c dell'esempio precedente, si applica la norma che dice che il licenziamento ingiustificato non è lecito, dunque si elimina quella clausola.
E il contratto rimane in essere.
La nullità di singole clausole comporta la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità.
La nullità di singole clausole non comporta la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative.
Collegato al 1339 c.c. che prevede l'inserimento di clausole conformi a legge anche in sostituzione di clausole contro la legge.
Eccezioni al favor:
Il principio di favore però non è un principio assoluto, ma derogabile. Di solito la legge stessa prevede che la norma possa essere derogata anche in peius. Es. disciplina sul termine. Per esso ci sono molti limiti, molti dei quali derogabili. Ciò depone a sfavore del lavoratore. Il principio di favore viene infatti derogato in presenza di un interesse pubblico. Quando c'è un
interesse pubblico, che prevale su quello individuale dellavoratore. Ad es in materia previdenziale: al lavoratore non è consentito non versareuna parte dei contributi e aggiungere quella parte al proprio stipendio, perché siromperebbe l’equilibrio economico previsto dallo stato. Una clausola di questo tipocontra legem,sarebbe perché va contro l’interesse pubblico. In secondo luogo, lalegge in alcuni casi riconosce al c collettivo la possibilità di stipulazione di contratti al11di fuori della legge stessa. Art. 8 l. 148 del 2011 introduce il principio dellain peius 12derogabilità di una norma di legge: dice che la contr collettiva di prossimitàanche in peius.può derogare alla legge2. Usi normativi / negoziali:Usi normativi= la consuetudine: comportamento reiterato da parte di una generalitàopinio iuris et necessitatisdi soggetti, accompagnato dalla (=convincimento che quelcomportamento è
obbligatorio). Nell'ambito del lavoro ha una valenza marginale. Gli usi si applicano solo in mancanza di disposizioni di legge e contratto collettivo (come dice l'art 2078 cc). Però anche se è legge e c'è anche l'uso bisogna vedere se la legge è imperativa o dispositiva. In questo ultimo caso l'uso prevale se più favorevole. In ogni caso gli usi NON prevalgono sui contratti individuali (e collettivi) di lavoro nemmeno se più favorevoli. Rara applicazione degli usi. Legge imperative > usi; contratto collettivo > usi; contratto individuale > usi. ANCHE SE GLI USI SONO PIÙ FAVOREVOLI. Gli usi normativi sono norme giuridiche non scritte che si formano spontaneamente mediante la ripetizione uniforme e costante di determinati comportamenti da parte di una collettività, per un determinato periodo di tempo e nella convinzione di obbedire a una norma giuridica obbligatoria. Affinché un uso possa dirsi