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L'ATTUAZIONE DEL DETTATO COSTITUZIONALE: LA LEGGE N. 47 DEL 1948
Così come allo Statuto Albertino aveva fatto immediatamente seguito l'Editto sulla Stampa, così all'indomani della Costituzione la stessa assemblea costituente mise mano a quella che doveva diventare la legge n. 47 del 1948.
L'esigenza di tempestività era data dal fatto che le normative precedenti non erano più in linea con i nuovi principi costituzionali: purtroppo i ristretti tempi a disposizione non consentirono di disciplinare alcuni temi, quali la responsabilità dei reati a mezzo stampa, nonché la pubblicizzazione delle fonti di finanziamento delle imprese editoriali.
La disciplina delle comunicazioni obbligatorie rimase molto simile alla precedente: obbligo di indicare nello stampato luogo, data di pubblicazione, nome e domicilio dello stampatore, del proprietario e del direttore responsabile; l'obbligo di registrazione dei quotidiani e periodici presso le
cancellerie dei Tribunali; l'obbligo di deposito di alcune copie dello stampato presso la prefettura.
Solo la violazione degli obblighi di registrazione e di indicazione dei responsabili è qualificata come delitto e pertanto suscettibile di sequestro (come previsto all'art 21 Cost.).
Sempre con legge n. 47 del '48, si aboliva l'autorizzazione prefettizia all'esercizio della stampa e la si sostituiva con l'obbligo di registrazione delle imprese della stampa.
Oggi, la legge n. 62 del 2001 estende anche all'editoria online gli obblighi previsti dalla legge n.47 in ordine alle indicazioni obbligatorie, nonché l'obbligo di registrazione qualora il prodotto editoriale sia diffuso con regolarità e sia contraddistinto da una testata: la giurisprudenza (Trib. Milano 15.4.2002) ha ritenuto anche qui applicabile il sequestro per motivi già visti, e solo con sentenza irrevocabile.
Quanto al direttore responsabile, scomparivano le
Norme fasciste relative al riconoscimento dello stesso, la cui figura rimaneva per altro inalterata: quanto alla natura ed estensione della responsabilità del direttore responsabile, le novità intervenivano solo nel 1953 con la sentenza n. 3, che definiva la responsabilità del direttore della Corte Costituzionale responsabile come legata al mancato esercizio del controllo (e quindi ad un fatto proprio), ed in quanto responsabilità soggettiva veniva meno in caso di fatto fortuito o di forza maggiore.
Sulle fattispecie dei reati a mezzo stampa, la legge 47 non operava alcuna revisione, non riuscendo a superare la scelta operata del codice penale del 1930, così come avrebbe voluto l'art. 21 Cost.
Infine è da evidenziare l'introduzione da parte della legge 47 dell'istituto della rettifica, configurante quale obbligo al direttore responsabile di rettificare le notizie giornalistiche personali e non veritiere o lesive della dignità.
L'importanza della rettifica sta nel fatto che non solo essa tutela il diritto alla reputazione, ma assicura anche il diritto ad essere informati correttamente (art. 21).
Ai sensi dell'art. 8 della legge, l'obbligo di rettifica deve essere adempiuto entro termini brevi (2 gg. per i quotidiani, entro il 2° numero per i periodici), con lo stesso rilievo tipografico. In caso di mancato adempimento, l'interessato può ricorrere al giudice per ottenere l'ordine di pubblicazione, con condanna del direttore responsabile nonché obbligo di pubblicare la sentenza di condanna.
5 RESIDUI POTERI DI INTERVENTO PREVENTIVO DELL'AUTORITÀ DI PUBBLICA SICUREZZA E REATI A MEZZO STAMPA AL VAGLIO DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Le modifiche introdotte con la legge n. 47 non erano certo sufficienti a depurare tutta la legislazione previgente, rimanevano infatti in vigore il T.U.L.P.S. ed il Codice Penale del 1930.
Su entrambi questi argomenti l'attività
legislativa del Parlamento sarà del tuttocarente, mentre interverranno delle importanti sentenze della CorteCostituzionale; vediamo le più interessanti:- Gli ultimi residui poteri di sequestro preventivo delle autorità dipubblica sicurezza erano per gli stampati osceni, contrari alla pubblicadecenza, o contenenti propaganda di mezzi anticoncezionali: quest'ultimocaso venne dichiarato incostituzionale con sentenza n. 49 del '71cheaboliva anche il reato di cui all'art. 553 c.p. (incitamento alle pratichecontro la procreazione).
- Con sentenza n. 1 del '56 venivano eliminate le licenze di poliziarelative all'affissione degli stampati.
- l'autorizzazione del questore all'esercizio dell'arte tipografica, consentenza n. 38 del 1961, fu ritenuta conforme al dettato costituzionaledell'art. 21, solo di recente è stata abolita con il D. Lgl. 112 del 1998.
- Sul limite espresso del buon costume, come abbiamo visto,
la Corte Costituzionale ebbe modo di esprimersi più di una volta, restringendol'interpretazione esclusivamente alla tutela della sfera del pudore sessuale (sentenze n. 6 del 1965 e n. 49 del 1971).
In materia di reati a mezzo stampa, la Suprema Corte si è mostrata più incline ad un'interpretazione adeguatrice della disciplina del codice fascista, che non a farne una rigorosa verifica di conformità all'art. 21.
