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FONDAMENTI DI INTERCULTURA - SPAGNOLO
Lezione 3. LE COMPETENZE INTERCULTURALI
Il tema delle competenze interculturali trova il suo inizio dopo la Seconda Guerra Mondiale, questo non significa che prima non ci fossero rapporti interculturali. Dopo la Seconda Guerra Mondiale il crescere dell'importanza degli Stati Uniti come potenza globale e il diffondersi del suo personale militare, civile, economico in tutte le parti del mondo, finisce per far nascere proprio negli Stati Uniti e proprio in questi ambiti l'interesse del comportamento di questo personale in situazioni diverse culturalmente.
L'inizio di queste riflessioni nasce dalla constatazione dell'esistenza di forti esperienze di shock culturali e dell'importanza di dimensioni della comunicazione interpersonale fino a quel momento non considerate (comunicazione non verbale, prossemica, cinesica, ecc...). L'inizio della riflessione coincide con il moltiplicarsi della presenza statunitense in tutto il mondo.
soprattutto in nazioni e culture molto diverse da quella statunitense. Questo tipo di riflessione interessa un trasferimento di persone da un paese di partenza verso paesi d'arrivo dove rimangono più o meno tempo per svolgere delle missioni. A partire da un'epoca più recente questa riflessione si è spostata su un altro campo, infatti a partire dagli anni '80, i paesi europei e gli stati uniti sono interessati da movimenti migratori che portano in quei paesi numeri sempre maggiori di persone che lasciano i loro continenti a causa di guerre, siccità, situazioni economiche difficili, per cercare migliori situazioni di vita. Questo accesso continuo di migranti nel mondo crea situazioni in cui alcune società diventano poco a poco società interculturali di fatto (Francia, Germania, Inghilterra). Però questa situazione può anche avere risvolti negativi che addirittura possono includere forme di razzismo. Dunque si cerca diRiflettere su come attivare relazioni interculturali. Quali sono le competenze che un mediatore deve avere in questo campo? Le competenze interculturali vengono considerate come "saperi in azione", vale a dire che non esistono prima di essere attivate. Collegano le conoscenze, la comprensione ai progetti, alla volontà di cambiare delle situazioni.
In questo senso la riflessione contemporanea sulla competenza interculturale iniziò alla fine degli anni '80 e del 1989 il International Journal of Intercultural Relations dedicò un numero della rivista a questo tema. Definì 6 dimensioni delle competenze interculturali che sono ancora oggi la base di partenza.
- Conoscenza della cultura di arrivo
- Qualità personali degli operatori (apertura, flessibilità, tolleranza verso l'ambiguità)
- Abilità comportamentali (capacità di comunicare, di gestire le relazioni)
- Coscienza di sé (rispetto alla propria identità, ai propri pregiudizi)
- Competenze cognitive (capacità di analisi, di problem solving)
- Competenze emotive (capacità di empatia, di gestione delle emozioni)
A partire da questa riflessione (che si concentra ancora su persone che si trasferiscono dagli stati Europei e dagli Stati Uniti verso l'esterno, siamo nell'89), si apre una fase in cui soprattutto la comunità europea riflette sulle comunicazioni interculturali. Nel momento in cui è caduto il muro di Berlino, l'unione si apre ai paesi dell'Europa orientale e ad altri paesi che prima erano un po' ai margini del progetto europeo. In Europa si comincia a riflettere su come poter gestire le grandissime diversità culturali che convivono. Nel 1993 la commissione europea affida a un gruppo di studiosi guidati da un pedagogista inglese Michael Byram un compito. Quello di definire le
testo è che non è chiaro quali parti debbano essere formattate con tag html. Tuttavia, posso suggerire alcune possibili formattazioni per rendere il testo più leggibile:Competenze interculturali e di creare un quadro di riferimento. Di fatto il modello di Byram si richiama in parte al quadro della conoscenza delle lingue. Infatti, parte dalla concezione che l'apprendimento delle lingue straniere sia già di per sé un'attività interculturale. Questo quadro si articola in conoscenze, abilità e attitudini. Le prime due erano già presenti nel precedente, qui si aggiungono le attitudini. Si articola intorno a quelli che Byram "i saperi" chiamerà:
- La conoscenza di sé, dell'altro, delle forme di interazione, delle persone e delle società;
- Saper comprendere (saper interpretare e relazionarsi con gli altri);
- Saper apprendere e il saper fare (saper scoprire la diversità e saper interagire con essa intorno a un progetto educativo che debba portare al sapersi coinvolgere);
- Saper essere (relativizzare il sé, saper valorizzare l'altro);
Il problema di questo testo è che non è chiaro quali parti debbano essere formattate con tag html. Tuttavia, posso suggerire alcune possibili formattazioni per rendere il testo più leggibile:
Il modello è che concepisce le persone che si inseriscono in una formazione interculturale in modo totalmente razionale e presuppone una scelta da parte di una persona di volersi immettere in questo cammino. L'altro problema è che presuppone una direzione unica, cioè si può andare dalla conoscenza alle attitudini ma una volta raggiunto l'ipotetico livello C2 di competenza interculturale non si può tornare indietro. Questi problemi hanno portato all'elaborazione di altre proposte.
Negli stessi anni uno studioso statunitense Milton Bennett con la sua "Developmental Model of equipe, propone un altro modello chiamato Intercultural Sensitivity" (DMIS). Introduce un elemento nuovo, la sensibilità un elemento molto radicato nelle situazioni interculturali. Il modello di Bennett identifica tre tappe etnocentriche e tre tappe etnorelative. Il presupposto è che le culture si possono capire solamente nella loro relazione reciproca.
che ciascun atteggiamento si può capire solo all'interno del suo contesto culturale. Tre momenti etnocentrici: Negazione (negare l'esistenza stessa di culture diverse, negazione dell'individualità); Difesa (si accetta l'esistenza di culture diverse, ma gli si attribuisce una negatività); Minimizzazione (la differenza culturale è accettata, ma è minimizzata). Tre momenti etnorelativi: Accettazione (si accetta che possono esistere culture diverse e che siano sullo stesso piano); Adattamento (momento in cui non solo si accetta la diversità, ma questa accettazione comincia a creare un cambiamento nella propria visione nel mondo); Integrazione (accettare e integrare dentro di sé la varietà delle culture e agire quotidianamente secondo questa prospettiva). In questo modello la chiave della comunicazione interculturale secondo Bennett è l'empatia. È la capacità di riconoscere efare propri” L’abilità di fare riferimenti culturali diversi rispetto a quelli personali. Esperienza di aspetti della realtà in modo diverso rispetto a come avverrebbe nella cultura personale”. Bennett è il primo a proporre una misurazione delle competenze interculturali, infatti nella formazione del personale è importante capire a che punto sono. Bennett prepara e pubblica un questionario fatto di 50 situazioni e domande proprio per studiare questa misurazione e al centro viene messa la capacità di adattamento. Non si tratta dell’adattamento dei migranti alla nostra società, ma è il contrario. È l’adattamento della persona che si integra in un processo interculturale che adatta progressivamente il suo modo di vedere, pensare, agire, in rapporto con le relazioni degli altri. Viene giudicata in base a comportamenti (verbali e non) e in base alla flessibilità cognitiva, affettiva e comportamentale chediventa sempre più flessibile è capace di generare atteggiamenti trasformativi in situazioni interpersonali di conflitto.
Successivamente vengono elaborati moltissimi altri modelli. Darla Deardorff ne propone 27.
Modello di Edward Taylor: Anche lui è uno studioso statunitense che propone un modello che è basato proprio sulle capacità di adattamento della persona e sulla sua