Il risultato, dovuto anche all'inerzia del Parlamento nella materia, ha portato, oltre naturalmente al sopravvivere di reati a tutela di diritti individuali (quali la diffamazione), a far sopravvivere un grande numero di reati a tutela della personalità dello Stato (propaganda sovversiva, divulgazione notizie coperte da segreto di stato, offesa e vilipendio delle pubbliche istituzioni), del sentimento religioso, dell'ordine pubblico (apologia di reato e istigazione a delinquere e a disobbedire alle leggi), cui è
Spesso è difficile riconoscere un fondamento costituzionale. Questi reati paiono difettare di un fondamento costituzionale che li legittimi, e secondo alcuni avrebbero dovuto essere espulsi dall'ordinamento giuridico dalla Corte Costituzionale, in particolare i reati che fanno riferimento all'ordine pubblico, termine del quale non vi è traccia in Costituzione: si è finiti così per legittimare una serie di interventi repressivi contro una libertà di espressione fortemente critica dell'ordine costituito, che invece è chiaramente tutelata dall'art. 21 della Costituzione.
Queste discutibili interpretazioni della Corte Cost. (sentenze n. 168 del 1971, n. 20 del 1974, n. 84 del 1969, n. 65 del 1970, n. 16 del 1973, che hanno fatto permanere tutti questi reati senza espellerli dall'ordinamento giuridico) si basano su una distinzione tra libertà di manifestazione del pensiero "pura" e manifestazione del pensiero diretta a provocare un'azione.
e concludono nel senso di escludere la seconda dall'ambito di tutela dell'art. 21 Cost.: interpretazione arbitraria che non trova riscontro né nella Cost. né nei lavori preparatori. Solo di recente, con legge n. 205 del 1999, si è provveduto ad eliminare alcuni di questi reati limitativi della libertà di espressione (offese all'onore dei capi di Stato, dei rappresentanti di stati esteri, pubblica istigazione ed apologia, dispregio e vilipendio delle istituzioni). 6 LA RIFORMA DELL'ORDINE E ALBO DEI GIORNALISTI Questo è un settore dove invece l'azione innovatrice della legge non è mancata: con la legge n. 69 del 1963 si è infatti proceduto ad una completa riforma. 1) ORDINE ED ALBO: tutte le attività connesse alla tenuta dell'albo sono di competenza dell'Ordine dei giornalisti, articolato in consigli regionali e dal consiglio nazionale presso il Ministero di Grazia e Giustizia: ai consigli regionalispetta la tenuta dell'albo, le iscrizioni, le cancellazioni, il potere disciplinare.
2) MODALITA' E REQUISITI PER L'ISCRIZIONE ALL'ALBO: per l'iscrizione come giornalista professionista si richiede il 21° anno, l'iscrizione nel registro praticanti, l'esercizio continuativo per almeno 18 mesi, il superamento della prova di idoneità; accanto a questi requisiti positivi, la legge prevede anche requisiti negativi: non aver riportato condanne penali di interdizione dai pubblici uffici. Quanto ai requisiti per l'iscrizione ai giornalisti praticanti, essi sono gli stessi che per i giornalisti (salvo il requisito del praticandato) con l'aggiunta di dover dimostrare un'attività pubblicistica, retribuita, svolta da almeno due anni.
3) CANCELLAZIONE DALL'ALBO: spetta ai consigli regionali per la perdita di uno dei requisiti richiesti per l'iscrizione, per la cessazione dell'attività, o per inattività.
La nuova disciplina prevede che l'accesso alla professione giornalistica sia regolato da un Ordine e da un Albo dei giornalisti. L'iscrizione all'Albo è obbligatoria per esercitare la professione e richiede il possesso di specifici requisiti di formazione e professionalità.
L'Ordine dei giornalisti ha il compito di vigilare sull'attività dei giornalisti e di garantire il rispetto dei principi deontologici della professione. Ha anche il potere di adottare provvedimenti disciplinari nei confronti degli iscritti che commettono violazioni.
Il procedimento disciplinare prevede diverse fasi: l'apertura dell'istruttoria, l'audizione dell'interessato, la decisione del Consiglio dell'Ordine e la possibilità di ricorso al Consiglio nazionale e, in caso di esito negativo, al Tribunale competente.
Il potere disciplinare può essere esercitato quando gli iscritti all'Albo commettono fatti non conformi al decoro e alla dignità professionale che ledono la dignità dell'Ordine. Le sanzioni possono variare dall'avvertimento alla radiazione, passando per la censura e la sospensione. È possibile ricorrere contro tali sanzioni come già visto per la cancellazione.
Nonostante la specificità della nuova disciplina, sono stati sollevati dubbi sulla sua legittimità costituzionale, in quanto l'istituzione dell'Ordine e dell'Albo dei giornalisti potrebbe essere considerata un freno alla totale libertà proclamata dall'art. [numero dell'articolo mancante].
21(<<TUTTI>>): ciònonostante la Corte Cost. ha sempre rigettato tutti i ricorsi, ritenendo nonrestrittivo della libertà l'Albo e l'Ordine dei giornalisti. 7 DIRITTI E DOVERI DEL GIORNALISTA La legge istitutiva dell'Ordine afferma anche i DIRITTI dei giornalisti, che consistono nella insopprimibile libertà di informazione e critica<<limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui>>, che allude al difficile bilanciamento di interessi costituzionali, in particolare abbiamo detto che, a proposito di diffamazione, un consistente filone giurisprudenziale (da ultimo la Cass. Pen. Sez. V, 4.01.2000) ritiene che il reato non sussiste quando: a) la notizia è vera e determinata; b) c'è un interesse sociale alla conoscibilità del fatto; c) l'esposizione del fatto avveng